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Rilevare l'Alzheimer prima che si evidenzi può essere la chiave della cura

Gli sforzi disperati delle case farmaceutiche per trovare una cura per l'Alzheimer hanno portato a ripetuti fallimenti nella fase della sperimentazione umana.


Ora i ricercatori dicono che almeno sanno il perché: i cambiamenti nel cervello iniziano anni prima che una persona mostri un qualsiasi segno di deterioramento della memoria. E nel momento in cui alla persona viene diagnosticato il morbo, questi cambiamenti potrebbero essere irreversibili.


In risposta, i neuroscienziati stanno lavorando per capire come e perché i primi segni della malattia (chiamati biomarcatori) si sviluppano diventando demenza conclamata. I ricercatori stanno anche auspicando un nuovo approccio alla malattia terminale: qualcosa da accettare, non da temere.


"Dobbiamo iniziare a preparare la società a pensare all'Alzheimer come ad una malattia che inizia in età precoce", spiega Jason Karlawish, professore di medicina e di etica medica all'Università della Pennsylvania. "Anche se può essere difficile da accettare, credo che non riusciremo a curarla, dobbiamo imparare a convivere con essa".  Il principale fattore di rischio per la malattia è l'invecchiamento, seguito dalla storia familiare e dal diabete. La prevalenza dell'Alzheimer è destinata a triplicare nei prossimi 35 anni, con l'invecchiamento della generazione del baby boom, e i costi del trattamento saliranno. Ciò ha alimentato nuovi investimenti in ricerca, e alcune importanti scoperte.


Il progresso maggiore è stato fatto finora nelle conoscenze non farmaceutiche, ha detto Karlawish, parlando a una recente conferenza online presentata dalla American Federation for Aging Research. Gli studi falliti sui farmaci hanno dato informazioni fresche e convincenti su come esercizio fisico, dieta e socializzazione possono arrestare il processo della malattia. "Se formassimo e informassimo i pazienti e le loro famiglie su come convivere con la malattia, gli studi dimostrano che possiamo fare la differenza nella qualità di vita di pazienti e famiglie", ha detto. Ma questi interventi sullo stile di vita, ha aggiunto, "a differenza dei trattamenti farmaceutici, non hanno un chiaro modello di business per essere diffusi".


Uno schema lanciato a Sarasota all'inizio di quest'anno, Sci-Brain, è una partnership a scopo di lucro tra l'Istituto Roskamp per la ricerca sul cervello e una agenzia sanitaria locale. Utilizza l'"Indice Riserva Cerebrale", derivato da un algoritmo che prende in considerazione la forma fisica, la dieta e la storia medica di un cliente e calcola il suo rischio di declino delle capacità mentali nel decennio successivo. Cominciando con quattro partecipanti in Giugno, la nuova azienda ha arruolato 21 persone, ha detto Nicci Kobritz, presidente di Youthful Aging Home Health e CEO di Sci-Brain. La fascia d'età, ha detto, è da 45 a 85 anni, e sono inclusi alcuni clienti con decadimento cognitivo lieve che sperano di conservare le loro capacità più a lungo possibile.


"C'è stato già molto interesse nel programma da gruppi esterni che vogliono clonarlo", ha detto Michael Mullan, direttore dell'Istituto Roskamp. "Abbiamo visitatori provenienti da tutti i posti". Mullan è convinto da recenti studi che "il controllo aggressivo" dell'esercizio fisico e della dieta (in particolare verso i 60 o 70 anni) è fondamentale per preservare la salute del cervello. "Stiamo perfezionando il modello ogni settimana; in questo momento sto lavorando al modo di valutare l'effetto di un trauma cranico precedente", ha detto. "Dobbiamo anche diventare più precisi nel valutare le complicazioni, come le malattie cardiache e il diabete".

 

Placche e grovigli

Ma l'entusiasmo per la prevenzione e la mitigazione può essere frustrante per i famigliari di persone con demenza, che ottengono poco aiuto dalle poche terapie farmacologiche disponibili. Mullan ha detto che faceva meglio a fermarsi prima di dichiarare la malattia incurabile. Ma è improbabile che non ci sia un proiettile unico che può sconfiggere l'Alzheimer.
"Le aziende farmaceutiche hanno speso miliardi di dollari isolando una singola molecola, la proteina amiloide" ha detto. "Ma il cervello ha forse 100.000 proteine diverse all'interno. Quando il cervello comincia a fallire, è così complicato: come le banche".


Mullan e Fiona Crawford del Roskamp sono stati importanti nelle prime scoperte sul legame tra l'accumulo di placche amiloidi nel cervello e l'Alzheimer. Ciò ha portato all'ipotesi che sbarazzarsi del colpevole, l'amiloide, si possa fermare o addirittura invertire la malattia. "E' un'idea concettualmente molto solida", ha detto Karlawish. Ma i farmaci che hanno puntato solo all'amiloide hanno fallito in costose prove umane. E gli scienziati hanno imparato che ci sono persone che, pur avendo un accumulo di amiloide, non sviluppano mai l'Alzheimer. Ciò ha portato ad interessarsi ad un secondo biomarcatore, la proteina tau, che interrompe le connessioni del cervello in un modo che, nelle scansioni, appare come un caos di grovigli.


Ma questo non esclude il ruolo dell'amiloide, dice R. Scott Turner, direttore del Memory Disorders Program della Georgetown University. "Molti di noi pensano ancora che l'amiloide sia la causa principale dell'Alzheimer", ha detto. "Tutto questo [processo della malattia] richiede almeno 10 anni - forse 20 o 30 -, come stiamo imparando adesso. C'è molto di più in atto, altre patologie, non solo placche e grovigli. E sappiamo che la prima cosa ad essere colpita è la creazione dei nuovi ricordi".


La tau, ha detto Karlawish, è stata descritta come le rotaie ferroviarie della cellula cerebrale; induce i neurotrasmettitori ad restare nella direzione giusta. "Quello che accade nell'Alzheimer è che questi binari della ferrovia si aggrovigliano", ha detto. "Quindi stiamo cercando di intervenire qui, dove c'è una sostanziale perdita di neuroni. L'area più interessante, a mio avviso, è trovare persone che si adattano a questo nuovo concetto di Alzheimer preclinico", dove possono essere rilevate placche e grovigli, ma non si è verificato ancora nessun danno cognitivo.


Presto il National Institute of Aging e la Lilly Pharmaceuticals si imbarcheranno in uno studio triennale su tali persone, conferma Karlawish. "Per loro, significa scoprire di avere già i biomarcatori precoci dell'Alzheimer. Si tratta di fare una scansione su qualcuno che è cognitivamente normale, e dirgli che cosa dice la scansione", ha riconosciuto. "Stiamo lavorando sul modo di farlo. Ma questo è il nuovo paradigma, ed è lì dove sta andando il settore".


All'Istituto Roskamp, il biomarcatore tau è diventato un obiettivo importante. "Esso subisce di norma così tanti cambiamenti che molte delle cose che vediamo potrebbero non essere correlate all'Alzheimer", ha detto Mullan. "E' un grande progetto, e ci sono molte persone coinvolte".


Il gruppo di Mullan sta anche esaminando l'infiammazione - la risposta del sistema immunitario a infezioni o lesioni - a causa dei rapporti intriganti tra l'Alzheimer e il diabete, le malattie cardiache e il trauma cranico. Egli ritiene che una cura affidabile dovrebbero puntare a molti biomarcatori, invece che a uno solo. "Nell'Alzheimer le cose iniziano ad accelerare in una direzione negativa", ha detto. "Tutti noi produciamo amiloide in ogni momento, e il nostro cervello ci convive, ma arriva un punto in cui la valanga va fuori controllo. Penso che finiremo per arrivare a un cocktail, che colpisce l'amiloide, la tau, e l'infiammazione. Ed è molto più probabile che siano tre farmaci diversi".

 

 

 

 

 


Pubblicato da Barbara Peters Smith in Herald tribune (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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