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Alzheimer: è sbagliato ridere?

Tengo la porta quando mia madre entra nella sala d'attesa del suo medico. Guardo intorno, al suo parquet in finto legno e ai tavolini pieni di riviste di pesca e Meccanica Illustrata.


La stanza è buia e le cose all'interno sembrano terribilmente lente e deprimenti per un pomeriggio brillante del Texas in ottobre.


Alcuni giorni prima sono andata in macchina dall'Università dove insegno all'aeroporto di Philadelphia e sono saltata su un aereo per Dallas, come faccio cinque o sei volte l'anno, per aiutare mia madre.


Dati i suoi vuoti di memoria, io e mia sorella crediamo che ci sia qualcosa che non va. Ho la scadenza per un libro e trentacinque compiti degli studenti da valutare, ma non li ho portati allo studio del medico, come avrei fatto a casa. Mi sono ripromessa che quando sono con mia madre, sto davvero con lei. Questo, mi dico, è il mio lavoro, dopo il lavoro.


Rallentare abbastanza per corrispondere al ritmo di mia madre con il girello è difficile. Non ho mai capito come si fa. Mi lascio scivolare su una sedia, sento ansia e sono su di giri. Si è vestita da sola per l'occasione con una gonna prugna e una camicetta magenta. Mentre si accomoda nella sua poltrona, i molti braccialetti brillanti fanno un rumore stridente.

 

Passiamo molto tempo nelle sale di attesa

Dall'altro lato della stanza si trova un'anziana con gli occhi incrociati e lunghi capelli fluenti grigio-marrone. E' appoggiata ad un bastone. E chiede: "Va dal Dr. Wright?""Spero di sì", risponde mia madre. "E' così grazioso". "Sto andando da tutti i medici di Dallas oggi!" si vanta.


Mi chiedo se sta scherzando o se lei pensa che siamo facendo davvero, dato che abbiamo visto il medico per la sua schiena prima di pranzo. Non posso evitare di sorridere, cosa che probabilmente la incita."Invecchiare è pericoloso!", dice. "Non mi piace neanche un po'", concorda l'altra donna.


"E' spaventoso che chiamino il lavoro del medico «pratica»!" borbotta la mamma, agitando il piede destro in aria. Mi metto a ridere forte. L'altra donna sorride. "Qual è il tuo disturbo?" chiede a mia madre. "Non c'è niente di sbagliato in me" dice la mamma, guardando intorno nella sala d'attesa. "E' tutto nella mia testa".


Non posso dire se lei volesse dare una frecciata alle sue figlie, che si preoccupano per lei, o scherzare. Mi viene da ridere comunque. Mia madre ha un'intellligenza sferzante ed è spesso difficile da interpretare, che è forse il motivo per cui siamo arrivati a questo punto senza una diagnosi.

 

Si va molto dal medico

Uno degli assistenti del dottor Wright ci ha introdotto in una sala visite, dove mia madre aspetta nervosamente fino a quando il medico entra a grandi passi dalla porta. E' un elfo instancabile, cinquanta-e-qualcosa, nel suo camice bianco e scarpe da ginnastica bianche. Togliendosi il ciuffo di capelli dagli occhi, mi stringe la mano, poi appoggia la mano sulla mamma, come per dare una rapida benedizione. "Forza, signora Kelley", dice. "Venga qui. Diamo un'occhiata".


La aiuta a salire su uno sgabello così che possa sedere sul tavolo tapezzato di marrone dei pazienti. Le prende il polso, conta intensamente, poi la studia e chiede: "Come si sente?". "Come pensi che possa sentirsi una vecchia signora come me?" le risponde. Quindi ridacchia trionfante. Non elencherà i suoi mali e dolori a qualsiasi medico, nemmeno al suo caro Dr. Wright.


Dopo 40 anni di infermiera, lei sa che nessun medico può riparare ciò che è sbagliato in lei. Inoltre, elencare i suoi problemi sarebbe come banalizzarli. Sarebbe come spostarli dal regno platonico permanente, immutabile, a cui appartengono di diritto, ad una cartella clinica. Non avevo modo di sapere se la mia sarcastica madre, che stava ancora una volta sconvolgendo il suo medico, aveva il controllo delle sue battute. Dieci anni prima non avrebbe parlato in quel modo a nessuno, tanto meno ad un medico.


Ma ho scelto di divertirmi. Ora mi chiedo se questa non fosse una delle stazioni del viaggio dell'Alzheimer, una perdita di controllo. Mia sorella e io avevamo imparato a occuparci della mamma vedendo come si prendeva cura della sua stessa madre, ma la nonna non aveva l'Alzheimer. Non avevo modo di tracciare la progressione della malattia o di prevedere cosa sarebbe accaduto dopo. Era l'inizio del 2000. Non sapevo nemmeno cosa fosse l'Alzheimer.

 

Chissà cosa succede adesso con l'Alzheimer?

Salii su un aereo la mattina successiva senza sapere quello che avevamo davanti. Ho valutato in qualche modo il lavoro degli studenti, probabilmente nel viaggio di ritorno. Ho rispettato in qualche modo il termine ultimo della consegna del libro. Non ricordo i particolari. Con un lavoro e dei figli a casa, la mia vita a quel tempo era una nebbia di doveri e responsabilità.


Non sapevamo allora che la mamma si stava dirigendo verso l'Alzheimer pienamente conclamato, che il nostro caregiving avrebbe dovuto aumentare, che entro cinque anni sarebbe morta della malattia.


Dal momento che ogni caso di Alzheimer è unico, non c'è una mappa chiara per i caregiver. I cambiamenti imprevedibili possono essere quasi disorientanti per il caregiver come lo sono per il paziente. E' difficile sapere dove sei o come rispondere.


Ma non mi dispiace di aver riso quando ne ho avuto la possibilità.

 

 

 

 

 


Scritto da Jeanne Murray Walker, PhD in PsychologyToday (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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