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Alzheimer: perchè è così difficile trovare una cura?



Leggi un qualsiasi articolo sull'Alzheimer e concludi che la cura per questa malattia devastante è proprio dietro l'angolo.


Ma per i pazienti e le loro famiglie la dura realtà è che è passato più di un decennio da quando è stata approvata in Europa e negli Stati Uniti la memantina, l'ultima molecola contro l'Alzheimer.


Da allora, c'è stata una serie di test per diversi farmaci, ma nessuno ha avuto successo. I farmaci disponibili non curano i malati di Alzheimer; sono in grado solo di attenuare i sintomi e rallentare la progressione della malattia.


La popolazione mondiale sta invecchiando rapidamente, il numero di persone oltre i 60 anni dovrebbe raggiungere quasi 2 miliardi nel 2050. L'Alzheimer è intrinsecamente associato con l'invecchiamento, più del 10% di coloro che sono in questa fascia di età ne sono colpiti. In queste condizioni, si crede che gran parte della popolazione mondiale ne sarà interessata entro la metà del secolo.


C'è quindi l'urgenza di trovare trattamenti appropriati per la malattia, o per lo meno, farmaci che possano ritardare in modo più significativo l'insorgenza.

 

L'Alzheimer nella sua complessità

Un motivo semplice per cui i trattamenti sono così difficili da sviluppare è che la malattia è particolarmente complessa e le sue cause sono ancora ignote.


"Con centinaia di miliardi di sinapsi protette dal cranio, il cervello è un organo molto complesso, il più complesso del corpo. Ancora non abbiamo buoni modi per misurare cosa sta succedendo lì dentro, a differenza di altre malattie come il diabete, di cui si può ottenere una buona idea grazie a semplici esami del sangue", ha detto il dottor James Pickett, responsabile della ricerca dell'Alzheimer's Society. "Se non è possibile studiare cosa sta succedendo, è complicato capire le cause dell'Alzheimer".


Si ritiene che l'Alzheimer insorga quando il cervello comincia a restringersi, alterando la struttura e la funzione di aree cruciali, un processo in cui hanno un ruolo sia i fattori genetici che quelli ambientali. Tuttavia, non è certo che cosa induce l'inizio di questo processo. Nel cervello dei pazienti, si nota l'accumulo di depositi anomali di proteine ​​note come placche amiloidi e grovigli di tau, ed è stato identificato uno squilibrio chimico dell'acetilcolina, ma rimane poco chiaro il loro ruolo esatto nello scatenare la malattia.


L'Alzheimer è una condizione molto eterogenea, che colpisce persone diverse in modi diversi. Questo potrebbe anche spiegare perché il percorso verso il trattamento è così arduo; persone con diagnosi della stessa malattia possono rispondere in modo molto diverso ai trattamenti. "L'Alzheimer può effettivamente essere un certo numero di condizioni differenti ma correlate, quindi probabilmente uno dei motivi per cui gli esperimenti stanno fallendo è che i farmaci sono testati in gruppi di persone con condizioni leggermente diverse. Se questo è il caso, non è del tutto sorprendente che i risultati siano negativi", spiega Pickett.


Un altro problema è che, a causa della loro età, i malati di Alzheimer hanno spesso comorbidità; questo costituisce un ostacolo per reclutare partecipanti alla sperimentazione clinica, in quanto è molto più facile studiare persone che hanno una sola condizione.


Capire e trattare l'Alzheimer comporterà necessariamente una riflessione per quanto riguarda i diversi modi in cui la malattia si manifesta, e il suo legame con l'invecchiamento. "Nel settore esiste una controversia sul grado di separazione reale della condizione dall'invecchiamento. L'Alzheimer è una vera malattia distinta, o è l'invecchiamento che va male? Alcuni tipi di Alzheimer sono causa di invecchiamento e altri no? Non c'è un modo singolo e uniforme per parlare di questa malattia, non un singolo modo per classificarla e forse nessun farmaco potrà ripararla del tutto, il che rende difficile arrivare a soluzioni rapide di riparazione. Stiamo facendo progressi, ma non siamo ancora dove vorremmo essere", ha detto il Dott Russell Swerdlow, direttore dell'Alzheimer's Disease Center della University of Kansas.

 

Sulle tracce di nuovi trattamenti

Risolvere tutti questi interrogativi probabilmente richiederà un certo tempo, soprattutto perché il campo riceve ancora meno fondi in relazione ad altre malattie. Anche se ci sono stati recenti miglioramenti (come ad esempio nel Regno Unito, dove sono stati impegnati 250 milioni di sterline per finanziare il Dementia Research Institute), la ricerca sulla demenza ha ricevuto circa otto volte meno soldi di quanto ha ottenuto il cancro nel 2013.


Nonostante queste difficoltà, l'ultimo Congresso Internazionale dell'Alzheimer's Association ha dimostrato che la ricerca sta diventando progressivamente sempre più innovativa e diversificata. L'incertezza sulle cause della malattia implica che gli scienziati non sono sicuri di colpire il bersaglio giusto con i farmaci che stanno sviluppando e testando, e circa il 40% delle molecole attualmente in sperimentazione stanno ancora puntando i percorsi di elaborazione dell'amiloide. Tuttavia, i gruppi di ricerca hanno fatto di recente nuove proposte e stanno indagando sui farmaci che puntano processi biologici completamente diversi.


Questo è il caso del team del dottor Swerdlow. "A mio avviso ci deve essere qualcosa a monte delle placche amiloidi e dei grovigli di tau che sta guidando il problema, e vorrei puntare quel qualcosa. Credo che il problema risieda nei cambiamenti del metabolismo energetico e dei mitocondri del cervello, che si è ipotizzato possono guidare l'invecchiamento del cervello. La mia opinione personale è che potremo curare l'Alzheimer quando cureremo l'invecchiamento del cervello", dice Swerdlow.


Con i suoi colleghi, egli studia come cambia il metabolismo energetico in altri tessuti del corpo, tipo i muscoli. Quando le persone fanno esercizio, vengono creati più mitocondri nei loro muscoli, e il team vuole capire che cosa media esattamente questi cambiamenti, in modo da creare un farmaco che conferisce effetti simili al cervello.


Nei prossimi mesi, sono attesi anche i risultati di altri studi, scatenando un'ondata di cauto ottimismo tra gli esperti. Uno studio di tre anni sul Solanezumab (un farmaco che ha mostrato alcuni risultati positivi in ​​un piccolo numero di pazienti con Alzheimer lieve) rivelerà se il farmaco è sicuro ed efficace negli over-65 con una forma molto lieve della malattia.


Infatti, il trend sembra lavorare su pazienti con forme meno gravi della malattia o con lieve deterioramento cognitivo. In questo modo, gli scienziati sperano di concentrarsi maggiormente sulla prevenzione, affrontare la malattia prima che diventi una condizione vera e propria, piuttosto che trattare le persone con Alzheimer avanzato. Gli studi che esaminano se gli interventi di stile di vita hanno un impatto sulla prevenzione dell'Alzheimer sono popolari, come ad esempio lo studio FINGER in Finlandia.

 

Una pietra miliare non è un passo avanti

Nonostante le difficoltà a capire la malattia, le persone ne sono diventate più consapevoli negli ultimi anni. L'onere che potrebbe porre sulle economie, e il fatto che le persone sono preoccupate di averlo, crea un ambiente in cui tutti noi vogliamo che siano trovati rapidamente nuovi trattamenti.


Questo ci può portare a gioire troppo presto quando si fa un progresso nel settore. "Lo sviluppo dei farmaci richiede alcune pietre miliari. Dobbiamo individuare ciò che deve puntare il nostro farmaco, scoprire se funziona, se è sicuro ed efficace, e se funziona proprio come crediamo. Il problema è che ognuna di queste pietre miliari spesso viene presentata come una svolta da parte dei media. Anche se questi sono ovviamente passi importanti per lo sviluppo del farmaco, non significa che alla fine sarà approvato", dice Pickett.


Secondo lui, questo, e il fatto che sono allocati progressivamente più fondi alla ricerca di Alzheimer, significa che c'è pressione per dimostrare che si è fatto un progresso. Mentre gli studi sono spesso presentati come casi di successo dai media, e anche se si sta facendo di più ogni giorno per combattere la malattia, il fatto è che c'è ancora una lunga strada da percorrere.

 

 

 


Fonte: Léa Surugue in International Business Times (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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