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Avere spesso un raffreddore aumenta il rischio di demenza? Studio trova il legame

Ammalarsi spesso può influire sulla rapidità con cui il cervello invecchia e aumentare il rischio di demenza o di altre forme di declino cognitivo.


Questi sono i risultati di uno studio eseguito alla Tulane University di New Orleans, condotto in collaborazione con la West Virginia University e il National Institutes of Occupational Safety and Health e pubblicati sulla rivista Brain, Behaviour and Immunity.


Lo studio ha esaminato l'invecchiamento di topi maschi e ha scoperto che episodi ripetuti e intermittenti di infiammazione moderata, come quella provocata dall'influenza o da un raffreddore stagionale, causavano un deterioramento della cognizione e interrompeva la comunicazione tra i neuroni in quei topi.


"Eravamo interessati a capire se le differenze nello sperimentare infezioni potessero essere responsabili, almeno in parte, delle differenze nei tassi di demenza che vediamo nella popolazione", ha affermato la prima autrice Elizabeth Engler-Chiurazzi PhD, assistente prof.ssa di neurochirurgia della Tulane University. "I topi che abbiamo studiato erano adulti vicini alla mezza età, con facoltà cognitive intatte, eppure, quando esposti all'infiammazione intermittente, ricordavano meno e i loro neuroni funzionavano peggio".


Questo studio è il primo a modellare infezioni ripetute e intermittenti nei topi e ad esaminare le conseguenze a lungo termine nella funzione cerebrale e nella salute.


Gli esseri umani spesso sperimentano infezioni e infiammazioni a tassi sostanzialmente più alti rispetto ai topi di laboratorio. Ma dato che sono stati osservati deterioramenti nei topi dopo solo 5 trattamenti infiammatori intermittenti, il cambiamento cognitivo nell'uomo può essere più robusto.


"I nostri topi hanno avuto solo alcune volte un'infiammazione simile a una malattia intermittente, quindi il fatto che abbiamo osservato il deterioramento è stato sorprendente", ha detto la Engler-Chiurazzi. "Gli effetti sono stati lievi, ma è per questo che trovo questi risultati significativi: in un essere umano, il deterioramento cognitivo da un numero simile di esperienze infiammatorie potrebbe non essere evidente nella vita quotidiana, ma potrebbe avere effetti cumulativi con un impatto negativo sul cervello che invecchia".


I risultati possono avere implicazioni importanti per lo standard di cura nella gestione delle infezioni degli anziani e di quelli a rischio di demenza. E sono forse più rilevanti alla luce della pandemia COVID-19 e nella ricerca continua degli effetti della  sindrome long-COVID.


Per il seguito, la Engler-Chiurazzi ha affermato che è necessario fare più lavoro per capire perché le infezioni influiscono sul cervello e come mitigarne gli effetti. Inoltre, spera che studi di controllo indaghino se le popolazioni più vulnerabili colpite dalle disparità sanitarie hanno di fronte un onere più elevato di effetti neurologici.


"Il dato più importante di questa ricerca, a nostro avviso, è l'importanza di rimanere più sani possibile e senza infezioni", ha affermato.

 

 

 


Fonte: Tulane University (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: EB Engler-Chiurazzi, ...[+12], JW Simpkins. Intermittent systemic exposure to lipopolysaccharide-induced inflammation disrupts hippocampal long-term potentiation and impairs cognition in aging male mice. Brain, Behavior & Immunity, 2023, DOI

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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