I piccoli cambiamenti nella vita sociale degli anziani sono le lampadine spia che indicano che il funzionamento del loro cervello e i processi di pensiero potrebbero essere in declino. Questo è quanto ha concluso Ashwin Kotwal del Brigham and Women's Hospital negli Stati Uniti, che ha guidato uno studio apparso sul Journal of General Internal Medicine edito dalla Springer.
Sono stati analizzati i dati del National Social Life Health and Aging Project (NSHAP), un rilevamento nazionale che include 3.310 persone tra i 62 e i 90 anni che vivono ancora nella loro comunità. Gli intervistati sono stati sottoposti a esami per eventuali evidenze di declino cognitivo, e sono stati suddivisi in tre gruppi: normale funzionamento del cervello, decadimento cognitivo lieve (MCI) e demenza.
I partecipanti hanno indicato la densità e le dimensioni delle loro reti sociali, il sostegno che ricevono da altri, l'entità di sforzo sociale che sperimentano, e la loro partecipazione a eventi della comunità. E' stato anche loro chiesto con chi discutevano questioni importanti e quanto socializzavano con la famiglia e gli amici.
Nella vita sociale delle persone che hanno segni di declino cognitivo precoce sono stati osservati importanti cambiamenti: le loro reti sociali sono più piccole, più interconnesse, e contengono una percentuale più alta di parenti (65 per cento per il gruppo normale rispetto al 73 per cento del gruppo di demenza).
Secondo il Dr. Kotwal, quest'ultima osservazione potrebbe dipendere dalla cognizione più bassa, che rende difficile mantenere legami diversi e lontani, rispetto alla loro solita cerchia di amici. Potrebbe anche riflettere il fatto che le persone e le famiglie cominciano a compensare quando i loro cari hanno perdite cognitive e hanno bisogno di un maggiore sostegno. "Tali nuove circostanze possono richiedere reti incentrate sulla famiglia legate più densamente, per aiutare a monitorare e a sostenere la salute degli individui che mostrano segni anche di deterioramento precoce", aggiunge Kotwal.
Gli uomini del gruppo con MCI o demenza sentivano di ricevere più incoraggiamento dai loro coniugi, rispetto a prima. Le donne in questi gruppi hanno detto che c'era stato un calo del sostegno di amici. Secondo Kotwal, anche una lieve diminuzione cognitiva potrebbe cambiare il modo in cui le donne mobilitano il sostegno sociale necessario.
I risultati di questi due gruppi stessi (MCI e demenza) hanno anche mostrato che, anche se non c'era alcuna differenza nel modo in cui le donne socializzavano con gli amici e i vicini di casa, gli uomini socializzano quasi il 15 per cento in più rispetto a prima. Questo potrebbe riflettere il modo in cui gli uomini si trovano a fare più affidamento su quelli più vicini a loro, poiché cominciano a subire gli effetti della vecchiaia, compreso il declino cognitivo e la contrazione della loro rete allargata.
Kotwal dice che potrebbe anche essere che le persone a loro vicine tendono a tenere sott'occhio di più gli uomini con difficoltà cognitive di quanto non facciano con le donne nella stessa posizione. Le persone le cui capacità cognitive sono in declino partecipavano meno anche alle attività comunitarie, di gruppo e di volontariato.
Queste scoperte possono aiutare i medici a capire meglio come i cambiamenti nelle relazioni sociali di una persona anziana può segnalare l'insorgenza di deficit cognitivo, una cosa che dovrebbe essere portata all'attenzione di chi provvede alle esigenze mediche della persona.
"Ci auguriamo che questi risultati possano aiutare i medici a identificare meglio le vulnerabilità sociali di quelli che sono a rischio di inizio di perdita cognitiva. Le informazioni potrebbero contribuire a facilitare la transizione verso la demenza conclamata sia per i pazienti che per i caregiver, in caso che avvenga tale progressione", conclude Kotwal.
Fonte: Springer (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Ashwin A. Kotwal, Juyeon Kim, Linda Waite, William Dale. Social Function and Cognitive Status: Results from a US Nationally Representative Survey of Older Adults. Journal of General Internal Medicine, 2016; DOI: 10.1007/s11606-016-3696-0
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