L'uso di metafore di guerra in riferimento all'Alzheimer dovrebbe essere sostituito da messaggi di resilienza contro questa condizione complessa associata all'età, che potrebbe non essere mai completamente sconfitta, secondo un team di ricercatori.
Inquadrare un problema di salute confrontandolo con la guerra è comune nei media popolari e nella comunità medica e di ricerca.
Anche se può motivare gli sforzi per affrontare il problema, questo tipo di linguaggio e di messaggio può anche creare paura e stigma, trasformando i pazienti in vittime e sottraendo risorse di fondamentale importanza per la prevenzione e la cura, ha detto Daniel R. George, assistente professore di umanità medica alla Facoltà di Medicina della Penn State University.
Nonostante decenni di fallimenti nello sviluppo di farmaci per l'Alzheimer, l'attenzione scientifica continua a concentrarsi sui farmaci che "attaccano" un composto molecolare chiamato amiloide-beta, con l'obiettivo di curare la malattia. L'amiloide è un componente chiave delle placche nel cervello che sono un segno distintivo della malattia.
La ricerca, tuttavia, dimostra che la comparsa dell'amiloide non si correla con i sintomi clinici e l'amiloide-beta viene continuamente trovato nel cervello di un terzo degli anziani "normali". Questo suggerisce che l'amiloide può essere un sintomo piuttosto che una causa di danni.
Un numero crescente di ricercatori crede che dichiarare "guerra" all'Alzheimer, "attaccando" l'amiloide, possa in definitiva essere un esercizio di autolesionismo, in particolare se l'amiloide rappresenta la risposta riparativa del cervello, e può deviare le risorse da altri approcci basati su farmaci che non danno per scontata la tossicità dell'amiloide.
Gli studiosi sostengono che le metafore e le narrazioni che trattano la malattia come qualcosa da attaccare possono essere socialmente dannose per le persone colpite. Il valore di tali metafore può essere più chiaro per le malattie infettive causate da singoli agenti patogeni. Ma diventa più problematico quando si parla di sindromi diverse associate all'età come l'Alzheimer, che possono non essere completamente curabili. In questo senso, le metafore di guerra in medicina possono suscitare modi di pensare che possono essere scientificamente e socialmente non produttivi.
"Se applicate in modo distratto, le metafore di guerra possono deludere il nostro senso di ciò che è possibile terapeuticamente, e dare false speranze alle persone e ai caregiver che stanno soffrendo", ha detto George.
George e i co-autori propongono di muoversi verso tipi diversi di metafore, quelli che incoraggiano l'uso di parole come "rallentare" o "rinviare" piuttosto che "prevenire" o "curare", e enfatizzano la formazione di "resilienza" contro i processi di invecchiamento del cervello piuttosto che l'obiettivo di "vittoria assoluta" sulla malattia. Anche se è importante "combattere" e "sconfiggere" l'Alzheimer, attraverso lo sviluppo di farmaci, gli autori sostengono che può essere più saggio riconoscere che l'Alzheimer non è una malattia scollegata dal processo di invecchiamento, come la poliomielite o la malaria.
Gli autori fanno notare che l'Alzheimer è stato classificato come malattia negli ultimi 40 anni. Essi suggeriscono che può essere più vantaggioso adottare un approccio orientato al ciclo di vita, che comprende l'informazione sui fattori di rischio biologici, psicosociali e ambientali noti, gli investimenti in programmi sociali e in infrastrutture che supportano la salute del cervello, e garantire l'assistenza alle persone colpite e ai loro caregiver.
"Un componente esplicito della nostra risposta sociale all'Alzheimer dovrebbe essere costituito da iniziative di salute pubblica che riducono i fattori di rischio vascolare, modulano lo stress ossidativo e l'infiammazione, mettono in guardia dalle lesioni cerebrali traumatiche, promuovono l'impegno sociale e l'apprendimento permanente, e riducono l'esposizione alle neurotossine, e altre azioni di buon senso, anche se non sono così redditizie come lo sviluppo di farmaci", hanno scritto i ricercatori sull'American Journal of Bioethics.
George ha attirato in particolare attenzione sui residenti di Flint nel Michigan, esposti al piombo (una neurotossina) attraverso la fornitura di acqua: "E' inammissibile che siamo riusciti a lasciare fallire le nostre infrastrutture pubbliche al punto da diventare un rischio di Alzheimer per i cittadini socio-economicamente svantaggiati", ha detto George. "Se vogliamo davvero affrontare il problema dell'Alzheimer, dobbiamo cominciare a non avvelenare i nostri cittadini".
Andare oltre la nozione di guerra contro l'Alzheimer potrebbe anche servire per umanizzare l'invecchiamento cognitivo: "C'è un mito ampiamente accettato che le persone che hanno l'Alzheimer sono una sorta di non-persone, simili a zombie. Ci sono modi per costruire significato intorno alla perdita di memoria che mostrano una maggiore compassione e solidarietà verso le persone con fragilità cognitiva, piuttosto che vederli come vittime passive della nostra guerra biologica contro la malattia. Noi crediamo in un messaggio più umano: che, anche in caso di diagnosi di 'probabile Alzheimer' si può comunque avere una vita con scopo profondo, contributo sociale e relazioni significative".
Fonte: Penn State University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Daniel R. George, Erin R. Whitehouse, Peter J. Whitehouse. Asking More of Our Metaphors: Narrative Strategies to End the “War on Alzheimer's” and Humanize Cognitive Aging. The American Journal of Bioethics, 2016; 16 (10): 22 DOI: 10.1080/15265161.2016.1214307
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