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Test per predire il rischio di demenza

Ricercatori del Queensland Institute of Medical Research (QIMR), insieme a collaboratori del Brain and Ageing Research Program dell'University of New South Wales, hanno dimostrato per la prima volta che la risposta del cervello a un maggioe stress mentale può prevedere un declino futuro nel funzionamento quotidiano.

"Si tratta di una scoperta emozionante", ha detto il professor Michael Breakspear, coordinatore del programma di Salute Mentale e Disturbi Complessi del QIMR.

"La rilevazione accurata di tutti i soggetti a rischio prima che si presentino segni clinici di demenza consentirebbe interventi mirati di prevenzione precoci. La capacità di eseguire le funzioni di tutti i giorni è la competenza chiave che permette alle persone di rimanere a casa con le loro famiglie, limitando in tal modo il disagio e l'onere finanziario della demenza. Con una popolazione che sta invecchiando e 981.000 australiani previsti con demenza entro il 2050, questa scoperta ha enormi implicazioni per la salute pubblica. Abbiamo studiato gli australiani di età compresa tra 70 e 85 anni con decadimento cognitivo lieve, che è un noto fattore di rischio per la demenza. E' stata data loro una serie di compiti di memoria di crescente difficoltà ed è stata monitorata la loro attività cerebrale; si pensi ad un test di stress per il cuore, ma invece di correre su un tapis roulant, li abbiamo fatti pensare fino all'esaurimento mentale e abbiamo misurato l'attività cerebrale".

"Usando l'immagine di una scansione del cervello, siamo stati in grado di rilevare minime variazioni di attività cerebrale. Abbiamo studiato i pazienti dopo due anni e abbiamo scoperto che la loro risposta iniziale al test da sforzo aveva previsto se il loro funzionamento quotidiano era stabile o diminuito. Quello che è interessante è che abbiamo trovato che il livello di accuratezza quando il cervello è in condizioni di stress è anche un buon indicatore del futuro declino mentale. È interessante notare che gli altri indici potenziali, come età, anni di istruzione, volume del cervello e funzionalità cognitiva generale, non hanno previsto il risultato finale".

I ricercatori sperano di espandere la propria ricerca attraverso lo studio di gruppi di persone più grandi, monitorandoli per lunghi periodi di tempo e utilizzando le informazioni genetiche. "Alla fine speriamo che la nostra ricerca possa portare a uno strumento clinico per identificare i soggetti a rischio. Ciò consentirebbe un intervento precoce, una migliore scelta dei farmaci disponibili e, quindi, migliorare la vita delle persone affette da questa terribile condizione", ha detto il professor Breakspear.

 

 


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Pubblicato in Health Canal il 4 novembre 2011 - Traduzione di Franco Pellizzari.

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