Un nuovo rapporto di Alzheimer Disease International, scritto dai ricercatori del King College di Londra e dalla London School of Economics and Political Science (LSE), ha scoperto che la stragrande maggioranza delle persone con demenza non hanno ancora una diagnosi e chiede una trasformazione globale dell'assistenza sanitaria.
Esso sostiene, inoltre, che devono essere sviluppate strategie incentrate sulla prevenzione e sulla valutazione dei rischi, e allo stesso tempo riequilibrare le cure primarie non specialiste.
Diagnosi e costi
Il rapporto suona l'allarme sul rapido aumento dei casi di demenza in tutto il mondo, le cui proiezioni li fanno triplicare entro il 2050. Un aspetto particolarmente preoccupante è il basso livello di diagnosi di demenza che impedisce ai pazienti di avere accesso a cura e trattamento. I ricercatori hanno notato che circa la metà delle persone con demenza (40-50%) nei paesi ad alto reddito, e uno su dieci o anche meno (5-10%) nei paesi a basso e medio reddito, ricevono una diagnosi.
Nei paesi ad alto reddito, i costi dell'assistenza sanitaria sono più elevati per coloro che soffrono di demenza rispetto ai controlli di pari età, con una parte sostanziale dei costi derivanti dal ricovero in ospedale. Gilles Pargneaux, deputato socialista francese, ha recentemente detto che la demenza costa all'Europa 123 miliardi di € all'anno, in termini di spese mediche e di assistenza sociale.
Secondo il rapporto ci dovrebbe essere un cambiamento radicale nel modo in cui l'assistenza sanitaria viene offerta alle persone che vivono con demenza, concentrandosi maggiormente sulle cure primarie non specialiste: "Un maggiore coinvolgimento del personale non specializzato delle cure primarie può sbloccare la capacità di soddisfare la crescente domanda di cura della demenza, e potrebbe abbassare fino del 40% il costo delle cure per persona".
Il personale di assistenza primaria è composto dai medici e infermieri non specialisti nelle comunità, che sono in genere il primo punto di contatto con il sistema sanitario.
Assistenza sanitaria di base
Martin Prince, l'autore principale del rapporto del King College di Londra, ha detto che è improbabile che gli attuali modelli specializzati di cura della demenza (dove agiscono geriatri, neurologi e psichiatri) siano in grado di ingrandirsi fino a prendersi cura del crescente numero di individui con demenza, soprattutto nei paesi a reddito basso e medio.
"Ci sono evidenze che quando i medici di assistenza primaria si assumono la responsabilità della cura della demenza possono ottenere risultati simili agli specialisti. Gli infermieri possono essere «case manager» [=gestire i casi], e fare valutazioni diagnostiche e revisioni", ha detto.
Prince ha spiegato che la formazione è fondamentale se i medici di assistenza primaria devono assumere un ruolo maggiore nel trattamento di pazienti di demenza. Questo, ha detto, può essere raggiunto attraverso la definizione di un 'percorso' per la cura della demenza, con ruoli chiaramente definiti per i medici di assistenza primaria, gli specialisti e altri che devono lavorare in modo collaborativo.
"Gli specialisti dovranno assumere un ruolo di primo piano nella formazione e supervisione dei non specialisti in compiti più generali", ha detto Prince. "Nei paesi a basse risorse, è necessario un maggiore impegno per rafforzare l'assistenza sanitaria primaria. Questi sono gli elementi che devono essere contenuti in un piano nazionale sulla demenza, stanziando finanziamenti in ogni paese", ha aggiunto, sottolineando che è necessario uno sforzo maggiore per integrare la demenza nel settore sanitario primario.
Il professor Craig Ritchie, direttore del Centro Prevenzione della Demenza all'Università di Edimburgo, ha detto che le cure primarie o non specialiste hanno due ruoli principali: quello legato alla diagnosi e un altro legato alla prevenzione.
"Ci sono ancora molte persone nel mondo che non sono stati diagnosticati con demenza che vivono con questa condizione; Penso che ci sia un ruolo particolare che ha l'assistenza primaria nel fare queste diagnosi", ha detto. "Per esempio, dobbiamo vedere chi lo fa meglio durante l'intera evoluzione della malattia. L'inizio forse richiede più valutazione specialistica nel fare una diagnosi, ma nel corso della malattia le cure primarie sicuramente avranno un ruolo molto importante, se non addirittura di guida".
Per quanto riguarda la prevenzione, ha sottolineato che, anche se gli sforzi sono giustamente concentrati sullo sviluppo di nuovi farmaci, probabilmente ci sono molte cose da fare per mitigare il rischio, come promuovere migliore dieta ed esercizio fisico, e uno stile di vita più sano: "E' chiaro che c'è un ruolo per i medici di base in questo, come c'è in altre condizioni croniche come il diabete o le malattie cardiache. Perciò i medici di medicina generale, non solo hanno un ruolo nel fare le diagnosi, ma anche uno molto critico in termini di prevenzione e mantenimento della salute del cervello".
Cosa può fare la famiglia?
Per Ritchie, la famiglia e i parenti stretti hanno un ruolo fondamentale. Vivere con qualcuno affetto da demenza ha un forte impatto sul benessere dei famigliari che potrebbero avere bisogno di sacrificare la loro vita professionale per occuparsi del paziente, oltre alle difficoltà di vedere il progredire della malattia di una persona cara.
Secondo Ritchie la famiglia potrebbe anche aiutare a identificare i primi sintomi: "Quindi i membri della famiglia devono essere incoraggiati e avere l'opportunità di cercare assistenza se sono preoccupati della memoria di una persona cara", ha sottolineato, dicendo che il primo punto di contatto è spesso il medico di famiglia.
I famigliari dovrebbero essere coinvolti nel processo di terapia, aiutando a ottimizzare il trattamento, ribadisce Ritchie. Ma le famiglie non possono sopportare tutto il peso, ha avvertito: "Una buona cura deve anche riflettere e gestire le esigenze dei famigliari che possono aver dei propri bisogni di salute fisica e mentale nel ruolo di assistenza".
La sensibilizzazione nell'UE
L'ultima indagine sullo stato di cura della demenza in Europa ha mostrato che metà dei caregiver dedicano almeno 10 ore al giorno al loro caro, e solo il 17% di loro ritiene che il livello di cura per gli anziani nel loro paese sia buono. Essi hanno inoltre rilevato che le informazioni che hanno ricevuto al momento della diagnosi erano "inadeguate", e hanno chiesto maggiori informazioni sui trattamenti farmacologici.
Quattro su cinque hanno detto che volevano maggiori informazioni sui servizi di aiuto e di supporto e solo due su cinque sono stati informati dell'esistenza di un'associazione Alzheimer. "Forse la maggiore preoccupazione è che più della metà non hanno accesso a servizi come l'assistenza domiciliare, assistenza diurna o residenziale / casa di cura, e quando questi servizi sono disponibili, molti caregiver devono pagarli essi stessi", si legge nella relazione.
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Un altro rapporto (Mapping dementia-friendly communities across Europe), commissionato dalla European Foundations’ Initiative on Dementia (EFID) e realizzato nel 2014-2015 dalla Mental Health Foundation (organizzazione non governativa della GB), specifica la necessità di comunità amichevoli con la demenza in tutta Europa.
Il rapporto intendeva dare informazioni pratiche per sostenere le buone pratiche intorno ad ambienti sostenibili, inclusivi e di supporto per le persone che vivono con demenza e i loro caregiver.
Tra l'altro, i ricercatori hanno suggerito che chi soffre di demenza dovrebbe essere incluso attivamente, e coinvolto nella comunità in cui vive. Anche l'aumento della sensibilizzazione sulla demenza è stato evidenziato dai ricercatori, secondo i quali "le informazioni poco chiare possono essere fuorvianti e rischiare inavvertitamente di peggiorare lo stigma".
Fonte: Sarantis Michalopoulos EurActiv.com (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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