In questa foto di Dicembre 2014, la poetessa Molly Meyer lavora con gli ospiti di una casa di cura per creare poesia ispirata da oggetti. La Meyer usa la terapia poetica per aiutare le menti dei malati di Alzheimer. (Foto: Ashley Landis/The Dallas Morning News via AP)
Un'anatra era abituata a seguire la madre di Molly Meyer fino a casa quando tornava da scuola. Forse sembra una cosa banale, quell'anatra, in una vita che è durata 83 anni, con quattro figli, un marito burbero ma adorante e una carriera nel mercato immobiliare che le ha permesso di viaggiare per il mondo.
Ma verso la fine, dopo che l'Alzheimer aveva cancellato la maggior parte di ciò che contava nella sua vita, questo è quello che le aveva lasciato: il lampo di un ricordo dell'infanzia.
"Ha parlato dell'anatra e poi è morta", ha detto la Meyer, proprietaria della «Mind’s Eye Poetry» [Poesia dell'occhio della Mente], una ditta di Allen nel Texas, che usa il linguaggio come terapia per i malati di Alzheimer. "Nel corso della mia vita, probabilmente mi ha detto 20 volte come aveva chiamato quell'anatra, ma ero troppo impegnata per ascoltare".
Il rimpianto può essere inevitabile alla fine.
L'Alzheimer è chiamata malattia del lungo addio, ma per la Meyer è successo tutto troppo in fretta. Suo padre è morto della malattia della memoria nel 2011, e sua madre non c'era già più un anno dopo. All'incirca nello stesso periodo, ha finalizzato il divorzio dal marito che aveva avuto per 25 anni. "Sto ancora cercando di riprendermi", ha detto al Dallas Morning News, provando un sorriso incerto illuminato dal dolore. "E' stata una cosa di abbandono. Mi sentivo come un usa e getta".
Ma in mezzo all'acrimonia e alle fatiscenti facciate del matrimonio, la Meyer di tanto in tanto pensava all'anatra. Era una metafora, ovviamente - dobbiamo ascoltare i nostri cari ora, perché domani potrebbero diventare silenti - ma forse era anche una parabola e un ammonimento.
La Meyer rimpiangeva ogni momento perso con la madre. Si sentiva in colpa per ogni volta che era impaziente e ogni volta che ha combattuto l'Alzheimer per un ricordo, e ha perso. "Pensi di essere preparata e non lo sei", ha detto. "Sai che hanno una malattia terminale, ma solo sapere che non stanno respirando è così devastante".
La Meyer ha vissuto 40 dei suoi 52 anni a Phoenix. Si è sposata e ha cresciuto tre dei suoi quattro figli lì. Ma dopo che i suoi genitori sono morti, e il suo matrimonio è finito, non c'era alcun motivo per restare. Lei e sua figlia si sono trasferite ad Allen due anni fa.
Certamente la somma della sua vita - l'insegnamento alle medie, gestire una piccola ditta, la saggezza acquisita sopravvivendo al dolore - non poteva essere misurata matematicamente, una semplice divisione dei beni coniugali. Ma a volte si sentiva in quel modo.
La Meyer era sola con una 13enne, un master in poesia e un'idea. La gente dice che ci si può ricreare sempre. Ma è davvero possibile? La Meyer ha descritto la sua decisione in questo modo: "Mi sono semplicemente seduta e ho cercato di capire cosa avrei potuto fare con il mio insieme strano di capacità".
Sarebbe ingiusto dire che la Meyer è tesa. Lei non lo è, ma c'è una qualità di reazione in lei, una tensione, come se qualcosa sotto la superficie fosse tesa per liberarsi. "Scrivere mi permette di elaborare le cose e superare le angosce", ha detto. "La mia disposizione non mi permette di rilassarmi, ma con uno sbocco creativo, posso convivere con le cose in modo positivo".
Quel giorno, un Mercoledì mattina alla Belmont Village Senior Living di Oak Lawn, la Meyer dava il ritmo di fronte a un gruppo di anziani con vari gradi di perdita di memoria. E ripeteva un ritornello: "La mia scatola di ricette è una scatola della memoria".
Non sembrava promettente. Alcune persone dormivano, altre guardavano avanti con gli occhi vuoti. La Meyer inizia ogni "facilitazione alla poesia" allo stesso modo: con una versione adulta di «show and tell», mostrare [un oggetto] e parlare [di esso]. Fa circolare oggetti tattili - in questo caso una trapunta fatta da sua madre, un asciugamano fatto in casa con la ricetta del salsa di suo padre, un pupazzo di scimmia di suo figlio, fatto con i calzini - e invita le persone a toccarli e ad immaginare il loro significato emotivo.
L'idea, ha spiegato in seguito, è indurre la classe a pensare al valore della famiglia e a quello dei cimeli cari che le persone si lasciano alle spalle. Una volta messo a fuoco, inizia a sondare i ricordi. "Ditemi qual è la vostra specialità, quello che sapete fare bene", dice, scrutando le 13 facce riunite intorno a un tavolo, che chiedevano una ricetta. "O forse anche meglio, ditemi che cosa hanno fatto vostra madre o la nonna".
La risposta è stata immediata. "Dolciumi", dice Virginia Meyers, una 92-enne da Fort Worth. Pungolata, aggiunge dei dettagli: era un dolce al cioccolato fatto dalla nonna. "Ok, dimmi qualcosa della nonna", insiste la Meyer. "Perché era speciale? Riesci ad immaginare che aspetto aveva o quello che indossava mentre stava facendo il dolce?".
Nessuna risposta reale. "OK, cosa rendeva quel dolce così speciale?", allora chiede la Meyer. La donna si è fermata, i capelli d'argento incorniciano un viso con rughe profonde. "Beh, credo guardare mentre lo faceva, più di ogni altra cosa", ha detto. "Oh, questo mi piace", ha risposto la Meyer, scarabocchiando su un blocco note. "Guardare che lo faceva piuttosto che mangiarlo. Mi piace".
Ed è finita lì. Nel corso dei successivi minuti, la Meyer si è lanciata attorno alla stanza, come se stesse cercando di convertire la sua energia cinetica in strofe. Portava stivali, perle e una giacca al ginocchio a scacchi in bianco e nero. I suoi capelli erano tirati su (come Liza Minnelli, ma con riflessi ramati), e con un portamento verticale e angolare.
Non un poeta della «beat generation». Il suo discorso è ritmato, ma c'è tenerezza nella brevità. Abbraccia, tocca le mani, conforta. E sembra funzionare. Nel corso dei successivi minuti, la Meyer ha affilato la scena poetica - una giovane ragazza diritta ai piedi di sua nonna, in attesa della possibilità di leccare la ciotola.
"Questo è quello che succede anche a me. Mia figlia vuole leccare gli sbattiuova", ha detto la Meyer. "Ma oggi non possiamo permetterlo, a causa delle uova, dicono che ci si può ammalare dalle uova". Risa soffocate rimbalzarono intorno al tavolo.
Barbara Hegg, di 83 anni, si sporse in avanti con malizia negli occhi. "Sai una cosa, non è incredibile che abbiamo superato tutto questo?". La Meyer sembrava godere di queste nervature bonarie.
La poesia si è impantanata quando il gruppo ha cercato di descrivere le ultime leccate alla ciotola. Una donna ha suggerito "avanzi". Poi, l'89-enne Virginia Bickel ha detto lì per lì: "Bene, eravamo abituati a chiamarla inzuppare il piatto". La Meyer si aggrappa. "Questa è una grande espressione", ha detto. "Non l'ho mai sentita. Mettiamola nella poesia".
Per la fine dell'esercizio, le voci si sovrapponevano e la Meyer faticava a tenere il passo. Non è sempre così facile. Questa è la classe più avanzata della Meyer. Ella scrive poesie in diversi centri di cura della memoria intorno a Dallas, con le persone nelle fasi più avanzate della malattia.
Ma anche nei casi più strazianti, la Meyer trova le gemme. Una volta, la Meyer si è seduta con una donna di nome Charlotte, che ha allevato quattro ragazzi diventati tutti medici. La Meyer ha chiesto: "Charlotte, qual è il segreto della vita?" "Oh tesoro, è facile", ha risposto Charlotte. "Devi vedere il buono nelle persone, anche se non c'è".
Gli scienziati non sono sicuri se le classi di poesia - o di musica, pittura o ceramica - rallentino la progressione dell'Alzheimer. Ma la ricerca suggerisce che l'esercizio che richiede la memorizzazione, come ballare la salsa o il tai-chi, rinforza il corpo e il cervello, tanto quanto lo fa per qualcuno che è sano.
Sandra F. Simmons, professore associato al Centro per l'Invecchiamento di Qualità della Vanderbilt University, ha guidato un team che ha studiato i programmi di Alzheimer alla Belmont Village di Nashville, uno studio ora in fase di espansione a ciascuna delle 23 strutture della catena, compresa quella di Dallas.
Lei ha detto che le persone con demenza sono spesso socialmente isolate, depresse e agitate. Molte trascorrono le giornate da sole in camera, dormendo. Ciò è cambiato dopo un anno di attività strutturate, stimolanti per la mente. "La cognizione è leggermente migliorata, ma ancora più importante, abbiamo visto una marcata differenza nella loro qualità di vita", ha detto la Simmons. "La poesia è un nuovo approccio, ma non sarei sorpresa di vedere alcuni degli stessi benefici di fondo".
La chiave è la partecipazione attiva. Lei ha detto che parcheggiare i pazienti di Alzheimer in una stanza con la musica classica non funziona. Ma potrebbe farlo un'attività in cui i pazienti devono tenere il tempo con la musica, battendo le mani due volte ad ogni battuta.
La Meyer vede la prova di questo anche nelle sue classi di poesia. Quando la gente si connette, di tanto in tanto prendono vita. "Basta sedersi con qualcuno faccia a faccia", ha detto. "E portare loro le cose dalla loro vita - un vaso, un orologio da tasca, qualsiasi cosa - e dire: «Guarda questo. Qual è la prima cosa che pensi?» E semplicemente iniziare a scrivere, perché cominceranno a parlare. Se avete la pazienza di scriverlo, non ve ne pentirete mai".
Fonte: Scott Farwell/Associated Press in Washington Times (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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