L'autrice dell'articolo con il padre nel 2009.
Avrei dovuto sapere che c'era uno stigma che circonda il morbo di Alzheimer (MA), perché quando ho appreso della diagnosi di mio padre, sentivo come se fosse scesa un ombra sulla mia famiglia.
Tutto quello che avevo sentito della malattia era stato detto quasi in segreto, come se le parole non dovessero essere pronunciate. Mia madre non voleva che nessuno - comprese le sue tre figlie - sapessero che papà aveva avuto la diagnosi di MA, fino a quando non fosse stato assolutamente necessario. Temeva che avremmo potuto pensare che mio padre era in qualche modo meno l'uomo brillante e amorevole che era sempre stato.
Durante tutto il viaggio con il MA di mio padre, sono arrivata a capire lo stigma del MA attraverso le parole negative così spesso usate per parlarne. La semplice menzione della parola 'Alzheimer' evocava un forte sentimento negativo, che andava dalla perdita e la pietà, alla paura e anche al dolore. Ora so che forse il più grande danno per una persona che vive con il MA, e per coloro che la amano, è il danno che deriva dal linguaggio che usiamo per parlarne.
Un tempo familiare con questo stigma, ho subito capito che era contrario sia alla mia filosofia che all'esperienza con mio padre. Scegliere parole diverse ha fatto la differenza. Mio padre era una persona meticolosamente pulita, ed era preciso per l'abbigliamento e l'aspetto. In alcune occasioni, un caregiver ha preso delle scorciatoie sull'igiene o l'aspetto di mio padre. Era come se pensasse che ciò che era importante per lui non era davvero un problema, perché era in qualche modo venuto meno a causa della sua malattia. Ma sapevo che mio padre e la sua vita erano diversi, non inferiori.
I sintomi della dimenticanza, e le conseguenti difficoltà a gestire le attività, un tempo erano accettate come parte normale della vita dalle famiglie, che allora si occupavano del benessere e della sicurezza dei loro cari. Oggi, il MA e le altre demenze sono identificate sulla base dei sintomi. Anche se etichettare una persona con una diagnosi può aiutarla ad ottenere il trattamento per i suoi sintomi specifici, l'etichetta può anche essere un obiettivo per informazioni inesatte e un linguaggio insensibile.
Ecco tre principi guida che ho usato per contribuire a spostare il dialogo sulla malattia di mio padre da uno che era potenzialmente offensivo per lui e per noi, a uno che era profondo, accurato e di aiuto, principi guida che tutti noi possiamo usare per contribuire a migliorare le esperienze di coloro che vivono con il MA.
1. Positività
Sappiamo che ci sono cose negative sulla vita con questa malattia. Ma attraverso il viaggio di mio padre, ho visto che c'è molto da essere positivi. Una persona che vive con MA continua ad avere decine di miliardi di cellule cerebrali attive che funzionano correttamente. Quelle cellule permettono di continuare una vita con possibilità.
2. Accuratezza
Avevo sentito persone dire “Ho perso il mio caro". Ho imparato che, mentre questo può essere percepito come emotivamente vero, la verità è che non è perso. Confrontalo con la dichiarazione “Il mio caro non mi riconosce, ma io ancora lo riconosco”. Tale dichiarazione tiene conto di ciò che resta.
Avevo sentito dire che il MA “rende miserabile una persona”. Ho imparato che, anche se aggressività e agitazione sono sintomi noti della malattia, non sono condivisi da ogni persona che ne è affetta. Nelle rare occasioni che abbiamo visto questi comportamenti in mio padre, lui era stato maltrattato in qualche modo. Queste dichiarazioni generiche e la presunzione che i comportamenti negativi siano abituali, colorano la nostra visione del MA.
Anche i professionisti della sanità, con le loro esigenze di tempo, possono usare parole insensibili di fronte ai pazienti e ai loro cari. “Cerco di assicurarmi che i miei clienti siano trattati con rispetto e dignità durante le visite mediche. Sono rimasta sbalordita quando ho sentito un neurologo dire a un paziente ‘Non sei demente' ", ha detto Roseanne Geisel, una aiutante di pazienti della Virginia del Nord.
Per chi vive con la malattia, che fa parte di un gruppo di sintomi chiamati demenza, sentirsi dire “demente” (che significa essere pazzo, malato di mente, squilibrato, folle) richiama comportamenti indesiderati, al contrario di descrivere una persona malata e anche apprezzata. Una persona che vive con la demenza è una persona. Un riferimento ad un paziente demente implica che la malattia definisce l'identità di una persona, si assegna la malattia alla persona.
3. Sensibilità e protezione del linguaggio di Alzheimer da scherzi e uso improprio
Al di là dello stigma, ho visto come il linguaggio incurante usato per umorismo può essere insensibile e dannoso sia per la famiglia che per il paziente con MA. Affermazioni come “Ho perso la testa”, o “Ho un momento di Alzheimer” possono essere intese come scherzo, ma possono essere dannose per coloro che sono stati toccati dalla malattia. Il MA è una malattia diagnosticabile, non una caratteristica, e gli scherzi sminuiscono la sua gravità. Essi possono anche consolidare l'incomprensione della malattia e alimentare lo stigma.
Lavorando per cambiare il mio linguaggio da inesatto e timoroso, a preciso, sensibile e amorevole, ho fatto la mia parte nel mostrare con l'esempio che le persone con MA non vivono nelle ombre delle tenebre e della vergogna, ma con possibilità illimitate per continuare una vita piena di significato.
Mio padre ha vissuto circa 20 anni con il MA. Ha detto qualcosa di rilevanza personale a sua moglie e a ogni figlia prima di morire nella sua casa di Denver, a 92 anni. Credo che il suo successo nel continuare a vivere una vita piena di significato con il MA sia stato in gran parte dovuto alla volontà della mia famiglia di spostare la nostra prospettiva di limiti e deficit, a una di possibilità senza limiti. Abbiamo usato un linguaggio che ha supportato questa possibilità.
Fonte: Trish Laub in Being Patient (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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