Una nuova ricerca presentata all'EHRA 2025, il congresso scientifico della European Society of Cardiology, mostra che la presenza di fibrillazione atriale (AF) aumenta del 21% il rischio di demenza futura nei pazienti con diagnosi di AF sotto i 70 anni e del 36% il rischio di demenza ad esordio precoce (diagnosticata prima di 65 anni). L'associazione era più forte negli adulti più giovani e non c'era più dopo i 70 anni.
"Questo è il più grande studio europeo basato sulla popolazione a valutare l'associazione tra AF e demenza", affermano gli autori che includono il dott. Julián Rodriguez García del Dipartimento di elettrofisiologia e aritmia del Bellvitge University Hospital di Barcellona in Spagna. "L'associazione tra AF e demenza era più forte nei pazienti di età inferiore ai 70 anni ed era massima per la demenza ad esordio precoce".
La fibrillazione atriale provoca un battito cardiaco irregolare ed è relativamente comune, colpendo il 2-3% della popolazione generale, con una prevalenza che aumenta con l'età. Alcuni studi hanno suggerito un'associazione indipendente tra AF e demenza, mentre altri non sono riusciti a confermare questa relazione. La forza di questa associazione, così come la sua interazione con l'ictus, rimane controversa. "Identificare i sottogruppi con l'associazione più forte può aiutare a comprendere cosa guida questa associazione e informare gli interventi preventivi mirati", spiegano gli autori.
In questo nuovo studio, i ricercatori hanno valutato l'associazione indipendente tra AF e demenza incidente in Catalogna (Spagna). Lo studio osservazionale basato sulla popolazione includeva individui che, nel 2007, avevano almeno 45 anni e non avevano una diagnosi precedente di demenza. La popolazione è stata fornita dal Sistema Sviluppo Ricerca nelle Cure Primarie, che fornisce dati anonimi su oltre l'80% della popolazione catalana.
I casi di demenza incidenti sono stati definiti con un approccio validato basato sulla Classificazione Internazionale Malattie (ICD10) e sui dati di prescrizione per i farmaci correlati alla demenza. La demenza ad esordio precoce (EOD, early-onset dementia) è stata definita come una diagnosi prima dei 65 anni. Il periodo di analisi è stato di 15 anni, dal 2007 al 2021.
Lo studio ha incluso 2.520.839 persone con un periodo medio di analisi di 13 anni. Al basale, 79.820 pazienti (3,25%) avevano una diagnosi registrata di AF. Nelle analisi multivariabili adeguate per i potenziali confondenti, l'AF era nel complesso un predittore statisticamente significativo ma debole della demenza, collegato ad un rischio di demenza che aumentava del 4%.
Tuttavia, è stato riscontrato che l'età influisce significativamente sull'associazione tra AF e demenza. Nelle analisi prespecificate stratificate per età, la forza dell'associazione si è progressivamente indebolita con l'aumentare dell'età: nei pazienti tra 45 e 50 anni, quelli con AF avevano 3,3 volte più probabilità di sviluppare la demenza rispetto a quelli senza AF. Ma negli over-70, non è stata trovata alcuna associazione.
Ulteriori analisi mostrano che l'associazione perde significato statistico dai 70 anni. Al contrario, nei pazienti con diagnosi di AF prima dei 70 anni, la condizione ha aumentato indipendentemente il rischio di demenza del 21%, e un effetto ancora più forte è stato osservato per la demenza ad esordio precoce, con l'AF che ha aumentato il rischio del 36%. Riflettendo sulle potenziali cause dell'associazione, gli autori affermano:
“La demenza è spesso una condizione multifattoriale con risultati neuropatologici misti piuttosto che un singolo processo patofisiologico. Ciò può spiegare perché l'AF ha un impatto maggiore nei pazienti più giovani, dove potrebbe essere uno dei fattori patogeni primari. Al contrario, negli individui più anziani, ulteriori contributori al declino cognitivo, come la neurodegenerazione legata all'età, possono ridurre l'impatto relativo dell'AF".
Le analisi di sensibilità che hanno rimosso i casi di ictus precedente durante il periodo di analisi hanno prodotto risultati simili: l'AF si è associata a un modesto aumento (6%) nel rischio di demenza nella popolazione complessiva, un'associazione più forte (aumento del 23%) in quelli diagnosticati con AF in mezza età (<70 anni) e ha avuto il maggiore effetto verso la demenza ad esordio preoce (+52% di rischio). Pertanto, i pazienti con AF senza ictus precedente comunque hanno un rischio più elevato di demenza, con il maggior rischio osservato nella demenza ad esordio precoce.
Gli autori affermano: “La fibrillazione atriale è un fattore di rischio per l'ictus e l'ictus è un fattore di rischio per la demenza. Tuttavia, l'osservazione che l'associazione tra AF e demenza rimane invariata dopo aver escluso i pazienti con ictus precedente indica che altri meccanismi devono essere coinvolti nell'aumento del rischio di demenza tra i pazienti con AF. Questi meccanismi possono includere ictus silenziosi, che significa che non hanno sintomi clinici e non possono essere diagnosticati con TC e MRI, nonché microinfarti e microsanguinamenti".
Per quanto riguarda ulteriori potenziali meccanismi che collegano AF e demenza, gli autori affermano: “I cambiamenti emodinamici, che comportano alterazioni del flusso e della pressione del sangue nel corpo causate dall'AF e dalla disregolazione autonomica, che si riferisce a uno squilibrio nel modo in cui il corpo controlla le funzioni automatiche come la frequenza cardiaca, la respirazione, o la pressione, potrebbero avere un ruolo nella malattia dei piccoli vasi (microangiopatia) associata alla demenza. In più l'infiammazione sistemica associata all'AF può amplificare questi effetti, creando un percorso sinergico che aumenta ulteriormente il rischio di demenza".
Nel complesso, concludono: “Lo studio dimostra un'associazione significativa e forte nei pazienti più giovani tra due patologie - fibrillazione atriale e demenza - che sono tra le principali sfide sanitarie del 21° secolo. Ora dovremmo indagare se le strategie di rilevazione precoce e la gestione aggressiva della fibrillazione atriale nei pazienti più giovani possono aiutare a ridurre il rischio di demenza e cambiare il corso naturale della malattia”.
Fonte: European Society of Cardiology (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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