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Studio individua fonte di radicali liberi nel cervello che può alimentare la demenza

Astrocytes green with more STAT3 activatiion magentaAstrociti (verdi) aumentano i livelli di attivazione di STAT3 (pSTAT3, magenta) in un topo modello di demenza. (Fonte: Daniel Barnett/WeillCornellMed)

Ricercatori della Weill Cornell Medicine di New York hanno scoperto che i radicali liberi generati in un sito specifico delle cellule cerebrali non neuronali chiamate astrociti, possono favorire la demenza. I risultati, pubblicati su Nature Metabolism, hanno dimostrato che il blocco di questo sito riduce l’infiammazione del cervello e protegge i neuroni, suggerendo un nuovo approccio terapeutico per i disturbi neurodegenerativi, tra cui la demenza frontotemporale e l'Alzheimer.


"Sono davvero entusiasta del potenziale traslazionale di questo lavoro", ha affermato la dott.ssa Anna Orr, prof.ssa associata di ricerca sulla demenza frontotemporale alla Weill Cornell, che ha condiretto questa ricerca. “Ora possiamo puntare meccanismi specifici e individuare i siti esatti rilevanti per la malattia”.


I ricercatori si sono concentrati sui mitocondri, strutture metaboliche all’interno delle cellule che generano energia dal cibo e, nel processo, rilasciano molecole note come specie reattive dell’ossigeno (ROS). A bassi livelli, i ROS hanno un ruolo importante nella funzione cellulare, ma possono essere dannosi se prodotti in eccesso o nel momento sbagliato. "Decenni di ricerca implicano i ROS mitocondriali nelle malattie neurodegenerative", ha affermato il dott. Adam Orr, assistente professore di ricerca in neuroscienze alla Weill Cornell, che ha condiretto questa ricerca.


Considerati questi legami patologici, alcuni sforzi per combattere i disturbi neurodegenerativi si sono concentrati sull’uso di antiossidanti per assorbire queste fuoriuscite di sostanze chimiche. "Ma la maggior parte degli antiossidanti testati negli studi clinici hanno fallito", ha detto il dott. Adam Orr. “Questa mancanza di successo potrebbe essere correlata all’incapacità degli antiossidanti di bloccare i ROS alla fonte e di farlo in modo selettivo senza alterare il metabolismo cellulare”.


Quando era ricercatore post-dottorato, il dott. Adam Orr cercò una soluzione a questo problema: "Ho sviluppato una piattaforma unica per la scoperta di farmaci per identificare molecole che sopprimono con precisione la produzione di ROS da singoli siti nei mitocondri senza disturbare altre funzioni mitocondriali". I ricercatori hanno identificato diverse piccole molecole chiamate S3QEL (“sequel”) che potrebbero avere un potenziale terapeutico nel bloccare i ROS.

 

Puntare la fonte

I ricercatori hanno puntaato il Complesso III, un sito del metabolismo ossidativo che tende a spingere i ROS dai mitocondri al resto della cellula, dove i ROS hanno maggiori probabilità di distruggere componenti cellulari vitali. Sono rimasti sorpresi nello scoprire che i ROS non provenivano dai mitocondri dei neuroni, ma erano prodotti dagli astrociti, cellule di supporto coltivate insieme ai neuroni.


"Quando abbiamo aggiunto gli S3QEL, abbiamo trovato una protezione neuronale significativa, ma solo in presenza di astrociti", ha affermato Daniel Barnett, dottorando del laboratorio Orr e primo autore. “Ciò ha suggerito che i ROS provenienti dal Complesso III causano almeno parte della patologia neuronale”.


Ulteriori esperimenti hanno rivelato che l’esposizione degli astrociti a fattori legati alla malattia, come molecole neuroinfiammatorie o proteine ​​associate alla demenza, come l’amiloide-beta, ha aumentato la produzione di ROS mitocondriali delle cellule. Gli S3QEL hanno soppresso gran parte di questo aumento, mentre il blocco di altre potenziali fonti di ROS cellulari non è stato efficace. Barnett ha determinato che i ROS ossidano alcune proteine ​​immunitarie e metaboliche legate alle malattie neurologiche.


Ha anche scoperto che questo influenza l’attività di migliaia di geni, in particolare quelli coinvolti nell’infiammazione del cervello e associati alla demenza. Questo grado di specificità era inaspettato e intrigante. "La precisione di questi meccanismi non era stata colta in precedenza, in particolare nelle cellule cerebrali", ha detto la dott.ssa Anna Orr. "Ciò suggerisce un processo molto sfumato in cui scatenanti specifici inducono i ROS da specifici siti mitocondriali a influenzare obiettivi specifici".

 

La specificità è fondamentale

Quando i ricercatori hanno somministrato il loro inibitore S3QEL ROS a topi modello di demenza frontotemporale, hanno scoperto che riduceva l’attivazione degli astrociti, attenuava i geni neuroinfiammatori e riduceva una modificazione tau osservata nei pazienti con demenza, anche quando il trattamento veniva iniziato ben dopo l’inizio del processo patologico. Il trattamento prolungato con S3QEL ha prolungato la vita dei topi, è stato ben tollerato e non ha prodotto effetti collaterali evidenti, cosa che la dott.ssa Anna Orr attribuisce alla sua specificità unica.


Il team spera di sviluppare composti come nuovo tipo di terapia, in collaborazione con il chimico farmaceutico dott. Subhash Sinha, professore di ricerca in neuroscienze alla Weill Cornell. Allo stesso tempo, i ricercatori continueranno a esplorare il modo in cui i fattori legati alla malattia influenzano la produzione di ROS nel cervello. Hanno inoltre in programma di esaminare se i geni associati a un rischio aumentato o ridotto di malattie neurodegenerative influenzano la generazione di ROS da specifici siti mitocondriali.


"Lo studio ha davvero cambiato il nostro modo di pensare ai radicali liberi e ha aperto molte nuove strade di indagine", ha affermato il dott. Adam Orr.


Nella rivista viene evidenziato il potenziale di questi risultati per aprire nuovi approcci di ricerca sull’infiammazione e sulla neurodegenerazione.

 

 

 


Fonte: Weill Cornell Medicine (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: D Barnett, [+10], AL Orr. Mitochondrial complex III-derived ROS amplify immunometabolic changes in astrocytes and promote dementia pathology. Nat Metab, 2025, DOI

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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