'Mio nonno ha vissuto una vita piena e felice, priva dello stress che potremmo normalmente associare alla salute carente' (Foto: Christopher Pledger / The Telegraph)Mio nonno, Abbas Jebelli, non era fatto per l'auto-gratificazione. Non ha mai bevuto e si teneva in forma, svegliandosi ogni giorno alle 5 del mattino per fare una camminata sui monti Alborz, a nord di Teheran. Non fumava.
E aveva una buona dieta, con molto pesce, melograni, pistacchi e stufati infusi di verdure, al profumo di rosa, tipici della cucina persiana.
Ha avuto anche una vita priva di stress. Era operatore immobiliare, ma aveva anche ereditato una fortuna da suo padre e quindi era privo di preoccupazioni finanziarie; in realtà non aveva bisogno di lavorare.
Tutti dicono che la vita decisamente salubre di mio nonno spiega poco perché è stato colpito verso la settantina da una delle malattie più terribili e spietate dei tempi moderni: l'Alzheimer.
Quando ho cominciato a studiare l'Alzheimer, non mi aspettavo che sarei riuscito io stesso a curare la malattia, ma volevo capire cosa è successo a mio nonno, dopo aver visto la sua memoria scomparire. Passando dalla formazione post-laurea al dottorato in neuroscienze alla University College di Londra e poi diventando ricercatore post-dottorato, è diventata un'ossessione.
Abbas non ha vissuto a lungo con la sua malattia; come una candela che si consumava, la sua mente è svanita ed se n'è completamente andata entro sette anni. Aveva raggiunto una destinazione sconosciuta, quello che potrebbe succedere a una persona su tre nata nel 2015. Questo è ciò che mi ha spinto ad andare avanti.
Ma che cosa, se c'è, predispone una persona alla demenza? Sempre di più sembra che il neuroscienziato californiano Arthur Toga avesse ragione quando ha risposto semplicemente "sfortuna", alla stessa domanda posta da Terry Pratchett nel 2008. Ironicamente, Toga ha aggiunto che "questa è una malattia di pari opportunità".
Ma mentre leggevo gli studi sulle contromisure di stile di vita - e ce ne sono molte - mi è diventato chiaro che c'è ancora motivo di speranza. Sebbene gran parte delle prove siano preliminari e inconcludenti, e talvolta solo aneddotiche, le considerazioni per lo stress, la dieta, l'esercizio fisico, l'allenamento cognitivo e anche il sonno stanno acquisendo una base scientifica.
Per molti, il primo seme nella gara degli interventi di stile di vita è l'esercizio fisico. Anche l'esercizio moderato può abbassare notevolmente la pressione sanguigna e migliorare la salute cardiovascolare. E sono queste ricompense che sono ritenute in grado di influire direttamente sul rischio di Alzheimer.
Ad esempio, la pressione sanguigna alta in mezza età assegna un rischio grave di Alzheimer. Viceversa, se la pressione sanguigna è troppo bassa, specialmente dopo i 75 anni, la probabilità di Alzheimer aumenta ancora. Perché? Non è chiaro. La maggior parte delle prove indica un legame tra la pressione sanguigna e l'infiammazione, ma rimane un enigma come questo alimenta esattamente il vortice di placche, grovigli e calamità cerebrali.
Quello che è conclusivo, almeno nei topi di laboratorio, è che l'esercizio su un tapis roulant può ridurre l'accumulo di placche e grovigli. Si ritiene che questo miracolo modesto accada attivando un fenomeno cellulare intrigante chiamato autofagia (dal greco 'mangiarsi da sé'), un tipo specializzato di pulizia cellulare che elimina cose danneggiate o indesiderate e le ricicla in cose nuove, nell'ambito di un processo adattivo e protettivo che aiuta i neuroni a far fronte meglio allo stress e a prolungare la loro vita.
Quindi si pensa che stimolare l'autofagia attraverso l'esercizio fisico possa fermare la progressione della morte delle cellule cerebrali nell'Alzheimer.
In termini molecolari, la proteina denominata BDNF (fattore neurotrofico derivato dal cervello) è l'attore principale in questo intreccio secondario. A dicembre 2010, i ricercatori dell'Università di Pittsburgh in Pennsylvania, hanno reclutato 120 persone con un'età media di 67 anni e hanno chiesto loro di fare sia esercizi aerobici moderati che semplici allungamenti per tre giorni alla settimana.
Sorprendentemente, le scansioni MRI successive hanno rivelato che coloro che facevano esercizio hanno aumentato del 2 per cento le dimensioni dell'ippocampo. Questo non è male considerando che un restrimgimento del 1,5 per cento è normale per questa età.
E il mediatore in questa piccola vittoria, sembrava essere il BDNF: una molecola nota per promuovere la nascita di nuovi neuroni e sinapsi in tutto il sistema nervoso. Il BDNF ha effetti così potenti sui neuroni, inoltre, che le aziende farmaceutiche lo considerano come un buon candidato per i farmaci, inducendo alcuni scienziati a concedergli in modo stravagante il soprannome piuttosto buffo di "fertilizzante del cervello".
Una tale meraviglia forse è, triste da dire, a decenni di distanza. Quindi, nel frattempo dobbiamo deciderci non solo a fare esercizio, ma anche a capire quale tipo di esercizio e la frequenza necessaria per mantenere la mente in forma.
L'esame più approfondito dell'argomento fatto finora, una revisione sistematica intitolata ‘The effect of exercise interventions on cognitive outcome in Alzheimer’s disease’ eseguita da ricercatori dell'Università del Sussex in Inghilterra nel 2014, ha trovato diversi metodi che dimostrano gli effetti positivi sulla cognizione in pazienti di Alzheimer: andavano da 30' di cammino (4 volte alla settimana per 24 settimane), ad un'ora di ciclismo (3 volte alla settimana per 15 settimane), a 30' di calistenia vigorosa (ogni giorno per 12 settimane). Per coloro che avevano raggiunto un'età in cui anche camminare è difficoltoso, sono stati considerati movimenti lievi, come quelli praticati nell'arte marziale cinese Tai chi.
Il fatto che sia l'esercizio fisico a bassa che quello ad alta intensità sembrino aiutare è eclatante. Sono necessari studi ancora più grandi per dimostrare inequivocabilmente un legame con l'Alzheimer, e questo certamente non significa che qualcuno possa evitare la malattia semplicemente allenandosi. Questa parte della scienza - l'epidemiologia - dispensa verità su milioni di individui, non sui singoli. Infatti, l'escursione quotidiana di mio nonno durava due ore. Ma comunque, probabilmente un piccolo esercizio valeva la pena.
Naji Tabet, primo autore dello studio e studente di ricerca sullo stile di vita, ha sottolineato questo punto quando ho parlato con lui al telefono. "Non devi fare maratone. Non devi andare in palestra tre o quattro volte alla settimana. Basta una camminata spedita!". Tabet ha deciso di concentrarsi sull'esercizio fisico come modo per impedire che Alzheimer sia più disperato di qualsiasi altra cosa. "Quando vedi una malattia che rapina qualcuno della sua personalità, della sua individualità, di una malattia che devasta la vita propria e dei propri cari, devi trattarla in qualunque modo".
Tabet ha esaminato quelli che i fanatici della forma fisica chiamano «Ultra Vets», persone over-70 o -80 che si esercitano religiosamente. (Ho lavorato in un laboratorio con qualcuno che si adatta a quella descrizione: aveva 82 anni, non era in pensione e aveva appena fatto trekking per tutta l'Antartide.)
Quando Tabet ha confrontato un gruppo di «Ultra vets» che non avevano problemi di memoria, con un gruppo di coetanei che facevano quello che potremmo definire un'entità normale di esercizio, non ha trovato alcuna differenza nelle abilità cognitive tra i due gruppi: "Quindi, se esageri", ha detto, "ci sono meno ritorni. Fai solo esercizi a bassa intensità. Mantieni attivo il cuore, i muscoli, il sistema respiratorio. Anche alcuni minuti al giorno potrebbero proteggerti".
Ma allora, mi sono chiesto, come è possibile? "Nessuno sa esattamente come funziona", ha ammesso Tabet. "La mia sensazione è che l'esercizio aiuti il sistema immunitario a lottare contro l'accumulo di placche e grovigli. Ma aiuta anche l'umore. E sappiamo che le persone depresse hanno più rischio di Alzheimer, quindi potrebbe avere un effetto indiretto facendoti stare meglio".
Anche se sembra fantastico, Tabet pensa anche che l'esercizio lieve può fare più che prevenire. Ritiene che possa effettivamente rallentare il declino dell'Alzheimer nei pazienti in fase avanzata. Insiste che le attività siano semplici come lanciare una palla, muovere delicatamente braccia e gambe, fare stretching; qualsiasi cosa, in altre parole, che soddisfa il suo messaggio esplicito e senza parole di "tenere le cose attive", farà qualcosa.
Se mio nonno fosse vivo oggi, probabilmente ti dirà di vivere come una rock star; la vita austera che seguiva non lo proteggeva certamente. Ma comunque, non si può negare che esista la prova delle contromisure non farmacologiche contro l'Alzheimer, anche se contrastanti.
Naturalmente, come scienziato, sono il primo a dire che queste prove da sole non bastano, devono essere buone prove: grandi campioni, ampiamente replicate e così via, ma siccome sappiamo che queste misure di stile di vita ci fanno bene, l'approccio più ragionevole è quello di giocare sul sicuro.
Quindi segui una dieta mediterranea. Fai esercizio. Evita lo stress. Stimola la tua mente. Dormi. Non hai niente da perdere e tutto da guadagnare.
Fonte: Joseph Jebelli, autore del libro In Pursuit of Memory: The Fight Against Alzheimer’s (Hodder & Stoughton)
Pubblicato su The Telegraph (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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