Ricercatori della School of Medicine della Washington University di St. Louis riferiscono nell'edizione dell'11 Marzo di JAMA Neurology che il sonno è interrotto nelle persone che probabilmente hanno un inizio di Alzheimer, ma non hanno ancora la perdita di memoria o gli altri problemi cognitivi caratteristici della malattia conclamata.
La scoperta conferma precedenti osservazioni di alcuni degli stessi ricercatori, che avevano dimostrato un legame nei topi tra la perdita di sonno e le placche cerebrali, un segno distintivo dell'Alzheimer.
I primi dati disponibili ipotizzano che il collegamento può funzionare in entrambe le direzioni: le placche di Alzheimer disturbano il sonno, e/o la mancanza di sonno favorisce le placche di Alzheimer. "Questo legame può fornirci un segno facilmente rilevabile della patologia di Alzheimer", dice l'autore senior David M. Holtzman, MD, Professore "B. Andrew and Gretchen P. Jones" e capo del Dipartimento di Neurologia della Washington University. "Nel momento in cui iniziamo a trattare persone che hanno marcatori di inizio dell'Alzheimer, i cambiamenti nel sonno in risposta ai trattamenti possono costituire un indicatore del fatto che le nuove terapie stanno riuscendo".
I problemi del sonno sono comuni nelle persone che hanno la malattia sintomatica di Alzheimer, ma gli scienziati recentemente hanno iniziato a sospettare che essi possano essere anche un indicatore di inizio della malattia. Il nuovo studio è tra i primi a collegare l'inizio dell'Alzheimer e i disturbi del sonno negli esseri umani. Per realizzarlo, i ricercatori hanno reclutato 145 volontari al Charles F. and Joanne Knight Alzheimer's Disease Research Center dell'Università. Tutti i volontari avevano tra 45 e 75 anni e erano cognitivamente normali all'iscrizione allo studio.
Nell'ambito di altre ricerche del centro, gli scienziati avevano già analizzato campioni di fluidi spinali dei volontari per trovare marcatori dell'Alzheimer. I campioni mostravano che 32 partecipanti avevano l'Alzheimer preclinico, nel senso che potevano avere placche amiloidi presenti nel cervello, ma non avevano ancora deterioramento cognitivo. I partecipanti hanno tenuto diari giornalieri sul loro sonno per due settimane, annotando l 'ora di coricarsi e di alzarsi, il numero di sonnellini del giorno precedente, e altre informazioni legate al sonno.
I ricercatori hanno monitorato i livelli di attività dei partecipanti utilizzando sensori indossati sul polso che rilevano i movimenti di chi la indossa. "La maggior parte delle persone non si muove quando è addormentata, e abbiamo sviluppato un metodo per farci indicare dai dati raccolti se la persona fosse addormentata o sveglia", dice il primo autore Yo-El Ju, MD, professoressa assistente di neurologia. "Questo ci permette di valutare l'efficienza del sonno, che è una misura di quanto tempo si trascorre a letto addormentati".
I partecipanti con Alzheimer preclinico avevano una efficienza del sonno minore (80,4 per cento) rispetto alle persone senza marcatori di Alzheimer (83.7 per cento). In media, quelli con malattia preclinica stanno a letto più a lungo degli altri, ma passano meno tempo addormentati. Fanno anche più spesso dei sonnellini."Quando abbiamo analizzato in particolare chi dorme peggio, chi ha una efficienza del sonno inferiore al 75 per cento, abbiamo visto che hanno una probabilità più di cinque volte maggiore di avere l'Alzheimer preclinico, di chi dorme bene", dice la Ju.
La Ju e i suoi colleghi stanno proseguendo lo studio con partecipanti più giovani che hanno disturbi del sonno. "Pensiamo che questo potrà aiutarci a capire meglio il modo in cui avviene questa connessione: la deprivazione del sonno porta l'Alzheimer, o l'Alzheimer porta perdita di sonno, o c'è una combinazione?" dice la Ju. "Questo ci aiuterà a determinare se possiamo cambiare il corso della malattia con farmaci o altri trattamenti".
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Fonte: Washington University in St. Louis. Articolo originale scritto da Michael C. Purdy.
Riferimento: Yo-El S. Ju et al. Sleep Quality and Preclinical Alzheimer Disease. JAMA Neurology, 2013 DOI: 10.1001/jamaneurol.2013.2334.
Pubblicato in Science Daily il 11 Marzo 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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