Dei ricercatori della Johns Hopkins dicono che, misurando i livelli di alcune proteine nel liquido cerebrospinale (CSF), possono prevedere quando una persona svilupperà il deficit cognitivo associato all'Alzheimer, anni prima della comparsa dei primi sintomi di perdita di memoria.
L'identificazione di tali biomarcatori potrebbe fornire quello strumento a lungo cercato per orientare l'uso anticipato di trattamenti farmacologici potenziali atti a prevenire o fermare la progressione del morbo, mentre le persone sono ancora cognitivamente normali.
A tutt'oggi i farmaci progettati per arrestare il danno cerebrale non hanno avuto successo negli studi clinici, e secondo molti ricercatori questo dipende dal fatto che vengono somministrati a coloro che hanno già sintomi e troppi danni da recuperare.
"Quando vede un paziente con pressione alta e colesterolo alto, nessun medico dice di aspettare di curarlo fino a che insorge l'insufficienza cardiaca congestizia. I trattamenti precoci impediscono al paziente con malattia di cuore di peggiorare, ed è possibile che lo stesso possa essere vero per le persone con Alzheimer pre-sintomatico", dice Marilyn Albert, Ph.D., professoressa di neurologia alla School of Medicine della Johns Hopkins University. E' lei la ricercatrice principale dello studio, i cui risultati sono pubblicati nel numero del 16 ottobre della rivista Neurology. "Ma è difficile vedere l'Alzheimer arrivare, anche se crediamo che inizi a svilupparsi nel cervello dieci o più anni prima della comparsa dei sintomi".
Per il nuovo studio, il gruppo della Hopkins ha usato CSF raccolto per il progetto Biomarkers for Older Controls at Risk for Dementia (BIOCARD) tra il 1995 e il 2005, da 265 volontari sani di mezza età. Circa tre quarti del gruppo aveva un parente stretto con l'Alzheimer, un fattore che dava loro un rischio maggiore del normale di sviluppare la malattia. Ogni anno durante quegli anni e di nuovo a partire dal 2009, i ricercatori hanno sottoposto i soggetti ad una batteria di test neuropsicologici e ad un esame fisico.
Essi hanno scoperto che il rapporto particolare di base di due proteine (tau fosforilata e amiloide-beta presenti nel CSF) é un presagio di decadimento cognitivo lieve (spesso un precursore di Alzheimer) più di cinque anni prima della comparsa dei sintomi. Hanno scoperto che anche il tasso di variazione nel tempo del rapporto é predittivo. Più tau e meno amiloide-beta sono presenti nel fluido spinale, più è probabile lo sviluppo dei sintomi. E, secondo la Albert, più rapidamente sale il tasso tra tau e amiloide-beta, più è probabile l'eventuale sviluppo di sintomi.
I ricercatori sapevano che queste proteine erano nel liquido spinale di pazienti con malattia avanzata. "Ma ci siamo chiesti se, misurando qualcosa nel fluido spinale cerebrale delle persone quando sono cognitivamente normali, si può avere un'idea di quando esse svilupperanno difficoltà", dice Albert. "La risposta è sì".
L'Alzheimer distrugge i processi metabolici critici che mantengono sani i neuroni. Queste distruzioni inducono i neuroni a smettere di funzionare, a perdere le connessioni con altre cellule nervose, ed infine a morire. Il cervello delle persone con Alzheimer ha un'abbondanza di due strutture anomale: placche amiloidi e "grovigli" composti di tau. Le placche sono accumuli appiccicosi di amiloide-beta che si accumulano all'esterno dei neuroni, mentre i grovigli si formano all'interno dei neuroni. Quando ci sono troppi grovigli all'interno delle cellule, le cellule iniziano a morire. In un cervello normale, la tau aiuta lo scheletro della cellula nervosa a mantenersi. Quando si attaccano troppi gruppi di fosfato alla tau, si sviluppa troppa proteina e si formano i grovigli.
La Albert dice che, secondo i ricercatori, la quantità relativa di amiloide-beta nel fluido spinale diminuisce col progredire dell'Alzheimer, perché rimane intrappolata nelle placche e quindi non entra nel fluido.
Anche se lo studio Biocard é attivo da quasi vent'anni, questi sono i primi dati predittivi che ne escono, dice la Albert, a causa del tempo che ci vuole per persone normali di mezza età ad alto rischio, di progredire verso la demenza. Solo 53 dei pazienti originali hanno progredito al decadimento cognitivo lieve o alla demenza, dando un campione abbastanza grande per trarre alcune conclusioni preliminari. Questi primi sintomi comprendono disturbi di memoria, come ripetersi, dimenticare gli appuntamenti, e dimenticare ciò che altri hanno detto.
La Albert avverte che il tasso dei biomarcatori, a questo punto, non è sufficientemente accurato per prevedere con precisione se un particolare individuo sta procedendo alla demenza, ed è necessaria un'ulteriore analisi delle informazioni sul gruppo nel corso del tempo. Tuttavia, dice che, se i risultati si dimostreranno validi, non solo potranno guidare l'uso dei primi trattamenti con i farmaci disponibili, ma potranno anche aiutare a testare nuovi farmaci per vedere se alterano la velocità con cui le proteine cambiano nel tempo.
La ricerca è stata finanziata dal National Institute on Aging. Altri ricercatori Johns Hopkins coinvolti nello studio includono Abhay Moghekar, MBBS, Shanshan Li, Yi Lu, Ming Li, Mei-Cheng Wang, Ph.D., e Richard O'Brien, MD, Ph.D.
La Albert riferisce di far parte dei comitati scientifici consultivi dei produttori di farmaci Eli Lilly, Eisai, Genentech, Biogen e AgeneBio, e di ricevere supporto per le ricerche dalla GE Healthcare (ndt: produttrice dei radiotraccianti che permettono di "vedere" le proteine).
Fonte: Johns Hopkins Medicine.
Riferimenti: A. Moghekar, S. Li, Y. Lu, M. Li, M.-C. Wang, M. Albert, R. O'Brien. CSF biomarker changes precede symptom onset of mild cognitive impairment. Neurology, 2013; DOI: 10.1212/01.wnl.0000435558.98447.17
Pubblicato in hopkinsmedicine.org(> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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