Gli scienziati dell'Università di California di Berkeley hanno trovato prove convincenti che il sonno scadente, in particolare un deficit del sonno ristoratore profondo, necessario per premere il pulsante di salvataggio dei ricordi, è un canale attraverso il quale la proteina amiloide-beta (considerata lo scatenante dell'Alzheimer) attacca la memoria a lungo termine nel cervello.
"Le nostre scoperte rivelano un nuovo percorso attraverso il quale l'Alzheimer può causare il declino della memoria più avanti nella vita", ha detto Matthew Walker, professore di neuroscienze della UC Berkeley e autore senior dello studio pubblicato ieri 1 giugno 2015 sulla rivista Nature Neuroscience.
I depositi in eccesso di amiloide-beta sono sospetti cruciali nella patologia dell'Alzheimer, una forma virulenta di demenza causata dalla progressiva morte delle cellule cerebrali. Un'ondata senza precedenti di baby boomer che invecchiano sono a rischio di Alzheimer, che è diagnosticata a più di 40 milioni di persone nel mondo, una delle preoccupazioni per la salute pubblica a crescita più rapida e più debilitanti a livello mondiale.
La buona notizia dei risultati, secondo Walker, è che il sonno scadente è potenzialmente curabile e può essere migliorato con l'esercizio, la terapia comportamentale e anche la stimolazione elettrica che amplifica le onde cerebrali durante il sonno, una tecnologia che è stata usata con successo nei giovani adulti per aumentare la loro la memoria durante la notte.
"Questa scoperta offre speranza", ha detto Walker. "Il sonno potrebbe essere un nuovo bersaglio terapeutico nella lotta contro i disturbi della memoria negli anziani e anche in quelli con demenza".
Una pulizia potente per il cervello
Lo studio è stato condiretto dai neuroscienziati della UC Berkeley Bryce Mander e William Jagust, uno dei maggiori esperti dell'Alzheimer. Il team ha ricevuto un importante finanziamento dai National Institutes of Health per condurre uno studio longitudinale e testare la loro ipotesi che il sonno è un segnale di avvertimento precoce (biomarcatore) dell'Alzheimer.
Mentre la maggior parte della ricerca in questo settore si basa sugli animali, questo ultimo studio ha il vantaggio di essere stato eseguito su soggetti umani reclutati da Jagust, professore con incarico aggiunto al Neuroscience Institute di Berkeley, alla School of Public Health e al Lawrence Berkeley National Laboratory.
"Negli ultimi anni, si sono dimostrati sempre più forti i legami tra sonno, amiloide-beta, memoria e Alzheimer", ha detto Jagust. "Il nostro studio evidenzia che questa deposizione di amiloide-beta può portare ad un circolo vizioso in cui il sonno è disturbato ulteriormente e la memoria si deteriora".
Usando una potente combinazione di scansioni cerebrali e altri strumenti di diagnostica su 26 anziani che non avevano una diagnosi di demenza, i ricercatori hanno cercato il legame tra sonno cattivo, memoria scarsa e accumulo di proteine tossiche amiloide-beta. "I dati che abbiamo raccolto suggeriscono con forza che c'è un nesso di causalità", ha detto Mander, autore principale dello studio e ricercatore post-dottorato nel Sleep and Neuroimaging Laboratory diretto da Walker. "Se si interviene per migliorare il sonno, forse possiamo spezzare quella catena causale".
L'accumulo di amiloide-beta è stato trovato nei pazienti di Alzheimer e, in modo indipendente, nelle persone che riferiscono disturbi del sonno. Inoltre uno studio del 2013 svolto alla University of Rochester ha scoperto che le cellule cerebrali dei topi si riducono durante il sonno non-REM (rapid-eye-movement) per fare spazio ai fluidi cerebrospinali che eliminano i metaboliti tossici come l'amiloide-beta. "Il sonno aiuta a lavare via le proteine tossiche durante la notte, impedendo loro di accumularsi e potenzialmente di distruggere le cellule del cervello", ha detto Walker. "Costituisce un potente mezzo di pulizia per il cervello".
In particolare, i ricercatori hanno esaminato come la quantità di amiloide-beta nel lobo frontale mediale del cervello compromette il sonno profondo non-REM, di cui abbiamo bisogno per mantenere e consolidare i ricordi basati sui fatti.
In uno studio precedente, Mander, Jagust e Walker avevano scoperto che le potenti onde cerebrali generate durante il sonno non-REM hanno un ruolo chiave nel trasferimento dei ricordi dall'ippocampo (che supporta l'archiviazione a breve termine delle informazioni) allo stoccaggio a lungo termine nella corteccia frontale. Negli anziani il deterioramento di questa regione frontale del cervello è collegato al sonno di cattiva qualità.
Per questo ultimo studio, i ricercatori hanno usato la tomografia a emissione di positroni (PET) per misurare l'accumulo di amiloide-beta nel cervello; la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per misurare l'attività del cervello durante i compiti di memoria; l'elettroencefalografia (EEG) per misurare le onde cerebrali durante il sonno; e modelli statistici per analizzare tutti i dati.
'Un circolo vizioso'
La ricerca è stata effettuata su 26 anziani, da 65 a 81 anni, che non avevano alcuna prova di demenza o di altro disturbo neurodegenerativo, del sonno o psichiatrico. In primo luogo, si sono sottoposti a scansioni PET per misurare i livelli di amiloide-beta nel cervello, dopo di che hanno eseguito il compito di memorizzare 120 coppie di parole, e sono poi stati testati sulla qualità del ricordo di una parte di loro.
I partecipanti allo studio hanno poi dormito per otto ore, durante le quali l'EEG ha misurato le loro onde cerebrali. La mattina seguente, il loro cervello è stato digitalizzato con la fMRI, mentre ricordavano le restanti coppie di parole. A questo punto, i ricercatori hanno seguito l'attività nell'ippocampo, dove vengono memorizzati temporaneamente i ricordi prima di passare alla corteccia prefrontale. "Più si ricorda dopo una buona notte di sonno, meno si dipende dall'ippocampo e più si usa la corteccia", ha detto Walker. "Equivale a recuperare file dal sito sicuro di stoccaggio del disco rigido del computer, piuttosto che dallo stoccaggio temporaneo di una chiavetta USB".
Nel complesso, i risultati hanno mostrato che i partecipanti allo studio con i livelli più alti di amiloide-beta nella corteccia frontale mediale avevano una qualità del sonno più scadente e, di conseguenza, andavano peggio nel test della memoria la mattina seguente, e alcuni dimenticavano più della metà delle informazioni che avevano imparato a memoria il giorno prima.
"Più è l'amiloide-beta presente in alcune parti del cervello, meno profondo è il sonno e, di conseguenza, peggiore è la memoria", ha detto Walker. "Inoltre, meno è il sonno profondo che si ha, meno efficienti si è a sgombrare queste cattive proteine. E' un circolo vizioso. Ma non sappiamo ancora quale di questi due fattori - il sonno cattivo o le proteine cattive - comincia inizialmente questo ciclo. Quale è il dito che fa cadere la prima tessera del domino, innescando la cascata?".
Ed è quello che i ricercatori determineranno nel seguire una nuova serie di anziani per i prossimi cinque anni. "Si tratta di un nuovo percorso che collega l'Alzheimer alla perdita di memoria, ed è molto importante perché possiamo fare qualcosa al riguardo", ha detto Mander.
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Hanno collaborato Shawn Marks, Jacob Vogel, Jared Saletin e Vikram Rao dell'Università di California di Berkeley, Brandon Lu del California Pacific Medical Center e Sonia Ancoli-Israel della University of California di San Diego. Lo studio è stato finanziato in parte dal National Institute of Aging.
Fonte: Yasmin Anwar in University of California - Berkeley (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Matthew P Walker et al. β-amyloid disrupts human NREM slow waves and related hippocampus-dependent memory consolidation. Nature Neuroscience, June 2015 DOI: 10.1038/nn.4035
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