Un nuovo indizio per l'Alzheimer è stato trovato dai ricercatori dell'Università di Haifa. Hanno scoperto un legame tra la demenza, che sta raggiungendo proporzioni epidemiche a causa dell'invecchiamento della popolazione mondiale, e il livello di attività di una proteina chiamata eIF2alpha.
Lo studio, pubblicato recentemente sulla rivista Neurobiology of Aging, fa ben sperare per eventuali nuovi trattamenti.
Il Prof. Kobi Rosenblum, capo del Dipartimento Sagol di Neurobiologia dell'università, ha detto che l'alterazione delle prestazioni di questa proteina con la terapia farmacologica, potrebbe costituire un trattamento per la malattia progressiva incurabile.
La ricerca di Alzheimer si è focalizzata negli ultimi anni sopratutto sulla lotta alla malattia quando i sintomi sono già comparsi, anche se i ricercatori sanno da molto tempo che [la malattia] è presente nel cervello molti anni prima che i sintomi ne evidenzino la presenza. Negli stadi avanzati della malattia, spiega Rosenblum, piccoli grumi di proteina amiloide chiamati placche sono identificati mentre si formano nel cervello. Queste placche, ha detto, sono tipiche dei malati di Alzheimer e minano il funzionamento del cervello.
Molta ricerca è stata rivolta alla comprensione di queste placche e per cercare di eliminarle o limitarne la formazione e crescita. La ricerca ha anche coinvolto la maggior parte della demenza familiare (trasmessa geneticamente), che è causata da mutazioni conosciute. Questa nuova ricerca ha cercato di capire i meccanismi nello sviluppo dell'Alzheimer che sono collegati alla risposta molecolare alla sofferenza metabolica che aumenta con l'età.
Lo studio, condotto dalla studentessa di ricerca Yifat Segev nel laboratorio per la ricerca dei meccanismi molecolari e cellulari alla base dell'apprendimento e della memoria dell'università di Haifa, diretto da Rosenblum, in collaborazione con il Prof. Danny Michaelson dell'Università di Tel Aviv, ha cercato di identificare i fattori che potrebbero essere legati all'Alzheimer anche prima che le placche si formino e che sono collegati all'età, fattore di rischio primario della malattia.
Secondo la Segev, questa è la prima volta che si trova un legame tra l'attività dell'eIF2alpha e il gene apoE4 in relazione all'Alzheimer. Essa nota che si stanno studiando, e sviluppando rapidamente, trattamenti per la modifica del meccanismo dell'eIF2alpha, e che più si capisce sulla connessione tra questo meccanismo e l'Alzheimer, meglio i ricercatori possono trovare il modo per identificare e rallentare la progressione della malattia.
Un precedente studio, collaborazione tra ricercatori canadesi e il laboratorio di Rosenblum, ha rivelato che le capacità cognitive potrebbero essere migliorate modificando l'attività della proteina eIF2alpha, che regola la creazione di proteine in tutte le cellule, comprese le cellule nervose. Quella ricerca ha dato ai ricercatori di Alzheimer un barlume di speranza: forse è possibile migliorare le abilità cognitive o addirittura prevenire i danni cognitiva nei pazienti con Alzheimer in una fase precoce della malattia, intervenendo sui meccanismi che regolano la produzione di proteine nelle cellule nervose.
Lo studio attuale ha confrontato topi che esprimono il gene umano apoE4 (noto come fattore di rischio centrale per l'Alzheimer), con un gruppo di topi con il gene parallelo apoE3, che non costituisce un fattore di rischio per la malattia. I topi del primo gruppo hanno mostrato un cambiamento nel meccanismo di regolazione per la produzione di proteine che coinvolge la proteina eIF2alpha, che ha danneggiato le capacità cognitive di questi topi in giovane età. Questo tipo di meccanismo di cambio, è caratteristico dell'invecchiamento, e quindi porta anche a capire la tendenza di questi topi verso l'invecchiamento precoce.
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Pubblicato da Judy Siegel-Itzkovich in Jerusalem Post il 21 Ottobre 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari. - Foto: Wikimedia Commons
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