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Relazioni personali ricche migliorano il funzionamento del cervello

Come interagiscono gli individui, come si percepiscono uno con l'altro, e i pensieri e i sentimenti di ognuno riguardo la qualità di tali interazioni e relazioni, possono incidere sulla salute fisica e mentale e sul benessere. La funzione cognitiva sociale, che si riferisce in generale al modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni sociali, è riconosciuta come un importante indicatore dell'efficienza del nostro cervello di elaborare le informazioni in generale (ref.1).


È interessante notare che il numero di individui con cui il soggetto interagisce di frequente è associato alla sua capacità (2) di memoria a breve termine. Alcuni studi riportano che avere reti sociali più grandi protegge dal declino cognitivo nell'anzianità (3), mentre altri suggeriscono, al contrario, che il declino della cognizione e delle funzionalità causa una riduzione della rete sociale della persona (4).


Studi di neuroscansione indicano che reti sociali più grandi sono associate con un maggior volume in aree specifiche del cervello (5 e 6). Le persone con la patologia del morbo di Alzheimer (MA), che hanno grandi reti sociali, sono più capaci di tenere brevemente e di elaborare i pensieri (memoria di lavoro) e di ricordare più ‘conoscenza comune’ (memoria semantica) rispetto a quelli con MA che hanno reti sociali più piccole (7).


Tuttavia, le relazioni tra i fattori sociali di stile di vita e la patologia del MA, e il ruolo preciso delle reti sociali nella promozione della resilienza del cervello, non sono ancora chiari (8).


Il mio ruolo come ricercatrice post-dottorato nel Centre for Healthy Brain Ageing (Cheba) della UNSW è condurre e collaborare a studi che affrontano le questioni sul ruolo che ha l'impegno sociale sul rischio di demenza, e ciò che gli individui e le comunità possono fare per promuovere l'invecchiamento sano del cervello.


Il nostro team al Cheba sta affrontando queste domande tramite una revisione sistematica e un'analisi della letteratura sull'impegno sociale e la demenza; e sta analizzando i dati dello studio Sydney Memory and Ageing (MAS) per capire le associazioni tra la cognizione e la dimensione della rete sociale, l'impegno sociale e la qualità di vita connessa alla salute.


In una ricerca recente guidata da Ross Penninkilampi, laureando di medicina della UNSW, abbiamo aggiornato una revisione sistematica di studi di ricerca che aveva esaminato l'associazione tra l'impegno sociale, o la solitudine, e il rischio di demenza (9). Abbiamo selezionato 33 studi che soddisfavano criteri specifici e abbiamo eseguito una meta-analisi per esaminare quali associazioni potrebbero esserci quando si mettono insieme tutti i dati di questi 33 studi, che rappresentano 2.370.452 partecipanti.


I risultati hanno indicato che tutti i marcatori di scarso impegno sociale (come vivere da soli, avere una rete sociale limitata, contatti sociali poco frequenti e sostegno sociale inadeguato) aumentano il rischio di demenza. I risultati hanno anche indicato che il rischio di demenza aumenta quando l'impegno sociale carente è accoppiato con la depressione.


Anche se la solitudine non sembra aumentare il rischio di demenza, quell'analisi comprendeva solo quattro studi e rende questo risultato inconcludente. Quando abbiamo guardato specificamente agli studi che avevano seguito i partecipanti per 10 o più anni, un buon impegno sociale proteggeva moderatamente dalla demenza.


Ricerche precedenti avevano riferito che la forza dell'associazione tra interazione sociale carente (bassa partecipazione sociale, meno contatti, più solitudine) e demenza è paragonabile a quella di altri fattori di rischio ben noti, come la depressione, la scarsa attività fisica, e il basso livello di istruzione (10).


I nostri risultati indicano che l'impegno sociale carente (o il disimpegno sociale) è un fattore di rischio per la demenza, che le persone che sono sia depresse che socialmente isolate possono essere più vulnerabili, e che le strategie di prevenzione della demenza dovrebbero includere interventi che puntano l'isolamento sociale e forniscono supporto alle persone mancanti di impegno sociale. (E la cosa grandiosa degli interventi psicosociali è che possono aver luogo un po' ovunque, e non comportano procedure invasive o farmaci!)


In una recente collaborazione con la dott.ssa Nicole Kochan, e i prof.ri Perminder Sachdev e Henry Brodaty, abbiamo presentato i risultati di una ricerca che aveva esaminato le associazioni tra le caratteristiche demografiche, la depressione e le caratteristiche della rete sociale dai dati di base del MAS (onda 1). I risultati hanno indicato che l'età di una persona, quanti anni di istruzione ha avuto, i suoi punteggi su un valore della depressione e il numero mensile di contatti faccia a faccia che aveva con amici e familiari prediceva le differenze nella sua funzione cognitiva.


Quando confrontate con persone che hanno riferito quello che potrebbe essere considerato un numero medio, o superiore, di contatti faccia a faccia (circa 11 o più al mese), le persone che hanno riferito meno di 5 contatti regolari faccia a faccia al mese hanno ottenuto punteggi più bassi nei test di attenzione / velocità di elaborazione, linguaggio e cognizione globale.


Pochissime persone hanno detto che non avevano alcun contatto faccia a faccia. Tuttavia, coloro che lo facevano, hanno mostrato minore capacità di coordinare il comportamento orientato agli obiettivi e di elaborare il pensiero (funzione esecutiva).


Questi risultati suggeriscono che si dovrebbe considerare il tipo, la frequenza e il numero di relazioni sociali nei modelli predittivi della funzione cognitiva per gli anziani. Perciò ora stiamo usando i dati longitudinali del MAS (onde da 1 a 4) e collaboriamo con la dott.ssa Zhixin Liu di UNSW Stats Central per indagare i modelli predittivi della funzione cognitiva che includono misure di dimensione/impegno della rete sociale e altre variabili di stile di vita modificabili tra cui l'attività mentale e fisica.


Chiarire il contributo delle reti sociali e delle altre variabili di stile di vita modificabili nel mantenimento delle funzioni cognitive contribuirà a informare le linee guida cliniche e gli interventi che promuovono l'invecchiamento sano del cervello.

 

 

 


Fonte: Dott.ssa Anne-Nicole Casey in University of New South Wales, Sydney (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:

  1. Henry JD, von Hippel W, Molenberghs P, Lee T, Sachdev PS. Clinical assessment of social cognitive function in neurological disorders. Nat Rev Neurol, 2016, DOI
  2. Stiller J, Dunbar RIM. Perspective-taking and memory capacity predict social network size. Soc Net, 2007, DOI
  3. Zunzunegui M-V, ..., Otero A. Social networks, social integration, and social engagement determine cognitive decline in community-dwelling Spanish older adults. J Gerontol B Psychol Sci Soc Sci, 2003, DOI
  4. Green AF, Rebok G, Lyketsos CG. Influence of social network characteristics on cognition and functional status with aging. International journal of geriatric psychiatry, 2008, DOI
  5. Kanai R, Bahrami B, Roylance R, Rees G. Online social network size is reflected in human brain structure. Proc. R. Soc. B., 2012, DOI
  6. Molesworth T, Sheu LK, Cohen S, Gianaros PJ, Verstynen TD. Social network diversity and white matter microstructural integrity in humans. Social Cognitive and Affective Neuroscience, 2015, DOI
  7. Bennett DA, Schneider JA, Tang Y, Arnold SE, Wilson RS. The effect of social networks on the relation between Alzheimer's disease pathology and level of cognitive function in old people ..., The Lancet Neurology, 2006, DOI
  8. Bennett DA, Arnold SE, Valenzuela MJ, Brayne C, Schneider JA. Cognitive and social lifestyle: Links with neuropathology and cognition in late life. Acta neuropathologica, 2014, DOI
  9. Penninkilampi R, Casey A, Singh M, Brodaty H. The association between social engagement, loneliness, and risk of dementia: a systematic review and meta-analysis. Journal of Alzheimer's Disease, 2018, DOI
  10. Kuiper JS, Zuidersma M, Oude Voshaar RC, et al. Social relationships and risk of dementia: A systematic review and meta-analysis of longitudinal cohort studies. Ageing Research Reviews, 2015, DOI


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