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Nell’accezione anglosassone, questo termine definisce "colui che presta le cure". Distinguiamo due figure:</p

  • il caregiver "informale", detto anche primary caregiver, può essere il figlio, il coniuge, più raramente un altro familiare o amico;
  • il caregiver "formale" è invece l’infermiere o qualsiasi altro professionista.

La persona che all’interno della famiglia si assume in modo principale il compito di cura e di assistenza al congiunto ammalato.
Il tempo dedicato dalcaregiver all’attività assistenziale può raggiungere l’equipollente di una giornata lavorativa, il che significa che nelle situazioni più gravi la funzione di caregiver diventa pressoché incompatibile con qualsiasi attività lavorativa. Anche per quanto riguarda l’attività di vigilanza/sorveglianza è richiesto molto tempo che aumenta con il progressivo avanzare della malattia. Il ruolo del familiare che si occupa dell’assistenza, in Italia, è principalmente svolto dalle donne (73.8%), generalmente mogli e figlie, che nei casi gravi, ospitano il malato in casa (65%). I caregiver si trovano in prevalenza in età attiva:

  • il 31% ha fino ai 45 anni
  • il 38% ha tra i 46 e i 60 anni
  • il 18% tra i 61 e i 70 anni
  • il 13% oltre i 70 anni

Dal punto di vista professionale le categorie più rappresentate sono: 32% pensionato, 28% casalinga, 21% impiegato o insegnante, 5,75% artigiano o commerciante e 4,45% dirigente/professionista. (dati Censis 1999).

 

Fonte: www.assistentisociali.org

 

L’impatto del malato sul caregiver

L’assistenza a un malato di Alzheimer può provocare nel familiare depressione, ansia e vari problemi di salute fisica e psichica. La frequenza di depressione nei caregiver è di circa tre volte superiore rispetto a persone non coinvolte nell’assistenza o alla popolazione normale. Alcuni studiosi riportano la presenza di depressione clinica nel 30-50% dei familiari. Inoltre, lo stress che il caregiver sperimenta nell’assistenza aumenta il rischio di comportamenti poco salutari quali: poche ore di sonno, ridotta alimentazione, scarso esercizio fisico. Tuttavia, non tutte le conseguenze dell’assistenza sono negative; alcuni familiari riferiscono sentimenti di gratificazione, sono orgogliosi delle nuove abilità acquisite e riconoscono che le esperienze del caregiving (termine usato per definire i compiti e l’attività dell’assistenza) ha migliorato la relazione con il proprio caro. Il coinvolgimento del familiare nell’assistenza è importante e muta nel corso dell’intero periodo della malattia: dall’esordio delle responsabilità fino all’istituzionalizzazione o al decesso del proprio caro.

 

Fonte: www.assistentisociali.org

 

Lo stress

  • Il 10% delle persone affette da demenza di tipo Alzheimer è ricoverato in un’istituzione.
  • Il 15% vive solo
  • Il 25% vive con il nucleo familiare di origine.
  • Il 50% dipende dal solo coniuge

Spesso il carico assistenziale all’interno della famiglia, è gestito da un’unica persona in quanto gli altri membri gradatamente abbandonano il peso dell’assistenza e delegando sempre più ad un solo membro della famiglia. Il familiare che si occupa dell’assistenza, rischia così di essere solo e di isolarsi emotivamente e socialmente dalla vita pubblica e privata, fino ad arrivare gradualmente a una vera e propria crisi psichica. Assistere un malato di Alzheimer comporta un aiuto per la maggioranza dei gesti e degli atti della vita quotidiana; la sorveglianza è quindi necessaria sia di giorno che di notte ed il familiare resta in costante allarme. Lo sforzo fisco di chi assiste un anziano demente non è tanto grave per la sua intensità, quanto per la durata che è senza tregua.

Aiutare il caregiver comporta fargli comprendere l’importanza di chiedere e di accettare un aiuto dalla famiglia, se è disponibile, o da altri operatori esterni. Un gruppo di auto aiuto, realizzato da chi assiste i malati di Alzheimer, può essere di supporto e può rappresentare un momento di condivisione di problemi e soluzioni.

E’ normale trovare difficile prendersi cura di un individuo affetto dalla malattia di Alzheimer?
Parecchi studi hanno dimostrato che è molto più stressante prendersi cura di una persona che ha perduto le sue facoltà intellettive e che ha problemi comportamentali piuttosto che occuparsi di una persona affetta soltanto da problemi fisici.

  1. il tipo di assistenza richiesta costituisce una grave responsabilità perché l’individuo malato perde a poco a poco la sua facoltà di giudicare, di esprimersi, di apprezzare e diventa sempre più dipendente.
  2. se si considera il fatto che il malato non riesce più ad esprimersi le sue esigenze che non sono più espresse a parole, questo comporta il dover imparare a comprendere con altri mezzi (comunicazione non verbale).
  3. il cambiamento di personalità ed i comportamenti talvolta anormali e spesso imprevisti sono spesso difficili da sopportare tanto da dare dispiaceri anche se si è consapevoli che il malato lo fa senza cattiveria.
  4. la malattia conduce ad avere con difficoltà dei momenti piacevoli e questo può portare ad un senso di solitudine, di spossatezza. Spesso si ha l’impressione di dare molto senza ricevere niente!
  5. infine a tutti questi elementi si aggiunge , l’immenso dolore di vedere una persona cara perdere gradualmente e in modo irreversibile, la sua autonomia e le sue facoltà cognitive.

 

Fonte: www.assistentisociali.org

 

Accettazione della malattia

Ogni elemento della famiglia in cui si trova un malato di Alzheimer si ritrova a elaborare le varie fasi del dolore facendo leva sulle proprie capacità di adattamento alla situazione e sulle capacità personali di accettazione della separazione e del lutto che tale malattia comporta. Il percorso psicologico per accettare la malattia è simile a quello di chi vive una situazione di lutto. Le reazioni che caratterizzano l’elaborazione di un lutto costituiscono un percorso doloroso caratterizzato da alcuni comportamenti specifici:

La Negazione
I familiari rifiutano di credere che sia vero ciò che sta accadendo al malato e quindi anche a loro. Il pensiero che li accompagna è: "Si saranno sbagliati i medici, forse si tratta di una cosa passeggera". Questo atteggiamento spinge i familiari a ricercare una nuova diagnosi, a cercare dei farmaci innovativi, a cercare dei servizi riabilitativi adeguati o, quel che è peggio, a chiedere al proprio caro di tornare come era prima. Questi sentimenti possono durare per un periodo più o meno lungo a seconda delle risorse del familiare e del sostegno che gli viene offerto.

L’iperattivismo
Superato il momento dell’incredulità, il familiare tende a sostituirsi al malato e alle sue difficoltà: in lui è forte l’ansia del futuro placata dalla necessità di fare per non pensare. Agendo in questo modo il familiare evita di mostrare a se stesso e agli altri i deficit del malato facendo trasparire che la situazione è sotto controllo: questo comportamento oltre ad affaticare il familiare porta il malato a perdere ancor prima le capacità residue e a isolarsi dalle relazioni sociali.

La collera
La frustrazione che deriva dal costante investimento di energie che non vanno a buon fine è spesso cocente delusione che a sua volta produce irritazione, nervosismo e rabbia. La rabbia spesso non contenuta si orienta su chi non ne può nulla o non è la causa diretta: verso il malato, per esempio, che ne combina di tutti i colori, senza farlo a posta ma solo a causa della sua malattia; verso chi si affianca nella cura che riesce a essere più tranquillo, perché sta meno tempo con il malato ed ha più energie disponibili.

Il senso di colpa
La rabbia che nasce alle volte dalla frustrazione può provocare sensi di colpa per quello che si è detto o fatto, perché in fondo si ama il proprio caro o perché si è riconoscenti con chi ci sta aiutando.
Quanto più sono numerose le occasioni che alimentano l’irritazione tanto più aumentano i sensi di colpa e quindi la sofferenza psicologica del familiare.

 

Fonte: www.assistentisociali.org

 

Non si ricorda il mio nome...

Questo è un punto essenziale nei nostri rapporti con persone affette da demenza. Spesso per lungo tempo non ricordano il nome o chi siamo, ma molti studi hanno riscontrato che seppur in questa condizione, molti malati mostrano di riconoscere anche dopo lungo tempo che la persona ha dei legami affettivi con loro. La comunicazione si modifica... non conoscono i nomi ma i loro comportamenti differiscono a seconda che la persona abbia con loro un legame... il riconoscimento di una persona non si limita dunque al solo fatto di pronunciare il suo nome!

Mi succede di perdere la pazienza...
E’ del tutto normale perdere la pazienza in alcuni momenti. Quello che è grave è il non ammetterlo. Bisogna imparare a perdonare sé stessi! Quando i momenti d’impazienza diventano troppo frequenti, è segno che siete stanchi ed è arrivato il momento di chiedere aiuto...

La persona che amo è talmente cambiata dopo la malattia che non la riconosco più, e vivo una serie di sentimenti contraddittori...
Nel corso della sua evoluzione, la malattia di Alzheimer trasforma alcuni elementi della personalità, spesso in modo sconcertante! Ogni tappa porta i familiari ad avere a che fare con una persona nuova. I sentimenti contraddittori che sono del tutto legittimi, scaturiscono spesso dal fatto che i comportamenti del familiare malato sono difficili da comprendere e accettare. Amore e incomprensione vanno di pari passo... La malattia, a causa delle perdite cognitive provoca degli inevitabili comportamenti strani: bisogna capire che questi non sono più dettati dalla logica abituale, ma da processi intellettivi deteriorati in una persona che cerca, nel bene o nel male, di adattarsi all’ambiente.

Dice spesso delle cose false su di me, e questo mi fa star male...
Quando si affronta questo argomento bisogna distinguere tra qualcuno che mente e qualcuno le cui capacità cognitive sono alterate. Il malato di Alzheimer è senza "malizia" non ha maschere ed è vulnerabile, ma la sua capacità o il ricordo di un avvenimento possono essere confusi e dar luogo a delle incomprensioni o peggio... quando accadono questi episodi è importante poterne parlare con qualcuno con cui si ha confidenza, cercare di non drammatizzare...

 

Fonte: www.assistentisociali.org

 

Comprendere ed essere compresi ...

La comunicazione costituisce l’essenza di ogni esperienza umana: non riuscire più a capire gli altri e non riuscire più a farsi capire si rivelano gli elementi più disastrosi della malattia di Alzheimer.

Non riuscire più a capire... il malato inizia ad avere difficoltà a seguire le conversazioni rapide e complesse, soprattutto se l’ambiente è rumoroso. Si allontana spesso dall’argomento e quando vi sono delle direttive chiare nel dialogo, spesso fa fatica a seguirle. Comprende, però gli ordini scritti e può decifrare molto bene i gesti e le espressioni del viso.

Non riuscire più a farsi capire... inizialmente il malato ha dei problemi a pensare a quello che vuole dire. È più lento ad esprimersi, si ripete spesso, dimentica alcune parole o le sbaglia. A poco a poco le parole si cancellano dalla memoria: non trova più il nome degli oggetti... ma ne sa descrivere il suo utilizzo! Parla in modo più lento e ripetitivo, parla con meno frequenza, fino ad arrivare a non parlare più.

 

Fonte: www.assistentisociali.org

 

Che cosa fare?

 

  1. Cercate di mantenere il contatto con lui/lei per evitare che si isoli sempre di più.
  2. Non dite mai in anticipo "tanto non capirà!"... talvolta può cogliere l’idea principale o riconoscere il significato di una determinata parola: potreste ferirlo/a e non parlate mai come se non fosse presente!
  3. La comunicazione con un malato di Alzheimer implica tanto il linguaggio verbale che quello non verbale. Anche se non comprende il significato delle parole, rimane sensibile al clima affettivo che si sviluppa nell’interazione. Se sente di aver fiducia comunica più facilmente.
  4. Non parlategli come a un bambino! Non facilitate la comprensione...
  5. Parecchi mezzi vi permettono di aiutare la persona a comprendere ciò che volete comunicargli:
    • Eliminate i rumori inutili come la radio o la televisione
    • Muovetevi lentamente e mettetevi di fronte a lei.
    • Se è seduta, fate lo stesso per essere alla sua altezza.
    • Stabilite un contatto visivo, toccatelo dolcemente e pronunciate il suo nome sorridendo.
    • Se la persona non vuole parlare, non sforzatela... fatelo di nuovo qualche minuto più tardi.
    • Parlate lentamente, in modo calmo e dolce conservando il contatto visivo il più a lungo possibile (se usate il tono alto della voce, può pensare che siate in collera.)
    • Non cambiate improvvisamente argomento di conversazione. In questo modo eviterete di confonderlo. Se volete cambiare argomento diteglielo prima di iniziare: "adesso ti voglio parlare di un’altra cosa..."
    • Fatele un solo discorso per volta: la sua memoria gli impedisce di ascoltare diverse informazioni allo stesso momento.
    • Usate delle frasi corte e delle parole semplici, evitando le spiegazioni lunghe "ti porto dal parrucchiere per tingerti i capelli, tagliarli e fare la piega perché non sei più andata da due mesi e sei più carina quando sei ben pettinata". Ditele piuttosto: "Ti porto dal parrucchiere!"
    • Quando è possibile farlo, utilizzate degli oggetti per comunicare: per esempio se volete portarlo a passeggio, chiedeteglielo mostrando il cappotto.
    • Fate sempre domande precise: "Vuoi che accenda la luce?"
    • Utilizzate domande di risposta limitata: non elencate ad esempio una lunga lista di bevande da bere
    • Evitate il linguaggio figurato: non dite ad esempio "salta nella vasca da bagno!"
    • Riformulate il messaggio se non l’ha capito rispettando il suo tempo. Evitate ogni tipo di pressione...
    • Evitate di interromperlo quando parla
    • Cercate di cogliere l’emozione che si nasconde sotto le parole stando attenti alle espressioni del suo viso.

 

'Sei anche caregiver di te stesso'

"Anche se razionalmente la mia mamma sapeva che a Pat è stata diagnosticata la malattia di Alzheimer e che lui non riusciva a ricordare quello che è successo un minuto fa, a livello emotivo ha avuto difficoltà ad accettare questa realtà. Come psicologa ho lavorato con molte persone che tendono a questo tipo di rifiuto e penso che sia un modo per proteggersi dal provare sentimenti dolorosi come la tristezza, la perdita e la delusione.

 

In altre parole, non mettendosi nei panni di colui di cui ci si prende cura (che non è ancora entrare pienamente nel mondo di Alzheimer) si può evitare alcuni sentimenti dolorosi. So quanto difficile possa essere fronteggiare questi sentimenti negativi. Eppure, so anche che evitarli non li farà andare via. Sono solo soppressi e non passerà molto tempo prima che questi sentimenti ri-sollevino la loro brutta testa! Quando eviti di provare questi sentimenti, la loro energia rimane bloccata nel tuo corpo e nella tua psiche, portando alla depressione, stanchezza, stress, esaurimento, la frustrazione, bulimia ...

Invece, è preferibile ascoltare le emozioni e permettere loro di passare attraverso di voi. Pensate a un bambino di circa 2 o 3 anni che piange disperato per qualche giocattolo rotto, e ritrovarlo a ridere e giocare un attimo dopo, avendo dimenticato tutto il giocattolo rotto. Quello che è successo è che il bambino ha lasciato che i sentimenti facessero il loro lavoro. I sentimenti sono fatti per essere provati e poi passare attraverso di noi.

Ora, ovviamente la tristezza per una persona cara che sta vivendo la malattia di Alzheimer non passa dopo un bel pianto. Tuttavia, provare la tristezza e lasciare che ci sia, può contribuire ad alleggerire il proprio carico emotivo - l'energia che è stata usata per rimuovere i sentimenti è ora liberata e il caregiver spesso si sente meglio. Ci sarà ancora la tristezza, ma non sarà così pesante o spossante com’era prima.

Alcuni consigli.

  • Inizia rendendoti consapevole di ciò che senti. Chiediti se sei triste, teso, frustrato, deluso ...
  • Ascolta come le emozioni si sentono nel tuo corpo. Hai le spalle tese? C'è un dolore nella pancia? Il cuore ti fa male? Lascia che le lacrime fluiscano, se vogliono uscire. Quindi (e soprattutto) fai un respiro profondo e consenti al corpo di rilassarsi. Continua a fare respiri profondi, respira nel dolore o nel senso di oppressione del tuo corpo e poi rilassati espirando.
  • Questa pratica richiede tempo, ma ne vale la pena. Se ritieni di avere bisogno di qualche sostegno quando permetti ai sentimenti di venire in superficie in vari modi, cerca un amico, un familiare, un gruppo di sostegno locale, un terapista o un medico.
  • Prenditi cura di te stesso e ricorda che sei il caregiver di te stesso, così come del paziente. Ti meriti di essere onorato per quello che stai facendo. "

 

Fonte: Donna McCullough, PhD, psicologa a Laguna Hills, California, e co-fondatrice di Affirmative Therapy Products. Alzheimer's reading room, 8 ottobre 2010

 

'Cerca di vivere una vita normale'

"HKS, commentando un mio precedente articolo sulla socializzazione, ha scritto:

Cerco di portare mia madre a mangiare fuori un paio di volte la settimana. Ho scoperto che non gradisce l'atmosfera sterile dei ristoranti di lusso ma preferisce di gran lunga luoghi più casual e popolari (dove non credo fosse mai entrata prima di contrarre il morbo). Il normale discorrere delle famiglie a proposito della loro vita normale sembra metterla molto a suo agio.

Ho sempre cercato di evitare i luoghi affollati pensando che sarebbe stato troppo angosciante la mamma (e onestamente anche motivo d’imbarazzo). Qualche tempo fa l’ho portato fuori senza rendermi conto che era un giorno festivo; il locale che ho scelto era molto più pieno di gente del solito, ma per fortuna un tavolo si è liberato proprio mentre stavo pensando di andarmene. Era un tipo di tavolo con panca e poco dopo aver ordinato, un gruppo si avvicinò e ci chiese se potevano condividere il nostro tavolo. La mamma ha detto di sì e dentro di me temevo per quello che sarebbe potuto accadere.

In realtà abbiamo avuto un buon pranzo e le chiacchiere conviviali e disimpegnate dell’altro gruppo sembrarono rilassare mia madre. Sembrava più felice e ha mangiato più di quanto avrebbe fatto quando eravamo soli in ristoranti più costosi, dove avrei dovuto faticare per tenere una parvenza di conversazione e per farla mangiare.


Ho trovato questo commento interessante e illuminante. Come HKS Ho iniziato portando mia madre in ristoranti "alla moda". Non funzionò come mi aspettavo. Poi ho pensato, abbiamo bisogno di cominciare a vivere la nostra vita nel modo che abbiamo sempre vissuto. Questo spiega in parte perché ho deciso di portarla al Banana Boat (ndr: ristorante di Boyton Beach, Florida), perché le piace. Al BB c’è luce brillante, cibo da mangiare con le mani e un'opportunità per entrambi di socializzare. E musica dal vivo.

Nel corso degli anni, ho sentito ogni genere di scuse dai caregivers di malati di Alzheimer sul perché non possono portare in pubblico coloro di cui si occupano. La scusa principale: mangeranno con le mani. Mi sono voluti circa due secondi per risolvere il problema: ordinare cibo che si può mangiare con le mani. Suppongo che HKS si sarà preoccupato di questo. O forse per come poteva agire sua madre, o per l'espressione del suo viso.

Ho sentito caregivers lamentarsi che, ai malati di cui si curano, non piace stare in luoghi affollati. Dotty (ndr: madre dell’autore) sembrava un po' sconcertata quando siamo stati in un luogo affollato. Sì, mi sono preoccupato anche di questo. Fino a quando ho finalmente capito che lei era preoccupata di non essere travolta mentre camminava, non degli altri. Dotty spesso si ferma immobile quando qualcuno le cammina incontro. Non ha paura della persona, ma che non ci sia abbastanza spazio per entrambi (forse la percezione della profondità). Dotty si ferma immobile quando porta il carrello al supermercato, se incrocia un altro carrello.
Una volta che abbiamo cominciato a vivere la nostra vita nel modo che abbiamo sempre avuto,Dotty ha iniziato a tornare più o meno la precedente persona. Lo scorso Venerdì notte si è imbarcata in una bevuta selvaggia e folle con un ragazzo di 35 anni che era seduto accanto a lei. Lui era davvero stupito. Come lo ero io, perché non era mai successo in queste proporzioni.

Credo che debba decidere come vuoi vivere. Suppongo che quello che sto cercando di dire è: ecco, dovete scegliere uno stile di vita come caregiver dell’Alzheimer. La parola chiave è scegliere.

Ecco una citazione da uno studio di ricerca che ho letto, che ha sicuramente influenzato le mie decisioni quando si è trattato di malattia di Alzheimer e mia madre:

La mancanza di stimoli sociali è nociva per le persone con demenza. Enfatizza l'impatto della condizione. Può portare alla depressione e incoraggia la gente a chiudersi in se stessi ...

Più o meno questo era ciò che stava accadendo prima che Dotty ed io decidessimo di vivere. E il motivo per cui includo la comunicazione e la socializzazione nel mio elenco di cinque cose che devi fare o considerare per avere successo come caregiver dell’Alzheimer."

 

Fonte: Bob DeMarco, Alzheimer Reading Room, 26 ottobre 2010

 

Tesi di Laurea di Erica Maggiotto sul caregiver famigliare

Dall'introduzione: Questo lavoro intende offrire una panoramica sulla figura del caregiver familiare, sui bisogni delle persone che curano e un quadro delle principali soluzioni già in atto per far fronte ai bisogni emergenti dei carer. Lo scopo è quello di giungere, attraverso uno studio di carattere teorico ed esperienziale, alla dimostrazione dell’importanza e del valore del “ruolo” del familiare che svolge il lavoro di cura. In particolare ci si soffermerà sulle problematiche di quei caregiver che si occupano di anziani non autosufficienti, esplicitando in alcuni punti l’attenzione verso la presenza di forme di demenza nell’anziano, allo scopo di illustrare, seppur sommariamente, le caratteristiche e le conseguenze di una delle condizioni senza dubbio più delicate e difficoltose in cui può ritrovarsi il caregiver. [Leggi tutto ... pdf_icon]

 

 

Segnalazione (*) dell'applicazione «BADAPLUS» per aiutare il caregiving famigliare

La Dott.ssa Barbara Gamba, pedagogista, dopo anni di coordinamento presso strutture per anziani, ha realizzato assieme ad un gruppo di professionisti l'applicazione per tablet e smartphone BADAPLUS, per la gestione del lavoro domestico di assistenza.

L'autrice descrive così le caratteristiche dell'applicazione:

Badaplus"BADAPLUS è di facile uso e scaricabile gratuitamente da ITUNE Store e Google Play, con la possibilità di gestire il tutto a distanza. BADAPLUS è assolutamente innovativo in quanto consente alla famiglia, in qualità di datore di lavoro, di pianificare le attività che la badante svolge a domicilio secondo le esigenze della persona da assistere.

"La badante quotidianamente accede ad un planning di attività da svolgere e spunta ciò che è stato fatto, integrato con eventuali note ed osservazioni.

"La famiglia accede e visualizza quotidianamente e/o settimanalmente il rapporto delle attività svolte ed eventuali parametri rilevati per ottenere una panoramica dello stato di benessere del proprio familiare.

BADAPLUS è a disposizione di chiunque desideri ed offre inoltre una serie di servizi aggiuntivi e integrati ponendosi come valido strumento per favorire efficacia e qualità nel lavoro di assistenza a domicilio:

  • gestione in remoto - possibilità da parte della famiglia di pianificare e verificare il lavoro della badante anche a distanza;
  • sistema multilingue - possibilità di tradurre i contenuti dell’applicazione nella lingua madre della badante;
  • tutorial di approfondimento nelle cinque aree di intervento - possibilità di avere approfondimenti tematici, suggerimenti, video e dimostrazioni pratiche relative alle attività delle cinque aree di assistenza;
  • personalizzazione - possibilità di personalizzare i contenuti ed il format dell’applicazione, su particolari tipologie di utenza;
  • STARTER KIT - il pacchetto composto da tablet più BADAPLUS costantemente aggiornato.

"Badaplus rappresenta così un utile strumento per le famiglie che hanno un familiare da assistere in quanto consente in tre semplici mosse di pianificare, monitorare e ottenere un rapporto circa le attività che l’assistente familiare svolge secondo le esigenze e bisogni della persona da assistere. Offre inoltre alla badante e caregiver strumenti ed indicazioni che le permettono di svolgere il suo lavoro al meglio, coinvolgendola e condividendo con la famiglia, o eventualmente un operatore qualora l’applicazione venga adottata da un ente, un piano di lavoro congruo alle sue competenze.

"Badaplus, oltre ad essere un semplice planning interattivo,mira ad essere uno strumento di comunicazione e integrazione attraverso una serie di servizi ulteriori prossimamente disponibili: quali la gestione in remoto, un sistema multilingua, l’associazione con dispositivi di analisi di parametri (pressione, glicemia, deambulazione, peso), alert in caso di criticità, collegamento con servizi extra presenti in enti pubblici e privati, tutorial in-formativi con spiegazioni pratiche per rispondere ai molteplici bisogni che emergono nel quotidiano.

"Aiutare le famiglie a trovare risposte rapide ed efficienti, sostenere e assistere la badante che lavora a domicilio individualmente e garantire la possibilità di monitorare, ricevere dati e richieste attraverso un unico sistema, è il desiderio che i giovani professionisti che stanno dietro Badaplus cerchano di concretizzare attraverso l'applicazione. Il tutto mettendo al centro i bisogni della persona, il domicilio come possibilità di luogo di cura privilegiato e il coinvolgimento attivo di famiglia, badante, ente, territorio.

Crediamo fermamente nella cultura della domiciliarità e nella possibilità di dare risposte sempre più efficienti ai bisogni delle persone.

Dottoressa Barbara Gamba
Founder Badaplus
email:
sito internet: www.badaplus.it

 

(*) Nota: questa segnalazione ha solo valore informativo e non comporta alcun impegno nè raccomandazione da parte dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X, che peraltro non è coinvolta nel progetto e non conosce la funzionalità e l'utilità effettiva dell'applicazione.

 

Paziente terminale: bisogni psicologici del paziente e della famiglia


  

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