Quando mi sono laureata, ricordo di aver letto il resoconto di una interazione con un ospite con demenza. Scendendo dal bus dopo una gita, si è rivolto al conducente dicendo: "Grazie per questo. Non ricordo quello che ho fatto, ma so che mi è piaciuto!".
Questo mette in luce un aspetto importante e talvolta ignorato della demenza: le persone possono dimenticare gli eventi piuttosto velocemente, ma la memoria emotiva permane.
I sentimenti di frustrazione, gioia, felicità o disperazione possono continuare ben oltre l'evento che ha provocato il sentimento. La capacità di sentire sentimenti ed emozioni è persa nella persona con demenza? Io non lo credo. Ciò che è perso è il senso del positività (quel sentire tipo ''finché c'è vita, c'è speranza'') da parte di coloro che si prendono cura. Questo non significa biasimare le persone che assistono; è quello che ci si aspetta che può accadere con un anziano funzionalmente molto dipendente e incapace di comunicare.
Ma confrontiamolo con il modo in cui reagiamo a un bambino che, funzionalmente, è molto simile. Ci facciamo prendere, lo coccoliamo con entusiasmo, sorridiamo con positività generosa e ci mettiamo in contatto amorevolmente. E nel caso di bambini molto piccoli, cerchiamo piccoli barlumi di riconoscimento e lo colmiamo di gratificazioni positive per i rumori e i movimenti. Forse è perché il bambino è così pieno di potenzialità - una vita che inizia - che siamo in qualche modo programmati per rispondere in questo modo.
Al contrario, un anziano con demenza, alla fine della vita, rappresenta la conclusione, la morte, alla quale tutti noi ci troveremo di fronte prima o dopo. Questa relazione con i più piccoli e con gli anziani sembra essere riflessa almeno in parte nella letteratura e nel linguaggio che usiamo:
- per i più piccoli abbondano le parole "prima educazione" e "arricchimento", visto che i genitori sono invitati a circondare il bambino di musica, tatto e stimolazione;
- apri un libro sull'anzianità ed è tutto un parlare di gestione: gestire la perdita, gestire l'aggressività, gestire l'incontinenza.
Uno dei problemi nella demenza è che sempre di più patologizziamo il comportamento, sia positivo che negativo. Quelle che dovrebbero, o potrebbero, essere normali interazioni umane diventano ' comportamenti'' o'' interventi''. C'è poco in termini di gioia e spontaneità. Assieme a un collega ho fatto di recente una rapida ricerca sulla demenza nella letteratura accademica. Usando i termini di ricerca "demenza" o "Alzheimer" assieme a "gioia" o "felicità" o "soddisfazione", non abbiamo ottenuto quasi nulla.
Scorrendo l'elenco dei libri sulla demenza di una grande biblioteca, abbiamo trovato molti titoli sulla continenza, ma niente sulla soddisfazione; titoli sul senso di impotenza e sull'accaparramento, ma niente sulla felicità. "Demenza e benessere" è andato un po' meglio, ma il benessere tendeva ad essere formulato in termini clinici. Nel campo della demenza, sembra che non si faccia ricerca o si scriva di amore, felicità e divertimento, ma queste sono le cose per cui vale la pena vivere. E che, per di più, esistono ancora con la demenza.
Non fraintendetemi. La demenza è una tragedia. Può essere angosciante per la persona con demenza e per le persone care che la proteggono e la assistono.
C'è bisogno di ricerca e quindi di finanziamenti, e il nostro modo di vendere la demenza per attrarre i finanziamenti è mettere il dito sui deficit, sulla disperazione e sulla perdita, per quanto possiamo. Ma facendo così, quanto si avvalora l'argomento guardando la demenza solo attraverso la lente delle negatività per le persone con demenza, dei familiari e dei caregiver professionali?
Citando uno dei libri della mia libreria, Wellbeing in Dementia [Benessere nella demenza] di Tessa Perrin, ho trovato la speranza concreta che molti stanno cercando: "Più gente vede che le persone con demenza, con sostegno e assistenza adguati, possono vivere una vita gratificante e felice, meno motivi ci saranno di temere la condizione".
Se fossimo meno pavidi e più consapevoli della perdita di positività quando ci riferiamo ai nostri cari con demenza, forse saremmo meno inclini a pensare che l'unica speranza è di porre fine alla loro vita.
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Pubblicato da Meredith Gresham in TheAge.com.au il 14 Gennaio 2013 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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