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L'Alzheimer ci ricorda la fragilità della vita


Ho letto di recente che la leggenda della musica country Glen Campbell è entrato nell'ultima fase di Alzheimer, cinque anni dopo la diagnosi.


Secondo l'Alzheimer's Association, questa malattia è la forma più comune di demenza e rappresenta dal 60 all'80 per cento di tutti i casi di demenza.


Anche se la mia famiglia è stata finora risparmiata da questa terribile malattia, la mia vicina non è stata così fortunata. La demenza è arrivata e si è mossa in fretta.


Fino a poco tempo fa mi avrebbe vesto nel cortile e sarebbe venuta in allegria dalla mia parte della strada, facendo una pausa dal rastrellare o potare un cespuglio di rose, per scambiare storie di giardinaggio e bambini.


Ora sul suo viso appare uno sguardo di confusione ogni volta che le faccio un cenno attraverso la stessa strada. La sua risposta, un tempo esuberante e sicura, improvvisamente è diventata timida ed esitante.


Negli anni del suo declino, il marito è venuto regolarmente da noi, tenendoci aggiornati sulle sue condizioni. Egli dice che lei ora è ben lontana dalla donna con la quale è sposato da sessant'anni. E' facile all'ira. Impreca di frequente, una cosa che non aveva mai fatto prima. E non riconosce le persone.


Possiamo vedere negli occhi di lui la stanchezza, la tristezza, il pio desiderio, i sogni perduti degli anni di un tramonto vissuto in pace. La loro unica figlia si fa vedere spesso, a volte rimane per tutto il weekend. Lei e suo padre sono i caregiver di sua madre, la sua luce nei luoghi scuri, il riparo dalla tempesta, il suo tutto.


Di tanto in tanto, un nipote arriva con un camion rumoroso e porta il nonno in luoghi sconosciuti. Al ritorno, restano in piedi in strada, ridendo e chiacchierando. Li guardo dalla finestra e sento un dolore che mi sale in gola.


Ricordo le parole di Giacomo 4:14: "Non sapete cosa accadrà domani! Che cos’è la vita vostra? E' una foschia che appare per un po’ e poi svanisce".


Alcune mattine, apro la porta di casa e la vedo dall'altra parte della strada, la sua figura magra chinata su una scopa, mentre spazza un tratto del viale d'accesso come se la sua vita dipendesse da quello. A volte alza lo sguardo e mi vede. Le faccio un cenno, ma lei non risponde più, la luce del ricordo non c'è più.


Alba. Tramonto. Inverno. Primavera. Estate. Autunno. Ci vogliono venti o trent'anni per rendersi conto che la vita è fatta di stagioni; che dal momento della nascita a quello della morte i nostri giorni sono un susseguirsi costante di addii.


I miei pensieri e preghiere vanno a Glen Campbell, e ai familiari che l'hanno visto svanire, perso a loro, perso a se stesso, prigioniero di una malattia straziante che strappa via l'essenza stessa di una persona. Forse stanno respirando un triste sospiro di sollievo ora, sapendo che la sua lotta è un passo più vicino alla fine, che la sua lunga notte arriverà finalmente alla fine. Quanto è fragile la vita, e spesso sleale.


Mentre scrivo queste parole, il giorno sta svanendo, il buio si raccoglie alle finestre. In fondo al corridoio, sento le dolci chiacchiere della mia nipotina, di appena un anno, così piena di promesse, il cerchio della sua vita è solo all'inizio, e mi sono ricordata delle parole di Nancy Reagan, durante i 10 anni che si è occupata del marito malato: "Arrivi a capire più che mai che siamo tutti qui per un certo tempo, e che finirà. E fai bene a tenerlo presente".

 

 

 


Fonte: Dayle Ann Shockley, scrittrice pluripremiata di Houston e autrice di tre libri.

Pubblicato in The Tennessean (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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