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Cellule T 'ribelli' nel cervello: così nasce l’infiammazione neurotossica dell’Alzheimer

Studio dell'Università di Verona svela un inedito meccanismo infiammatorio che danneggia i neuroni

Team studio Terrabuio et al NatCommDa sinistra, 1a fila: Antonella Calore, Maria Pia Manto, Eleonora Terrabuio, Daniela Cecconi, Gabriela Constantin, Barbara Rossi, Marta Donini, Jessica Brandi. 2a fila: Alessio Montresor, Enrica Pietronigro, Carlo Laudanna, Laura Fumagalli, Vittorina Della Bianca, Nikolaus Vareltzakis. (Fonte: UniVerona)

Un nuovo studio dell’Università di Verona getta nuova luce sul ruolo del sistema immunitario nel morbo di Alzheimer (MA) svelando un inatteso 'tradimento' delle cellule difensive del nostro organismo. Le stesse cellule T che normalmente ci proteggono da virus e infezioni diventano, in alcune circostanze, capaci di danneggiare i neuroni e alimentare i processi neurodegenerativi alla base della malattia. È questa la scoperta al centro della ricerca realizzata dal gruppo guidato da Gabriela Constantin, prorettrice alla Ricerca di ateneo e docente di Patologia generale del dipartimento di Medicina diretto da Domenico Girelli, e i cui risultati sono pubblicati su Nature Communications.


Il MA è la forma più comune di demenza. L’OMS stima che nel 2030 circa 66 milioni di persone avranno questa patologia e che nel 2050 ci saranno 115 milioni di pazienti, con un notevole impatto sociale ed economico. La malattia ha una durata di 3-9 anni e al momento non esiste alcuna terapia in grado di interferire con il suo decorso. “Il nostro studio", spiega Gabriela Constantin, "dimostra un dialogo alterato tra l’immunità e il cervello ne MA. I linfociti T esprimenti la molecola CD8, cellule immunitarie normalmente coinvolte nella difesa contro le infezioni, hanno un ruolo neurotossico rilasciando la granzima K che aggredisce i neuroni e altera la loro funzione”.


Questa scoperta apre la via a nuove prospettive terapeutiche basate sulla modulazione delle funzioni neurotossiche delle cellule immunitarie, con possibili applicazioni anche in altre malattie neuroinfiammatorie come il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla. Le cosiddette neuroimmune interactions – le interazioni tra il cervello e il sistema immunitario – rappresentano oggi uno dei campi più innovativi della ricerca biomedica. Normalmente, i leucociti circolanti raramente entrano in contatto con le cellule nervose, ma in condizioni patologiche la loro migrazione nel cervello aumenta, dando origine a un 'dialogo ostile' che può innescare la degenerazione neuronale. Lo studio veronese ha documentato in modo pionieristico come questa comunicazione distorta possa favorire la produzione di amiloide beta e la fosforilazione anomala della proteina tau, i due segni distintivi del MA, contribuendo così alla perdita di memoria e al deterioramento cognitivo.


Lo studio, con prime coautrici Eleonora Terrabuio ed Enrica Caterina Pietronigro, è frutto di un ampio lavoro di squadra che ha coinvolto Vittorina Della Bianca, Alessandro Bani, Carlo Laudanna, Barbara Rossi, Bruno Santos-Lima, Elena Zenaro, Fabiana Mainieri, Antonella Calore, Gabriele Angelini, Gabriele Tosadori e Nikolaos Vareltzakis, Alessio Montresor, Laura Fumagalli, Maria Pia Manto e Marta Donini del dipartimento di Medicina; Ermanna Turano del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento; Matteo Calgaro, Nicola Vitulo, Daniela Cecconi e Jessica Brandi del dipartimento di Biotecnologie; Monica Castellucci e Giulia Finotti del Centro Piattaforme Tecnologiche; e Bruno Bonetti dell’Aoui di Verona.


Il progetto è stato sostenuto da finanziamenti della Commissione europea, della Fondazione italiana sclerosi multipla, del National Centers Program e del programma Pnrr “Partenariati estesi”. La ricerca del gruppo di Gabriela Constantin, prima donna in Italia a ricevere nel 2003 il premio Rita Levi Montalcini e nominata nel 2010 outstanding female scientist dall’European Research Council, conferma il ruolo dell’Università di Verona nel panorama internazionale delle neuroscienze. Un lavoro che non solo svela nuovi meccanismi di infiammazione cerebrale, ma apre spiragli concreti verso strategie terapeutiche capaci di trasformare una malattia ancora oggi senza cura in una sfida affrontabile.

 

 

 


Fonte: Sara Mauroner in Università di Verona

Riferimenti: E Terrabuio, [+20], G Constantin. CD103CD8+ T cells promote neurotoxic inflammation in Alzheimer’s disease via granzyme K–PAR-1 signaling. Nat Commun, 2025, DOI

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 



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