Un nuovo studio condotto da ricercatori della University of California a Berkeley fornisce ancora più motivi alle persone di leggere un libro o fare cruciverba, e di rendere tali attività una abitudine per tutta la vita.
Scansioni cerebrali hanno rivelato che le persone senza sintomi di Alzheimer, che si sono impegnati in attività cognitivamente stimolanti per tutta la vita hanno meno depositi di beta-amiloide, una proteina distruttiva che è segno distintivo della malattia.
Mentre la ricerca precedente ha suggerito che impegnarsi in attività mentalmente stimolanti - come la lettura, la scrittura e i giochi - può aiutare ad evitare l'Alzheimer più tardi nella vita, questo nuovo studio identifica i target biologici che sono alla base. Questa scoperta potrebbe orientare la ricerca futura per efficaci strategie di prevenzione.
"Questi risultati indicano un nuovo modo di pensare al modo in cui l'impegno cognitivo per tutta la vita influisce sul cervello", ha detto il ricercatore autore principale dello studio, il Dr. William Jagust, professore con incarichi all' Helen Wills Neuroscience Institute della UC Berkeley, alla Scuola di sanità pubblica e al Lawrence Berkeley National Laboratory. "L'attività non fornisce semplicemente una resistenza all'Alzheimer, ma stimola il cervello incidendo sul processo patologico primario della malattia. Questo suggerisce che le terapie cognitive potrebbero avere significativi benefici dal trattamento che modifica la malattia, se applicate con sufficiente anticipo, prima della comparsa dei sintomi".
La scansione PET rivela le placche amiloidi, che appaiono come colori caldi (rosso e arancione). La scansione centrale è di una persona senza sintomi di problemi cognitivi, ma con evidenti livelli di placche amiloidi nel cervello. (Immagini di Susan Landau e William Jagust) |
Si stima che 5,4 milioni di americani vivono con l'Alzheimer, ma i numeri sono in crescita con l'invecchiamento dei baby boomers. Tra il 2000 e il 2008, le morti per Alzheimer sono aumentate del 66 per cento, diventando così la sesta maggiore causa di morte del paese. Non esiste attualmente alcuna cura, ma una bozza del primo Piano Nazionale di Alzheimer da sempre, pubblicato questa settimana, ha rivelato che il governo degli Stati Uniti punta a trattamenti efficaci di Alzheimer entro il 2025.
Il nuovo studio, pubblicato Lunedi 23 gennaio in Archives of Neurology, punta i riflettori sull'amiloide, le fibre di proteine ripiegate in placche aggrovigliate che si accumulano nel cervello. Il beta-amiloide è il primo sospettato nella patologia dell'Alzheimer, così che trovare un modo per ridurne lo sviluppo è diventata una importante nuova strada di ricerca.
I ricercatori fanno notare che l'accumulo di amiloide può anche essere influenzato da geni e invecchiamento (un terzo delle persone di 60 anni e oltre hanno alcuni depositi di amiloide nel cervello) ma ogni individuo può controllare quanto leggere e scrivere. "Questa è la prima volta che il livello di attività cognitiva è stata correlata all'accumulo di amiloide nel cervello", ha detto lo studio l'autore Susan Landau, ricercatore presso l'Istituto di Neuroscienze Helen Wills e il laboratorio di Berkeley. "L'amiloide inizia ad accumularsi probabilmente molti anni prima della comparsa dei sintomi. Quindi è possibile che quando si hanno sintomi di Alzheimer, tipo i problemi di memoria, c'è poco che si può fare per fermare la progressione della malattia. Il tempo di intervento deve essere anticipato di molto, ed è per questo che stiamo cercando di capire se lo stile di vita può essere correlato alle modifiche più precoci".
I ricercatori hanno chiesto a 65 adulti sani, cognitivamente normali, di 60 anni e oltre (età media era di 76) di valutare la frequenza con cui hanno partecipato a tali attività mentalmente coinvolgenti, come andare in biblioteca a leggere libri o giornali, scrivere lettere o e-mail. Le domande vertevano su vari punti della loro vita dai 6 anni ad oggi. I partecipanti hanno preso parte a numerosi test neuropsicologici per valutare la memoria e le altre funzioni cognitive, e sono stati sottoposti a scansioni a emissione di positroni (PET) al Berkeley Lab utilizzando un tracciante nuovo chiamato Pittsburgh Compound B, sviluppato per visualizzare l'amiloide. I risultati delle scansioni del cervello degli individui sani anziani con vari livelli di attività cognitiva nell'intera vita sono stati confrontati con quelli di 10 pazienti con diagnosi di Alzheimer e 11 soggetti sani di età attorno ai 20 anni.
I ricercatori hanno trovato una significativa associazione tra alti livelli di attività cognitiva nel corso della vita e livelli minori di beta-amiloide nella PET. Hanno analizzato l'impatto di altri fattori, come la funzione di memoria, l'attività fisica, la capacità di memoria auto-valutata, il livello di istruzione e il genere, e hanno scoperto chel'impegno cognitivo per tutta la vita è legato in modo indipendente alla deposizione di amiloide. In particolare, i ricercatori non hanno trovato un forte legame tra il deposito di amiloide e i livelli attuali di attività cognitiva da soli. "I nostri dati suggeriscono che impegnarsi una vita intera in queste attività ha un effetto maggiore dell'impegno cognitivo solo in età avanzata", ha detto Landau.
I ricercatori stanno attenti a sottolineare che lo studio non nega i benefici dell'aumento di attività cerebrale nell'anzianità. "Non ci sono lati negativi nell'attività cognitiva. Può solo essere utile, anche se per motivi diversi dalla riduzione dell'amiloide nel cervello, come la stimolazione sociale ed la forma fisica", ha detto Jagust. “And actually, cognitive activity late in life may well turn out to be beneficial for reducing amyloid. "E in realtà, le attività cognitive in età avanzata potrebbero rivelarsi utili per la riduzione amiloide. Solo che non abbiamo scoperto ancora qual è il collegamento".
Altri autori dello studio comprendono ricercatori del Memory and Aging Center and Department of Neurology della UC San Francisco e dal Medical Center Alzheimer Disease Center della Rush University di Chicago. Hanno aiutato a finanziare la ricerca i National Institutes of Health e l'Associazione Alzheimer.
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Pubblicato in UC Berkeley NewsCenter il 23 gennaio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari. - Foto GETTY IMAGES
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