Ricercatori della Rockefeller University hanno usato una tecnica di scansione sviluppata di recente (che rende trasparente i tessuti) per esaminare il tessuto cerebrale di pazienti deceduti con Alzheimer, osservando strutture non casuali e di ordine superiore di placche amiloide-beta (ciuffi appiccicosi di una proteina tossica presenti di solito nel cervello delle persone con Alzheimer).
Il rapporto è apparso il 14 luglio sulla rivista scientifica Cell Reports.
"Fino ad ora, tutti hanno studiato il cervello su delle fettine 2D, ma ho sempre percepito che era una tecnica inadeguata, perché si tratta di una complessa struttura 3D con molti componenti interdipendenti", dice l'autore senior Marc Flajolet, assistente professore del Laboratorio di Neuroscienze Molecolari e Cellulari della Rockefeller University. "Non solo preparare le fettine richiede molto tempo e ricostruirle in 3D è laborioso, se non sbagliato, ma ci dà anche una visione limitata. Avevamo bisogno di un qualche altro modo di guardare questa struttura 3D in tutte le sue dimensioni, senza il taglio preliminare del cervello".
I ricercatori volevano andare oltre la scansione cerebrale 3D tradizionale (ad esempio PET o fMRI), che mostra l'attività cerebrale in modo ampio, ma ha una bassa risoluzione complessiva. Per aggirare questo ostacolo, il team di ricerca si è rivolto a un metodo recentemente sviluppato, chiamato "iDISCO". Con esso il cervello viene immerso in una soluzione che impregna con una carica i grassi interni, prima di essere esposto ad un campo elettrico con la carica opposta che, come un magnete, espelle tutto il grasso fuori dal tessuto cerebrale.
Il risultato, dice Flajolet, è un cervello che è duro e trasparente, quasi "come vetro", che consente ai ricercatori di vedere le placche amiloidi in tutti i dettagli e in 3D, in un emisfero intero del cervello di topo, così come in piccoli blocchi di tessuto cerebrale umano.
"Nei modelli di topo, le placche sono piuttosto piccole, omogenee per forma e dimensioni, e non raggruppate in modo specifico", dice Flajolet. "Ma nel cervello umano abbiamo visto più eterogeneità, placche più grandi e questi nuovi modelli complessi. Queste strutture, chiamate TAP (Three dimensional Amyloid Patterns, modelli amiloidi tridimensionali) possono avere implicazioni per il futuro del trattamento dell'Alzheimer".
Confrontando i rapporti medici sui sintomi di un paziente con immagini del suo cervello post-mortem, si possono classificare le diverse categorie di Alzheimer. "Ci sono persone con il cervello pieno di placche, ma del tutto privi di demenza", dice, "e ci sono quelli con cervello senza placche ma con molti sintomi".
Alla luce di questo, il modo in cui gli attuali studi clinici vedono la malattia (una unica categoria) potrebbe non essere corretto, dice. E' possibile che i farmaci attuali possano essere utili solo per un sottogruppo di pazienti di Alzheimer, ma non abbiamo modo di distinguerli al momento.
Flajolet ha sottolineato che, andando avanti, occorre una migliore comprensione di queste placche e caratteristiche di Alzheimer in generale, poiché non è chiaro il rapporto tra la loro presenza e la gravità della malattia. "Forse questo porterà allo sviluppo di farmaci nuovi e più mirati, o ci permetterà di ripensare i farmaci che abbiamo ora; questo è quello che speriamo".
Fonte: Cell Press via EurekAlert! (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Thomas Liebmann, Nicolas Renier, Karima Bettayeb, Paul Greengard, Marc Tessier-Lavigne, Marc Flajolet. Three-Dimensional Study of Alzheimer’s Disease Hallmarks Using the iDISCO Clearing Method. Cell Reports, 2016; DOI: 10.1016/j.celrep.2016.06.060
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