I ricercatori della Brown University che studiano la biologia dell'invecchiamento hanno dimostrato una nuova strategia per stimolare l'autofagia, il processo attraverso il quale le cellule si ricostruiscono, riciclando le proprie parti usurate.
In uno studio pubblicato sulla rivista Cell Reports, i ricercatori dimostrano che il loro approccio ha aumentato la durata della vita di vermi e moscerini e gli esperimenti nelle cellule umane suggeriscono che la strategia potrebbe essere utile nei futuri trattamenti per l'Alzheimer, la SLA e altre condizioni neurodegenerative correlate all'età.
"La disfunzione autofagica è presente in una serie di malattie legate all'età, comprese le neurodegenerazioni", ha detto Louis Lapierre, assistente professore di biologia molecolare, biologia cellulare e biochimica della Brown, che ha guidato il lavoro. "Noi e altri pensiamo che imparando come influenzare farmacologicamente questo processo, potremmo intervenire sulla progressione di queste malattie. Quello che abbiamo mostrato qui è un punto di ingresso nuovo e conservato per stimolare l'autofagia".
L'autofagia è diventata un tema scottante negli ultimi anni, facendo acquisire al suo scopritore il premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 2016. Il processo prevede di avvolgere le proteine mal ripiegate e degli organelli obsoleti dell'interno della cellula in vescicole chiamate autofagosomi. Gli autofagosomi si fondono quindi con un lisosoma, un organello contenente enzimi, che scompone quelle macromolecole cellulari e le converte in componenti che la cellula può riutilizzare.
Lapierre e i suoi colleghi volevano vedere se potevano aumentare l'autofagia manipolando un 'fattore di trascrizione' (una proteina che attiva e disattiva l'espressione genica) che regola l'attività autofagica. Affinché il fattore di trascrizione attivi l'attività autofagica, deve essere localizzato nel nucleo della cellula. Così Lapierre e il suo team hanno esaminato i geni che migliorano il livello del fattore di trascrizione dell'autofagia, chiamato TFEB, all'interno del nucleo.
Usando il nematode C. elegans, l'esame ha scoperto che la riduzione dell'espressione di una proteina chiamata XPO1 (che trasporta proteine dal nucleo) porta all'accumulo nel nucleo della versione di TFEB del nematode. Tale accumulo è stato associato ad un aumento dei marcatori di autofagia, tra cui l'aumento di autofagosoma, autolisosomi e l'aumento della biogenesi del lisosoma.
C'è stato anche un marcato aumento, tra circa il 15% e il 45%, della durata della vita dei nematodi trattati: "Ciò che abbiamo dimostrato è che, bloccando la fuga di questo fattore di trascrizione dal nucleo, non solo potevamo influenzare l'autofagia, ma potevamo ottenere anche un aumento della durata della vita", ha detto Lapierre.
Il passo successivo è stato verificare se esistevano farmaci in grado di simulare l'effetto dell'inibizione del gene usato nell'esperimento. I ricercatori hanno scoperto che gli 'inibitori selettivi dell'esportazione nucleare' (SINE), originariamente sviluppati per inibire la XPO1 nei tumori, hanno un effetto simile - aumentando i marcatori dell'autofagia e aumentando significativamente la durata della vita nei nematodi.
I ricercatori hanno poi testato i SINE su un moscerino della frutta geneticamente modificato che funge da organismo modello per la malattia neurodegenerativa SLA. Questi esperimenti hanno mostrato un piccolo ma significativo aumento della durata della vita dei moscerini trattati. "I nostri dati suggeriscono che questi composti possono alleviare parte della neurodegenerazione in questi moscerini", ha detto Lapierre.
Come ultimo passo, i ricercatori hanno cercato di vedere se inibire la XPO1 avesse sull'autofagia nelle cellule umane effetti simili a quelli sui nematodi. Dopo aver trattato una coltura di cellule HeLa umane con i SINE, i ricercatori hanno scoperto che, in effetti, aumentavano le concentrazioni di TFEB nel nucleo, così come i marcatori dell'attività autofagica e della biogenesi lisosomiale.
"Il nostro studio ci dice che la regolazione del partizionamento intracellulare del TFEB è conservata dai nematodi agli esseri umani e che i SINE potrebbero stimolare l'autofagia negli esseri umani", ha detto Lapierre. "I SINE hanno dimostrato di recente di essere tollerati in studi clinici per il cancro, quindi c'è il potenziale per usare i SINE per trattare altre malattie legate all'età".
La ricerca futura, ha detto Lapierre, si concentrerà sul test di questi farmaci in modelli clinicamente più rilevanti di malattie neurodegenerative. Ma questa ricerca iniziale è una prova di concetto che questa strategia è un mezzo per aumentare l'autofagia e che può potenzialmente trattare le malattie legate all'età.
Fonte: Brown University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Melissa J. Silvestrini, Joseph R. Johnson, Anita V. Kumar, Tara G. Thakurta, Karine Blais, Zachary A. Neill, Sarah W. Marion, Victoria St. Amand, Robert A. Reenan, Louis R. Lapierre. Nuclear Export Inhibition Enhances HLH-30/TFEB Activity, Autophagy, and Lifespan. Cell Reports, Published 1 May 2018, DOI: 10.1016/j.celrep.2018.04.063
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