Il morbo di Alzheimer (MA), la causa più comune di demenza negli anziani, è caratterizzata da placche e grovigli nel cervello, e la maggior parte degli sforzi per trovare una cura si sono focalizzati su queste strutture anormali. Ma un team di ricerca dell'Università della California di Riverside ha identificato una chimica alternativa che potrebbe spiegare le varie patologie associate alla malattia.
Finora placche e grovigli sono stati al centro dell'attenzione in questa malattia progressiva che attualmente colpisce più di 35 milioni di persone nel mondo. Le placche, i depositi di un frammento proteico chiamato amiloide-beta (Aβ), sembrano grumi negli spazi tra i neuroni. I grovigli, fibre intrecciate di tau, un'altra proteina, sembrano fasci di fibre che si accumulano all'interno delle cellule.
"La teoria dominante basata sull'accumulo di Aβ esiste da decenni e sono state tentate dozzine di studi clinici basati su tale teoria, ma tutti hanno fallito", ha affermato Ryan R. Julian, professore di chimica che ha guidato il gruppo di ricerca . "Oltre alle placche, si osserva un accumulo lisosomiale nel cervello di persone che hanno il MA. I neuroni - cellule fragili che non subiscono la divisione cellulare - sono sensibili ai problemi lisosomiali, in particolare all'accumulo lisosomiale, che secondo noi è una probabile causa del MA".
I risultati dello studio compaiono su ACS Central Science, una rivista dell'American Chemical Society.
Il lisosoma, un organello all'interno della cellula, funge da cestino dei rifiuti della cellula. Vecchie proteine e lipidi vengono inviati al lisosoma per essere scomposti nei loro blocchi costitutivi, e vengono poi rispediti nella cellula per essere integrati in nuove proteine e lipidi. Per mantenere la funzionalità, la sintesi delle proteine è bilanciata dalla degradazione delle proteine.
Il lisosoma, tuttavia, ha un punto debole: se ciò che entra non viene scomposto in piccoli pezzi, allora questi pezzi non possono lasciare il lisosoma. La cellula decide che il lisosoma non funziona e lo 'mette in deposito', il che significa che la cellula spinge il lisosoma di lato e procede a crearne uno nuovo. Se anche il nuovo lisosoma fallisce, il processo viene ripetuto, con conseguente accumulo del lisosoma.
"Il cervello delle persone che hanno un disturbo da accumulo lisosomiale, un'altra malattia ben studiata, e il cervello delle persone che hanno il MA sono simili in termini di accumulo lisosomiale", ha detto Julian. “Ma i sintomi del disturbo da accumulo lisosomiale si manifestano entro poche settimane dalla nascita e sono spesso fatali entro un paio d'anni. Il MA si manifesta molto più tardi nella vita. I tempi sono, quindi, molto diversi”.
Il team collaborativo di ricercatori di Julian nel Dipartimento di Chimica e nella Divisione di Scienze Biomediche dell'UC Riverside postula che le proteine di lunga vita, comprese Aβ e tau, possono subire modifiche spontanee che possono renderle non digeribili dai lisosomi.
"Le proteine di lunga vita diventano più problematiche con l'avanzare dell'età e potrebbero spiegare l'accumulo lisosomiale osservato nel MA, una malattia legata all'età", ha detto Julian. "Se avessimo ragione, si aprirebbero nuove strade per il trattamento e la prevenzione di questa malattia".
Egli spiega che i cambiamenti avvengono nella struttura fondamentale degli aminoacidi che compongono le proteine ed è come scambiare la mano prevalente degli aminoacidi, per cui gli aminoacidi acquisiscono spontaneamente le immagini speculari delle loro strutture originali.
"Gli enzimi che normalmente scindono la proteina non riescono quindi più a farlo, perché non sono in grado di aggrapparsi alla proteina", ha aggiunto Julian. "È come cercare di mettere un guanto sinistro sulla mano destra. Nella nostra ricerca dimostriamo che questa modifica strutturale può avvenire nell'Aβ e nella tau, proteine rilevanti per il MA. Queste proteine subiscono questo effetto chimico che è quasi invisibile, e questo può spiegare perché i ricercatori non hanno prestato attenzione ad esso".
Julian ha spiegato che questi cambiamenti spontanei nella struttura delle proteine sono una funzione del tempo, che avvengono se la proteina rimane in attesa troppo a lungo.
"È noto da tempo che queste modifiche si verificano nelle proteine di lunga vita, ma nessuno ha mai verificato se queste modifiche potessero impedire ai lisosomi di scomporre le proteine", ha detto. “Un modo per evitare ciò sarebbe riciclare le proteine così che non esitino abbastanza a lungo per passare attraverso queste modifiche chimiche. Attualmente, non sono disponibili farmaci per stimolare questo riciclaggio (un processo chiamato autofagia) come trattamento del MA".
I risultati potrebbero avere implicazioni per altre malattie legate all'età come la degenerazione maculare e le malattie cardiache legate alla patologia lisosomiale. [...]
Fonte: Iqbal Pittalwala in University of California - Riverside (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Tyler Lambeth, Dylan Riggs, Lance Talbert, Jin Tang, Emily Coburn, Amrik Kang, Jessica Noll, Catherine Augello, Byron Ford, Ryan Julian. Spontaneous Isomerization of Long-Lived Proteins Provides a Molecular Mechanism for the Lysosomal Failure Observed in Alzheimer’s Disease. ACS Central Science, 7 Aug 2019, DOI
Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.