Per la prima volta viene dimostrato che i deficit di memoria semantica, quella che utilizziamo per riconoscere gli oggetti e usarli correttamente, sono coinvolti in specifici disturbi alimentari comuni tra i pazienti che soffrono di demenza. Lo dice una ricerca del Laboratorio della prof.ssa Raffaella Rumiati della SISSA di Trieste appena pubblicata sulla rivista Journal of Neuropsychology.
I disturbi alimentari esibiti dai pazienti con demenza sono caratterizzati da una vasta gamma di comportamenti che vanno dalla preferenza per i cibi zuccherati, alle abbuffate, all’aumento di appetito, ai cambiamenti nelle maniere a tavola o nelle preferenze alimentari, come il passaggio a un’alimentazione gravemente selettiva nella scelta dei cibi e, dunque, squilibrata.
Questo nuovo studio conferma l’ipotesi che bruschi cambiamenti nelle preferenze e nelle abitudini dipendano, almeno in parte, da una degenerazione di questo tipo di memoria, aprendo interessanti prospettive nel campo della ricerca e per la messa a punto di efficaci strategie per contrastare questi comportamenti nei pazienti.
Test, questionari e misure cerebrali: così è stato fatto lo studio
Lo studio della SISSA, condotto in collaborazione con l’ambulatorio per i disturbi di memoria e cognitive dell’Ospedale di Cattinara diretto dal Professor Paolo Manganotti, ha coinvolto pazienti con malattie neurodegenerative, alcuni con demenza frontotemporale, altri affetti da morbo di Alzheimer. Pazienti con questi profili possono esibire sia disturbi alimentari, sia disturbi di memoria semantica.
A questi pazienti e a un gruppo di controlli sani della stessa età, sono stati somministrati test di memoria semantica e un questionario sui disturbi alimentari progettato specificamente per studiare tali disturbi nelle demenze. I punteggi ai test semantici e i punteggi patologici al questionario sono stati poi messi in relazione con specifici dati raccolti sugli stessi partecipanti, come il volume della corteccia cerebrale e il volume di specifiche porzioni della sostanza bianca.
La sostanza bianca, che nel cervello si trova sotto la corteccia, è costituita da fasci di fibre nervose che mettono in comunicazione le diverse parti del cervello e mettono in comunicazione il cervello con il midollo spinale.
Miriam Vignando, prima autrice della ricerca e Marilena Aiello, supervisore dello studio, spiegano:
“Così facendo, abbiamo scoperto, innanzitutto, che gli errori nei test di memoria semantica e i punteggi patologici al questionario sull'alimentazione relativi a cambiamenti in preferenze e abitudini, erano in relazione tra loro: tanto più alto era il punteggio patologico per un disturbo alimentare, tanto peggiore risultava la performance al test di memoria semantica.
"Inoltre, questi punteggi sono in relazione anche con il volume della corteccia nelle regioni che sono state implicate, nella letteratura scientifica, nella memoria semantica, come il polo temporale anteriore, e anche nelle regioni implicate nel comportamento alimentare, tra cui il giro fusiforme: quanto peggiore era la performance ai test semantici e quanto più patologico il comportamento alimentare, tanto più ridotto era il volume della corteccia, presumibilmente a causa dell’atrofia indotta dalla malattia, in queste regioni.
"Questo fa pensare che questi specifici disturbi alimentari dipendano, in qualche misura, dall’integrità della memoria semantica”.
Una base per studiare strategie riabilitative
Ma non è tutto, spiegano Vignando e Aiello:
“I tratti di sostanza bianca che mostravano un volume ridotto nei partecipanti con disturbi alimentari, sono tratti che mettono in comunicazione il lobo temporale con altre regioni cerebrali, il che ci suggerisce che i processi alla base di questi comportamenti sono complessi e comprendono l’interazione di diverse parti del cervello.
"I nostri risultati, ad esempio, suggeriscono che vi possa essere una disfunzione della comunicazione tra le aree visive e quelle semantiche: una volta esaminato visivamente l’oggetto, in questo caso il cibo, il passaggio dell’informazione al lobo temporale, centro della memoria semantica, risulta deficitario” .
"Questo è il primo risultato empirico che mostra che, in una certa misura, i deficit di memoria semantica sono coinvolti in specifici disturbi alimentari nelle demenze.
“È importante notare che questo schema era presente in entrambe le diagnosi sopracitate, poiché la memoria semantica è cruciale per agire correttamente sugli oggetti, indipendentemente dalla malattia che ne causa la compromissione”.
Questo risultato pone le basi per studiare strategie riabilitative del comportamento alimentare in pazienti con demenza, oltre ad aumentare la nostra conoscenza relativamente a questa gamma di sintomi che sempre più si profila come altamente multifattoriale.
I ricercatori ringraziano l’Università della Terza Età "Paolo Naliato" di Udine per l’aiuto fornito con il reclutamento dei volontari sani.
Fonte: Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, Trieste (> English text)
Riferimenti: Miriam Vignando, Raffaella Ida Rumiati, Paolo Manganotti, Tatiana Cattaruzza, Marilena Aiello. Establishing links between abnormal eating behaviours and semantic deficits in dementia. Journal of Neuropsychology, 16 Oct 2019, DOI
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