Gli ultimi tre decenni hanno visto un notevole miglioramento nella nostra comprensione di ciò che provoca il morbo di Alzheimer (MA). Due proteine sono ritenute responsabili: amiloide e tau.
La teoria più accettata è che un livello critico di amiloide nel cervello innesca l'accumulo della proteina tau più tossica. Ciò ha portato a diversi studi per testare farmaci e vaccini che rimuovono l'amiloide e la tau, per vedere se sono in grado di migliorare o addirittura prevenire la demenza.
I risultati sono stati deludenti. Nessuno studio su pazienti con demenza è riuscito a mostrare miglioramenti, anche se l'amiloide in sé è stata alterata. In un caso famoso, un vaccino somministrato ai pazienti ha dimostrato di avere eliminato l'amiloide dal cervello di persone che poi sono morte con demenza avanzata.
Nello stesso periodo, gli studi nelle persone destinate a sviluppare la condizione, a causa di una mutazione genetica, hanno riferito che i cambiamenti che portano alla demenza cominciano fino a 25 anni prima dei sintomi. Un'interpretazione logica è che i tentativi per trovare una cura per la demenza potrebbero aver fallito perché i pazienti nelle sperimentazioni di farmaci sono stati trattati troppo tardi nel processo della malattia.
Questo nuovo modo di pensare ha portato a test di nuovi trattamenti molto più precoci; per esempio, nella fase in cui c'è amiloide diffusa nel cervello, ma nessun altro segno di demenza, la cosiddetta demenza preclinica. Questi studi usano metodi come i prelievi spinali o la tomografia a emissione di positroni (PET, un tipo di scansione del cervello) per confermare che una persona ha un livello critico di amiloide. Ma ci sono prove che già in questa fase molto precoce, ci siano danni potenzialmente irreversibili, come la perdita di tessuto cerebrale.
I ricercatori si sono spinti oltre e hanno dimostrato che le persone che devono ancora raggiungere il livello critico di amiloide, ma che stanno accumulando proteine ad un tasso accelerato, mostrano i primi segni di cambiamenti del cervello correlati alla demenza, come le modifiche nelle capacità mentali.
Trovare accumulatori veloci di proteine
Il nostro team ha voluto capire se si può identificare un tale gruppo di “accumulatori veloci di proteine” tra gli adulti sani che invecchiano. L'implicazione è che queste persone sarebbero quelle che potrebbero beneficiare maggiormente da un farmaco che interferisce con il processo di demenza, prima che avvenga il danno.
Per fare questo, abbiamo usufruito di due studi statunitensi che per decenni avevano raccolto ripetutamente prelievi spinali e scansioni cerebrali dell'amiloide. Siamo riusciti a dimostrare che alcune persone sono su una rotta particolarmente aggressiva di accumulo di amiloide o di tau, o di entrambi. È importante sottolineare che sembrava ci fosse un momento di "accensione”, poco prima dei 60 anni dei partecipanti, quando l'accumulo dilagava improvvisamente.
Essere portatori di una variante genetica che è ben nota per predisporre le persone alla demenza (la versione e4 del gene APOE) rendeva più probabile che la persona potesse essere sulla strada dell'accumulo aggressivo delle proteine, e anticipava di 5 anni il momento dell'«accensione», rispetto a quelli senza la versione e4 del gene APOE.
Abbiamo scoperto che il momento di “accensione” è più o meno alla stessa età sia per l'amiloide che per la tau. Ciò contraddice la teoria secondo la quale è necessario “un cervello pieno di amiloide” per avviare la cascata che porta alla demenza. Al contrario, i processi che portano alla demenza camminano, o corrono, simultaneamente.
Inoltre, poiché i nostri studi sono durati decenni, un certo numero di persone alla fine ha sviluppato problemi di memoria. Abbiamo scoperto che la persona che accumulava velocemente sia tau che amiloide aveva più probabilità di essere diagnosticata con demenza nei decenni a seguire.
Dispositivi portatili
La nostra ricerca mostra che ora abbiamo la tecnologia per identificare le persone che si trovano su una pista veloce per sviluppare la demenza. Eppure, non sarebbe pratico individuare queste persone con prelievi spinali ripetuti. Dobbiamo invece trovare metodi economici e facili da tollerare per prevedere chi è in questa pista veloce.
Abbiamo trovato che i test impiegati di solito negli studi di demenza (scansioni cerebrali, test di memoria clinica) non erano utili a questo riguardo. È possibile che tra poco avremo bisogno di tutta una serie diversa di test che mostrino cambiamenti molto piccoli nel modo in cui il nostro cervello funziona di giorno in giorno.
Per esempio potrebbero essere dispositivi indossabili che mostrano cambiamenti sottili nella deambulazione o disturbi nella qualità del sonno. Anche le applicazioni che monitorano come usiamo la tecnologia digitale nel tempo (ad esempio, quanto ci mettiamo a trovare la parola giusta quando inviamo un messaggio di testo) possono puntare alle persone il cui cervello è sotto sforzo.
Diverse tecnologie digitali di questo tipo sono in sviluppo e, si spera, in un futuro non troppo lontano, avremo accesso a tali soluzioni sia nella pratica clinica di routine, così come negli studi che testano nuovi trattamenti che ritardano o addirittura impediscono la demenza.
Fonte: Ivan Koychev, ricercatore clinico senior di demenza, Università di Oxford
Pubblicato su The Conversation (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Ivan Koychev, Nemanja Vaci, Murat Bilgel, Yang An, Graciela Terrera Muniz, Dean F. Wong, John Gallacher, Abhay Mogekhar, Marilyn Albert, Susan M. Resnick. Prediction of rapid amyloid and phosphorylated tau accumulation in cognitively healthy individuals. Alzheimer's Dement. 22 Mar 2020, DOI
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