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I cromosomi femminili offrono resilienza dall'Alzheimer

Le donne affette da morbo di Alzheimer (MA) vivono più a lungo con la malattia rispetto agli uomini, e gli scienziati della University of California di San Francisco hanno ora le evidenze di ricerca, sia negli uomini che nei topi, che questo dipende dalla loro protezione genetica dalle devastazioni della malattia.


Avendo un secondo cromosoma X, le donne ottengono due 'dosi' di una proteina protettiva da un gene che esiste solo su questo cromosoma sessuale femminile. Alcune persone, sia maschi che femmine, hanno una variante particolarmente potente di questo gene, che si chiama KDM6A, che dà loro una protezione ancora maggiore. Ma, a causa del modo in cui funzionano i cromosomi sessuali (le donne hanno due X, ma gli uomini uno solo), le donne hanno due copie di questo gene che sforna la proteina protettiva.


Il nuovo studio offre un primo sguardo sul modo in cui i cromosomi sessuali influenzano la vulnerabilità al MA. E aiuta a spiegare perché le donne sopravvivono più a lungo e con sintomi meno gravi rispetto agli uomini durante le prime fasi della malattia, anche quando hanno livelli comparabili di proteine ​​tossiche di MA nel cervello.


Dena Dubal MD/PhD, professoressa associata di neurologia alla UCSF, autrice senior dello studio (pubblicato il 26 agosto 2020 in Science Translational Medicine), docente di invecchiamento e malattie neurodegenerative, e membro dell'UCSF Weill Institute for Neurosciences, ha detto:

“Questa scoperta sfida un dogma di lunga data che le donne sono più vulnerabili al MA. Più donne che uomini hanno il MA, perché sopravvivono fino ad un'età più avanzata, quando il rischio è più elevato. Ma sopravvivono anche più a lungo con la malattia”.

 

Focus su un gene attivo

Mentre gran parte del secondo cromosoma X di una femmina è 'silenziato' da uno strato esterno di RNA non codificante, un piccolo numero di geni sfugge a questo processo, sia nei topi che negli esseri umani, dando alle femmine una dose doppia delle proteine ​​codificate da questi geni.


I ricercatori si sono concentrati su uno di questi geni attivi, il KDM6A, già noto per essere coinvolto nell'apprendimento e nella cognizione. Quando questo gene funziona male, provoca la sindrome di Kabuki, che è caratterizzata da un ritardo dello sviluppo e da disabilità intellettiva lieve/grave.


Setacciando le banche dati pubbliche degli studi di espressione genica, gli scienziati hanno scoperto una variante particolarmente attiva del KDM6A presente in circa il 13% delle donne e nel 7% degli uomini di tutto il mondo. Poiché le donne hanno due cromosomi X, hanno una maggiore possibilità di essere portatrici di almeno una copia di questa variante, e alcune donne ne portano due copie.


Quando gli scienziati hanno esaminato diversi studi a lungo termine degli anziani, molti dei quali avevano già un lieve decadimento cognitivo, hanno potuto vedere che le donne con una copia - o, meglio ancora, due copie - della variante sembravano progredire più lentamente verso il MA.


Non è ancora chiaro se lo stesso discorso vale anche per gli uomini portatori della variante sul loro cromosoma X, dal momento che ce ne possono essere stati troppo pochi nello studio per vedere tutti gli effetti.


Jennifer Yokoyama PhD, professoressa associata di neurologia all'UCSF e membro dell'Istituto Weill, che ha analizzato la variante KDM6A nel nuovo studio, ha detto:

"Sappiamo poco sui modi in cui la genetica guida le differenze con cui le malattie colpiscono uomini e donne. Poiché i cromosomi X e Y sono difficili da confrontare tra loro, i grandi studi di associazione sull'intero genoma sono stati fatti tutti su cromosomi non sessuali. Forse il nostro studio metterà in evidenza il fatto che ci potrebbe essere qualcosa di piuttosto interessante sul cromosoma X, dopo tutto”.


Gli studi di espressione genica hanno mostrato che le donne in generale hanno più proteina ​​KDM6A nel cervello rispetto agli uomini. E hanno inoltre dimostrato che le persone con MA avevano più proteina nelle regioni del cervello che vengono danneggiate nelle prime fasi della malattia.


I ricercatori hanno teorizzato che i neuroni in queste regioni potrebbero produrre più proteina per proteggersi dalla malattia, anche se i dati analizzati hanno permesso di identificare solo le associazioni, e non di provare le cause.

 

Il vantaggio del secondo cromosoma X

Per avvicinarsi a questa domanda causale, gli scienziati hanno eseguito esperimenti nei topi. In primo luogo, hanno guardato dentro il cervello dei topi di sesso femminile e hanno confermato che entrambe le copie del KDM6A stavano  attivamente trascrivendo l'RNA per produrre proteine.


I topi femmine avevano livelli significativamente più elevati di questa proteina in una regione del cervello chiamata ippocampo, che è fondamentale per l'apprendimento e la memoria e viene danneggiata presto dal MA.


Poi hanno allevato topi che modellano il MA umano, producendo amiloide-beta tossica nel cervello, per cui la loro prole maschile ha prodotto amiloide e portava due cromosomi X come le femmine.


Con un secondo cromosoma X, i topi maschi sono andati meglio nei test cognitivi, e hanno anche vissuto più a lungo, nonostante le proteine ​​tossiche nel loro cervello. Per essere sicuri che fosse il secondo X a dare protezione, piuttosto che l'assenza di un cromosoma Y, gli scienziati hanno eliminato il secondo X dai topi di sesso femminile con MA. E proprio come i maschi, questi topi femmine erano più compromessi cognitivamente e morivano prima.


In ulteriori test, quando gli scienziati hanno esposto i neuroni del cervello di topi maschi e femmine a dosi crescenti di amiloide-beta, i neuroni dei maschi sono morti più velocemente. Ma questa differenza è svanita quando gli scienziati hanno usato una tecnica di modifica genetica per ridurre i livelli di proteine ​​KDM6A nei neuroni del cervello delle femmine e li hanno aumentati nei neuroni del cervello dei topi maschi.


I ricercatori si sono basati su questi risultati, aumentando il KDM6A in una regione dell'ippocampo chiamata giro dentato, che è coinvolta nell'apprendimento spaziale e nella memoria, nei topi maschi di MA. Un mese dopo, i topi maschi avevano in quella regione del cervello lo stesso numero di proteine ​​del gene dei topi femmina. Anche questi maschi sono andati significativamente meglio nei test della memoria spaziale rispetto ai topi maschi senza il KDM6A aggiunto.


“Il nostro studio rivela un nuovo ruolo dei cromosomi sessuali”, ha detto la Dubal. “Questo meccanismo di protezione sul cromosoma X apre la possibilità che si possa aumentare la resistenza al MA e ad altre patologie neurodegenerative, stimolando il KDM6A o altri fattori X sia negli uomini che nelle donne”.

 

 

 

 


Fonte: Laura Kurtzman in University of California San Francisco (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Emily Davis, Lauren Broestl, Samira Abdulai-Saiku, Kurtresha Worden, Luke Bonham, Elena Miñones-Moyano, Arturo Moreno, Dan Wang, Kevin Chang, Gina Williams, Bayardo Garay, Iryna Lobach, Nino Devidze, Daniel Kim, Cliff Anderson-Bergman, Gui-Qiu Yu, Charles White, Julie Harris, Bruce Miller, David Bennett, Arthur Arnold, Phil De Jager, Jorge Palop, Barbara Panning, Jennifer Yokoyama, Lennart Mucke, Dena Dubal. A second X chromosome contributes to resilience in a mouse model of Alzheimer’s disease. Science Translational Medicine, 26 Aug 2020, DOI

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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