Fare in modo che il cervello generi la propria terapia potrebbe essere un approccio promettente per rallentare o persino fermare l'Alzheimer. Un ricercatore della Utrecht University ha dimostrato negli esperimenti di laboratorio che questo approccio potrebbe funzionare e ora è impegnato a trasformare questa idea in un trattamento che potrebbe aiutare milioni di persone in tutto il mondo.
Il morbo di Alzheimer (MA) è una sfida difficile da decenni per medici e scienziati. Si aspettano che il numero di pazienti sia il doppio o addirittura il triplo entro il 2050. La malattia, che colpisce gravemente la memoria e altre funzioni cerebrali, sembra inarrestabile.
Molti ricercatori che cercano di combattere la malattia si concentrano su una proteina chiamata amiloide-beta (Aβ), presente in grande quantità nelle persone con MA, che si aggrega e danneggia le cellule cerebrali. L'idea finora era che puntando l'Aβ, la malattia potesse essere controllata. Tuttavia, anche se ci sono stati alcuni progressi, non sono state fatte importanti scoperte e una cura sembra ancora lontana.
Proteggere le connessioni
Il biologo cellulare Niels Reinders, con il suo team della Utrecht University in Olanda, ha deciso di provare un nuovo approccio: invece di insistere sull'Aβ, si concentrano sulle connessioni tra le cellule cerebrali, chiamate sinapsi. Queste sinapsi sono cruciali per la funzione cerebrale e scompaiono gradualmente nelle persone con MA, portando al declino cognitivo.
Reinders crede che proteggendo queste connessioni, il cervello possa continuare a funzionare nonostante la malattia. La sua strategia prevede l'uso di mini-proteine chiamate peptidi, in particolare PTEN-PDZ e GluA23y, che aiutano a impedire danni alle sinapsi. Negli studi sugli animali, queste proteine si sono dimostrate promettenti nel ridurre i sintomi cognitivi del MA.
Problema di consegna
Il problema è che non puoi semplicemente iniettare questi peptidi nel cervello, perché ha una barriera protettiva chiamata barriera emato-encefalica, che blocca le sostanze dannose e, sfortunatamente, questi peptidi non possono superarla. Iniettare le proteine nel cervello non è un'opzione perché i peptidi sono instabili e si degradano rapidamente. Un'iniezione così invasiva dovrebbe essere eseguita molto spesso, probabilmente più volte al giorno, e potrebbe anche causare danni permanenti alle cellule cerebrali.
La soluzione potrebbe essere far produrre queste proteine protettive dal cervello stesso. Questo può essere fatto dando alle cellule cerebrali un codice genetico che dice loro di creare le proteine. Il codice viene immesso da virus innocui che possono attraversare la barriera emato-encefalica. Una volta che le cellule cerebrali portano il codice genetico extra, iniziano a produrre le proteine protettive.
"Un grande vantaggio di questo approccio è che il codice è piazzato accanto al DNA della cellula", afferma Reinders. "Pertanto, il DNA del corpo rimane invariato".
Risultati promettenti
Nei test di laboratorio, il team di Reinders ha indotto cellule cerebrali di topi a produrre queste mini-proteine. Se esposte a proteine dannose associate al MA, le cellule cerebrali risultavano protette e le loro sinapsi rimanevano intatte. Queste cellule provenivano dall'ippocampo, la parte del cervello che il MA spesso colpisce all'inizio.
I risultati sono incoraggianti, ma Reinders e il suo team stanno continuando la ricerca per capire esattamente come funziona questo processo e come indurre il cervello a produrre le proteine in modo più efficace. Il loro obiettivo è sviluppare un trattamento che possa rallentare o addirittura prevenire la malattia.
Motivazione personale
In un nuovo episodio dello show Briljante Breinen (Menti Brillanti) della TV olandese, Reinders condivide non solo le sue ricerche, ma anche la sua relazione personale verso la malattia che, poco dopo aver iniziato a studiarla, è stata diagnosticata anche a sua madre. Vedere sua madre passarvi attraverso gli ha dato ulteriore motivazione per trovare soluzioni che potrebbero fare la differenza.
"Il mio sogno è che un giorno si possa trattare l'Alzheimer con una sola terapia", afferma Reinders. "E credo che la mia ricerca ci stia avvicinando a questo obiettivo".
Fonte: Utrecht University (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.
Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer OdV di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.
Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.