Un team di ricercatori universitari ha individuato i meccanismi intracellulari regolati dalla vitamina D3 che possono aiutare il corpo a eliminare dal cervello il beta amiloide, il componente principale delle placche associate all'Alzheimer.
Pubblicati sul numero del 6 marzo del Journal of Alzheimer Disease, i primi risultati mostrano che la vitamina D3 può attivare i geni chiave e le reti cellulari di segnalazione per contribuire a stimolare il sistema immunitario ad eliminare la proteina beta-amiloide.
Precedente attività di laboratorio del team aveva dimostrato che tipi specifici di cellule immunitarie nei pazienti affetti da Alzheimer possono rispondere alla terapia con vitamina D3 e con curcumina, una sostanza chimica presente nella spezia curcuma, stimolando il sistema immunitario innato a pulire il beta amiloide. Ma i ricercatori non sapevano come funzionava.
"Questo nuovo studio ha contribuito a chiarire i meccanismi principali coinvolti, aiutandoci a capire meglio l'utilità della vitamina D3 e della curcumina come possibili terapie per l'Alzheimer", ha detto l'autore dello studio Dr. Milan Fiala (foto a sinistra), ricercatore alla David Geffen School of Medicine dell'UCLA e del Veterans Affairs Greater Los Angeles Healthcare System.
Per lo studio, scienziati hanno raccolto campioni di sangue di pazienti affetti da Alzheimer e di controlli sani e poi hanno isolato importanti cellule immunitarie dal sangue chiamate macrofagi, che sono responsabili dell'inglobazione del beta amiloide e di altri prodotti di scarto nel cervello e nel corpo. Il team ha incubato immdiatamente le cellule del sistema immunitario con il beta amiloide. Una forma attiva della vitamina D3 chiamata calcitriolo (1a ,25-diidrossivitamina D3 oppure 1,25-(OH)2D3), che è prodotta dal corpo dalla conversione enzimatica nel fegato e nei reni, è stata aggiunta ad alcune delle cellule per valutare che effetto aveva sull'assorbimento del beta amiloide.
Un precedente lavoro del team, basato sulla funzione dei macrofagi dei pazienti di Alzheimer, ha dimostrato che vi sono almeno due tipi di pazienti e macrofagi: i macrofagi di Tipo I sono migliorati con l'aggiunta di calcitriolo e curcuminoidi (una forma sintetica di curcumina), mentre i macrofagi di tipo II sono migliorati solo con l'aggiunta di calcitriolo. I ricercatori hanno scoperto che sia nei macrofagi di Tipo I che in quelli di Tipo II, l'aggiunta di 1a ,25-diidrossivitamina D3 ha avuto un ruolo cruciale nell'apertura di uno specifico canale di cloruro chiamato "canale del cloro 3 (CLC3)", che è importante nel favorire l'assorbimento del beta amiloide attraverso il processo noto come fagocitosi. I curcuminoidi hanno attivato questo canale del cloro solo nei microfagi di tipo I.
Gli scienziati hanno inoltre scoperto che il calcitriolo ha contribuito a innescare la trascrizione genetica del canale cloruro e del recettore del calcitriolo nei macrofagi di tipo II. La trascrizione è il primo passo che conduce all'espressione genica. I meccanismi alla base degli effetti del calcitriolo sulla fagocitosi sono complessa e dipendono dal calcio e dalla segnalazione attraverso la via "MAPK", che consente di comunicare un segnale dal recettore della vitamina D3 situato sulla superficie di una cellula al DNA nel nucleo della cellula.
L'effetto fondamentale del calcitriolo (o "1a ,25-diidrossivitamina D3") è stato mostrato in una collaborazione tra il Dott. Patrick R. Griffin dal Scripps Research Institute e il Dr. Matthew T. Mizwicki della UC Riverside. Hanno utilizzato una tecnica basata sulla spettrometria di massa, che ha dimostrato che il calcitriolo stabilizza molti più siti critici sul recettore della vitamina D di quanto fanno i curcuminoidi. "I nostri risultati dimostrano che le forme attive di vitamina D3 possono essere un importante regolatore delle attività immunitarie dei macrofagi nel contribuire a assorbire le placche amiloidi regolando direttamente l'espressione di geni, come pure il funzionamento strutturale fisico delle cellule", ha detto uno degli autori, il Dr Mizwicki, biochimico assistente di ricerca al dipartimento di biochimica dell'Università della California a Riverside, dove è stato condotto lo studio.
Secondo il team, una delle prossime tappe della ricerca sarà un trial clinico con vitamina D3 per valutare l'impatto sui pazienti con Alzheimer. Precedenti studi da parte di altri gruppi hanno dimostrato che un basso livello sierico di 25-idrossivitamina D3 può essere associato a declino cognitivo. E' troppo presto per raccomandare un dosaggio definitivo di vitamina D3 per aiutare con l'Alzheimer e la salute del cervello, hanno detto i ricercatori.
Lo studio è stato in parte finanziato dall'Associazione Alzheimer e dal National Institutes of Health. Tra gli altri autori: Danusa Menegaz e Antonio Barrientos-Duran del dipartimento di biochimica all'Università della California di Riverside; Jun Zhang e Patrick R. Griffin del dipartimento di terapie molecolari allo Scripps Research Institute di Jupiter in Florida; Stephen Tse del dipartimento di medicina alla David Geffen School of Medicine dell'UCLA e del Veterans Affairs Greater Los Angeles Healthcare System; e John R. Cashman della Human Biomolecular Research Institute di San Diego in California.
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Fonte: Rachel Champeau, UCLA Newsroom
Pubblicato in Alzheimer's Reading Room il 6 marzo 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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