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Scoperta la rete cerebrale che ci dà la superiorità nel ragionamento

Quando si tratta di uscire da una situazione difficile, noi esseri umani abbiamo un vantaggio evolutivo rispetto agli altri primati.


Prendiamo come esempio drammatico il viaggio dell'Apollo 13, dove gli ingegneri, contro ogni previsione, hanno improvvisato un filtro chimico su un modulo lunare per impedire la formazione di biossido di carbonio che avrebbe ucciso l'equipaggio.


Gli scienziati dell'Università di Berkeley hanno prove cerebrali montanti che aiutano a spiegare come gli esseri umani si sono distinti nel «ragionamento relazionale», un'abilità cognitiva per la quale creiamo modelli e relazioni che danno un senso ad informazioni apparentemente non correlate, come ad esempio la soluzione dei problemi in circostanze sconosciute.


I loro risultati, riportati il 3 dicembre sulla rivista Neuron, suggeriscono che sono i cambiamenti sottili nei lobi frontali e parietali del cervello ad essere legati alla conoscenza superiore. Tra le altre cose, la rete frontoparietale ha un ruolo chiave nell'analisi, nel recupero della memoria, nel pensiero astratto e nella capacità di risolvere i problemi, e ha la fluidità di adattarsi a seconda del compito da svolgere.


"Questa ricerca ci ha portato a prendere sul serio la possibilità che dei piccoli cambiamenti in questa rete, su una scala temporale evolutiva, potrebbero contribuire a spiegare le differenze nel modo in cui gli esseri umani e gli altri primati risolvono i problemi", ha detto Silvia Bunge, neuroscienziato della UC Berkeley e ricercatore principale dello studio. "Non è solo perchè noi umani abbiamo il linguaggio a disposizione; abbiamo anche la capacità di confrontare e integrare diverse informazioni in un modo che altri primati non hanno".


Nel rivedere decine di studi - compresi i loro - che hanno usato il neuroimaging, la neuropsicologia, i metodi cognitivi dello sviluppo e di altro tipo, la Bunge e i colleghi ricercatori hanno concluso che i cambiamenti anatomici nella rete fronto-parietale laterale nel corso dei millenni hanno dato impulso alla capacità di ragionamento umano. "Date la prove a supporto tra le specie, noi ipotizziamo che le connessioni tra queste regioni frontali e parietali abbiano fornito il supporto necessario alla nostra capacità unica di ragionare con relazioni astratte", ha dichiarato Michael Vendetti, co-autore dello studio e ricercatore post-dottorato in neuroscienze alla UC Berkeley.


Il ragionamento relazionale è un processo cognitivo di alto livello, in cui facciamo il confronto e troviamo equivalenze, per esempio come si fa in algebra. I confronti di primo ordine identificano la relazione tra due oggetti o attività nei seguenti modi: semantica (il martello è usato per piantare un chiodo); numerica (quattro è maggiore di due); temporale (si scende dal letto prima di andare a lavorare) o visuospaziale (l'uccello è sopra la casa). I confronti di secondo ordine o di ordine superiore portano tutto questo ad un punto più avanzato, uguagliando due o più serie di rapporti di primo ordine (una catena sta ad un collegamento come un profumo ad un fiore).


Per testare la loro ipotesi, che il dono umano del ragionamento relazionale può essere ricondotto a cambiamenti evolutivi nella ​​rete fronto-parietale laterale del cervello, i ricercatori hanno esaminato gli studi che hanno tracciato i cambiamenti anatomici nel cervello umano in sviluppo, che avevano confrontato modelli neurali negli umani e nei primati non-umani, e che hanno confrontato il modo in cui umani e primati non-umani affrontano vari compiti di ragionamento.


La loro meta-analisi esaustiva ha identificato tre parti del cervello che hanno un ruolo chiave nel ragionamento relazionale: la corteccia prefrontale rostrolaterale, la corteccia prefrontale dorsolaterale e il lobulo parietale inferiore. La regione rostrolaterale è impegnata più attivamente nel ragionamento relazionale di secondo ordine. Guardando allo sviluppo del cervello, hanno scoperto che la «potatura sinaptica», che di solito avviene in adolescenza (quando la materia bianca sostituisce la materia grigia e i segnali tra i neuroni accelerano), è più evidente nelle regioni parietali inferiori del cervello.


Per la loro scoperta è stato cruciale anche uno studio condotto dal neuroscienziato Matthew Rushworth dell'Università di Oxford che ha confrontato i modelli neurali dell'uomo e dei macachi. Mentre umani e primati non-umani condividono le somiglianze nelle regioni frontali e parietali del cervello, l'attività nella corteccia prefrontale rostrolaterale umana è significativamente diversa da quella della corteccia frontale della scimmia macaco, secondo lo studio. "Avevamo ipotizzato che ci potevano essere cambiamenti evolutivi in questa regione per supportare la nostra capacità di ragionamento, quindi eravamo molto eccitati quando Rushworth e dei suoi colleghi hanno ottenuto questi risultati", ha detto Vendetti.


Nel frattempo, negli studi comportamentali analizzati, gli esseri umani si sono rivelati in grado di usare strategie di ordine superiore per guidare il loro giudizio, mentre i primati non-umani fanno affidamento più pesantemente sulle somiglianze percettive ed sono più lenti nel ragionamento e nel risolvere i problemi. "Questi risultati non dimostrano necessariamente che i primati non-umani non siano in grado di ragionare con il pensiero di livello superiore, ma anche se è possibile allenare i non-umani a produrre prestazioni di tipo umano su attività associate al pensiero relazionale di ordine superiore, è certamente qualcosa che non è naturale in loro", ha concluso lo studio.


Nel complesso, ha detto la Bunge, "i risultati ci permettono di acquisire conoscenze sull'intelligenza umana, esaminando come siamo arrivati ​​al punto in cui siamo, esaminando i nostri cambiamenti attraverso sia l'evoluzione che lo sviluppo".

 

 

 

 

 


Fonte:  Yasmin Anwar in University of California (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti:  Michael S. Vendetti, Silvia A. Bunge. Evolutionary and Developmental Changes in the Lateral Frontoparietal Network: A Little Goes a Long Way for Higher-Level Cognition. Neuron, 2014; 84 (5): 906 DOI: 10.1016/j.neuron.2014.09.035

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