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Mio padre ha l'Alzheimer, ma non è l'incubo che forse pensate

Quando mio padre Bob Sessions di 88 anni incontra qualcuno, dice sempre la stessa cosa: "Buon giorno". Per lui, non importa che ora del giorno è, comunque è sempre un buon giorno, un buon pomeriggio, e una buona serata, anche se ha piovuto tutto il giorno e non è stato in grado di fare la sua passeggiata regolare in giro per l'Asbury Methodist Village, la comunità di pensionati di Gaithersburg, dove vivono lui e la mia matrigna Julia.


Dieci anni fa, ha avuto la diagnosi di Alzheimer. La sua memoria a breve termine se n'è quasi andata, ma lui è ancora straordinariamente sano e ora sta prendendo parte alla quarta sperimentazione clinica del Memory Disorders Program alla Georgetown University, nella speranza di ampliare quel poco che la scienza medica può dirci sulla malattia. I medici dicono che il paziente medio di Alzheimer muore circa 10 anni dopo la diagnosi. Sono contenti che lui sta proprio bene ma non sono sicuri delle ragioni precise di questo.


Io ho alcune idee in proposito.


Primo, la mia matrigna Julia lo solleva dalla pressione, avendo assunto la maggior parte dei compiti che aveva lui: guidare, occuparsi del giardino e tenere in ordine le finanze. Gestisce il suo regime di pillole, cucina i suoi dolci preferiti (per lo più cioccolato), lo porta in chiesa ogni Domenica, e riempie i suoi vuoti di memoria.

Motivo numero due: mio padre fa esercizio quasi tutti i giorni, una cosa che secondo i ricercatori è la chiave per rallentare il deterioramento del cervello.

Il terzo? Ha sempre avuto un chiaro senso di scopo, prima come ministro metodista, poi nell'insegnamento universitario. Ora egli vede il suo contributo alla ricerca di Georgetown come un'estensione di quello che ha fatto per tutta la vita adulta.

Ma il quarto è quello nascosto, non così ovvio, ma un balsamo lo stesso sia per mio padre che per tutti noi che lo amiamo: mio padre è sempre stato e rimane, nonostante questa grave malattia, un essere umano estremamente riconoscente. Forse perché aveva avuto così poco nell'infanzia e nell'adolescenza, egli esprime apprezzamento ogni giorno per quanto egli ha. Quando io e le mie sorelle stavano crescendo, iniziava ogni pasto con le parole iniziali della preghiera "Dio è grande, Dio è buono, e ringraziamo Dio per il nostro cibo".


Decenni dopo, quel sentimento lo definisce ancora. Un esempio per tutti: anche se uomo coraggioso in generale, teme alcune delle tecnologie che deve sopportare a Georgetown. Di recente, quando è uscito da una macchina di scansione PET, ha detto al tecnico "Ti odio, ma apprezzo quello che stai facendo".


Quando lo accompagno a fare una passeggiata intorno al laghetto fuori del suo fabbricato, indica i cervi che pascolano accanto alla sponda e dice: "Non sono belli?" Prima di andare a letto, una ciotola di gelato al cioccolato lo manda al settimo cielo. "Questo è il miglior gelato al cioccolato che abbia mai avuto", dice per l'ennesima volta.


Una ricerca recente
dimostra che la gratitudine, anche per le cose più semplici (una nuova foto di un nipote, un albero di acero che diventa arancione brillante), è associata a "un umore migliore, un sonno migliore, meno fatica e livelli più bassi di biomarcatori infiammatori legati alla salute cardiaca".


La gratitudine riduce anche la depressione e l'ansia, secondo diversi studi, tra cui uno di Andrea Hussong, ricercatore e direttore del Center for Developmental Science della University of North Carolina di Chapel Hill. Tutto ciò può contribuire a rallentare il declino della mente o, quanto meno, a migliorare l'umore e il senso di benessere del paziente e del caregiver.


L'infanzia di mio padre potrebbe facilmente averlo reso un uomo aspro. Suo padre, un medico, morì quando aveva tre anni. La famiglia, che viveva in una piccola città nel nord-ovest dell'Arkansas, si è divisa. Sua madre andò a lavorare in una fabbrica di abbigliamento a Memphis, a 4/5 ore di distanza in autobus. Ha messo mio padre e il fratello maggiore in una Masonic Children’s Home dove sono rimasti fino a tutte le superiori.


Dopo il liceo, il papà ha fatto il servizio militare nella Marina degli Stati Uniti, che ha pagato la gran parte dell'istruzione universitaria alle Università Brown e Dartmouth. Dopo la seconda guerra mondiale, si è laureato in seminario ed è stato ordinato pastore metodista e ha avuto assegnata la sua prima chiesa in un piccolo paese chiamato Van Buren nel nord-ovest dell'Arkansas.


Questo è stato nei primi anni 1950, quando la segregazione cominciava ad essere messa in discussione dagli afro-americani e da alcuni bianchi. Il distretto scolastico di Van Buren resisteva agli ordini federali di integrare la scuola superiore. Una Domenica nel 1956, poco dopo che la Corte Suprema ha stabilito che i ragazzi neri potevano frequentare quelle che erano state scuole pubbliche per soli bianchi, il "Fratello Bob", come lo chiamavano i parrocchiani, ha fatto un sermone a sostegno della sentenza del tribunale.


Per un uomo che, nel crescere, non aveva avuto molte delle cose che avevano gli altri ragazzi, era una questione di equità. "Non ci faremo ingannare da sobillatori o opportunisti politici che per i propri scopi egoistici cercano di fomentare discordia", disse mio padre. Accettare l'integrazione razziale era "la cosa cristiana da fare".


Questo non stava bene ad alcuni della congregazione. Dei teppisti hanno bruciato una croce sul nostro prato. Il vescovo metodista dell'area, a disagio per i disordini di Van Buren, ha trasferito mio padre e la nostra famiglia a Booneville, a circa un'ora di distanza. Un anno dopo, nel 1957, un giudice federale ha ordinato alla Van Buren High School di ammettere 23 studenti afro-americani.


Mio padre ha continuato a combattere per l'integrazione. Ha scritto un articolo per The Saturday Evening Post, pubblicato nel maggio 1961, dal titolo: «I Ministri Meridionali del culto stanno mancando i loro impegni verso il Sud?". Io e mia sorella più giovane ricordiamo un camion postale che si ferma davanti alla nostra casa per consegnare centinaia di lettere da tutto il paese, divise tra chi era favorevole all'integrazione e coloro che si opponevano.


A seguito del divorzio da mia madre, mio ​​padre si è risposato e nel 1963 ha trasferito la famiglia in un sobborgo di Boston, dove si è occupato di una piccola chiesa, tenendo lezioni alla Boston University. Alla fine ha ricevuto il suo Ph.D. in sociologia e etica sociale ed è diventato professore.


Il rischio che si è preso nel parlare in difesa degli altri è stata un'esperienza cruciale della vita di mio padre.


Uno dei tragici risultati dell'Alzheimer è che passiamo gran parte della vita adulta a costruire la nostra idea di vita significativa: acquisire una formazione, trovare un compagno, educare i figli, avere un posto di lavoro o se siamo fortunati, avere una carriera che ci piace. Ma quando abbiamo finalmente avuto il tempo di riflettere, e apprezzare, quello che abbiamo fatto, i ricordi di questi risultati potrebbero non essere più accessibili.


Mio padre ricorda molto poco. Sa di avere ispirato importanti dibattiti sociali all'interno e all'esterno dell'Arkansas. Gli è meno chiaro l'oggetto di tali discussioni. Dimenticare il nome di un nipote, come avviene sempre più spesso ora, è imbarazzante. Perdere quello che era un senso inattaccabile di direzione e di luogo è umiliante. Ma non essere in grado di ricordare come e perché una volta si era significativi nel mondo può essere la perdita più grande di tutte.


Anche così, mio padre entra in ogni giorno con gratitudine per quello che rimane.


Quando finisce un pezzo di torta che ha fatto la mia matrigna, dice qualcosa del tipo: "Non ho mai mangiato una torta migliore al cioccolato (limone, spezie, qualunque cosa sia)". Quando io e le mie sorelle sentiamo questa o qualche altra espressione epica, ci guardiamo l'un l'altra e roteiamo gli occhi.


Ma dovremmo piuttosto preferire che allontani il cibo? Lamentarci delle rigidità alle articolazioni e della mancanza di udito? Che non ci dovrebbe chiedere - come fa ogni volta che lo incontriamo - come va ciascuno dei nostri figli e che dobbiamo dire loro quanto li ama?


La sua crociata per sbarazzarsi dei pregiudizi razziali è diventata la battaglia molto diversa di sradicare l'Alzheimer. Egli sa che per entrambi i fronti, un individuo non può fare molto. Ma ognuno può, e, a suo parere, deve, fare qualcosa. E così, quando i medici e gli infermieri della Georgetown gli hanno chiesto negli anni passati di parlare alle famiglie di altri malati di Alzheimer, lo ha fatto volentieri.


Qualcuno potrebbe dire che sta negando, che ha ricusato gran parte della sua vita per riconoscere la portata delle sfide e dei problemi che ha incontrato. Ci può essere qualcosa di vero in questo. Ma è così negativo se la sua capacità di concentrarsi su ciò che è buono (una famiglia che lo ama, un golden retriever che rimane al suo fianco, un team medico premuroso e competente, e, naturalmente, tutti quei dessert) ha contribuito a rallentare il suo declino mentale?


Ancora una cosa: per anni, nel suo tempo libero, mio padre ha composto musica e scritto i testi. Dopo che è stato chiaro che era insorto l'Alzheimer, ha scritto una canzone dal titolo "Remind Me to Tell You" [ricordami di dirti].


Ha ancora il suo senso dell'umorismo e io e la mia famiglia, quasi tutti i giorni, siamo grati per questo.

 

 

 

 

Fonte: Laura Sessions Stepp in The Washington Post (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.

 

 

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