Una ricerca riporta che un programma di assistenza domiciliare che utilizza infermieri e terapisti professionali per aiutare le persone con malattia di Alzheimer nelle proprie case ha portato benefici sia ai pazienti così come ai caregivers.
I vantaggi di un tale programma, che non coinvolgono farmaci, potrebbe avere un effetto considerevole sui milioni di uomini e donne con malattia di Alzheimer che vivono a casa. Potrebbe inoltre aiutare a ridurre lo stress dei familiari e di altri che si occupano di loro.
Il programma di assistenza domiciliare, noto come COPE [Care of Persons with Dementia in their Environments - cura di persone con demenza nei loro ambienti], è volto a modificare i fattori in casa che potrebbero ridurre lo stress di occuparsi del malato di Alzheimer. Parte del programma comprende il lavoro con i pazienti e i caregivers per assistere le attività della vita quotidiana, come i vestirsi, lavarsi e mangiare. Col progredire della malattia, più aiuto è richiesto nello svolgimento di tali attività, aumentando l'onere della cura.
Progettato da medici professionisti alla Thomas Jefferson University di Philadelphia, il programma ha cercato di ridurre i fattori ambientali in casa che potrebbero contribuire all'agitazione e alla funzionalità ridotta dei pazienti. I terapisti profesionali hanno addestrato i caregivers su come gestire situazioni specifiche, quali la difficoltà di vestire o alimentare il paziente nel modo più semplice possibile, con l'obiettivo di aumentare il coinvolgimento dei pazienti.
I caregiver sono stati anche informati su questioni come la sicurezza in casa e la gestione dello stress, e a comunicare con una persona cara con Alzheimer. Gli assistenti sanitari hanno affrontato qualunque condizione medica, come stipsi, disidratazione o gli effetti collaterali o le interazioni dei farmaco, che potrebbero causare problemi per il paziente.
Le famiglie hanno avuto fino a 10 sessioni a domicilio con terapisti professionali su più di quattro mesi, con una sessione supplementare faccia a faccia e una sessione telefonica con un infermiere. Un gruppo di controllo ha avuto la cura standard, con tre telefonate da parte dei membri qualificati del gruppo di ricerca, che non erano infermieri o terapisti profesionali e materiale didattico.
I ricercatori hanno scoperto che ci sono stati miglioramenti statisticamente significativi nella dipendenza funzionale per i pazienti del COPE dopo quattro mesi, rispetto ai pazienti del gruppo di controllo. I caregivers del programma COPE hanno anche riportato un miglioramento del benessere e una maggiore fiducia in se stessi rispetto a quelli che ricevono le cure standard.
Dopo nove mesi, i ricercatori non hanno trovato differenze statisticamente significative tra i pazienti COPE e quelli del gruppo di controllo. Tuttavia, i caregivers che avevano ricevuto la formazione COPE hanno riferito un "grande" miglioramento della loro vita in generale, così come nella comprensione della malattia, nei comportamenti di gestione della fiducia in se stessi, nella capacità di cura dei pazienti, nella qualità di vita dei pazienti, e nella capacità di mantenere i pazienti a casa.
I risultati, pubblicati nel Journal of American Medical Association, aumentano la quantità di prove che le terapie non farmacologiche possono svolgere un ruolo importante nella cura dei malati di Alzheimer in casa. I risultati sottolineano inoltre l'importanza della ricerca di problemi di salute che possono contribuire al disagio e allo stress del paziente.Problemi medici non diagnosticati ma curabili sono stati individuati in circa il 40 per cento dei pazienti con demenza studiati, un risultato coerente con altri studi recenti.
Altri programmi, come quelli messi a punto presso l'Istituto Silberstein alla New York University School of Medicine, hanno dimostrato come un programma strutturato di consulenza e di assistenza possono beneficiare i malati di Alzheimer e i caregivers. (Vedi la storia su ALZinfo.org, "Vantaggi di Supporto e Consulenza ai caregivers dell'Alzheimer in tutto il mondo".)
Fonte: Fisher Center for Alzheimer's Research Foundation (www.alzinfo.org), 4 gennaio 2011