Il 25 novembre 1901 una donna di 51 anni è ricoverata in un ospedale di Francoforte in Germania, con una costellazione bizzarra di sintomi.
Il suo comportamento è stravagante, mostra segni di paranoia e allucinazioni uditive, disorientamento e disturbi gravi della memoria.
Richiesta di scrivere il proprio nome, arriva fino a 'Signora', poi si sofferma sulla pagina, incapace di ricordare il resto. "Mi sono persa", dice al medico curante. In seguito si ritirerà nel suo universo personale e imperscrutabile, prima di morire il 9 Aprile 1906.
Il caso tragico di Auguste Deter avrebbe potuto sparire nei recessi della storia medica, se il suo medico, Alois Alzheimer, non avesse fatto un esame approfondito della sua condizione medica, compreso quello del suo cervello asportato, scoprendo le placche amiloidi e i grovigli neurofibrillari caratteristici della sua malattia. Auguste Deter è stata la prima persona con diagnosi di Alzheimer.
Oggi, la società deve affrontare una epidemia di Alzheimer, con circa 5 milioni afflitti solo negli Stati Uniti. Il numero è destinato a gonfiarsi a 14 milioni entro la metà del secolo, secondo i Centers for Disease Control and Prevention. Delle prime 10 principali malattie mortali, l'Alzheimer rimane l'unica che non può essere evitata, trattata o curata.
In una nuova ricerca apparsa sulla rivista Alzheimer's and Dementia, Diego Mastroeni, Paul Coleman ed i loro colleghi del Neurodegenerative Disease Research Center (NDRC) della Arizona State Univresity-Banner, e del Biodesign Center for Bioenergetics, hanno esaminato il ruolo dei mitocondri nella patologia dell'Alzheimer. I mitocondri agiscono da centri di energia per le cellule e hanno un ruolo centrale nella salute e nella malattia. Lo studio si basa su precedenti lavori che avevano suggerito che le mutazioni genetiche che influenzano la funzione mitocondriale possono essere cruciali nello sviluppo - e nella progressione spietata - della malattia.
"Le malattie neurodegenerative legate all'età, come l'Alzheimer, progrediscono per un lungo periodo di tempo prima di diventare clinicamente evidenti. I primi eventi fisiologici e molecolari sono in gran parte sconosciuti", ha detto Mastroeni. "I risultati di laboratorio hanno portato alla luce i cambiamenti precoci nell'espressione dei mRNA codificati dal nucleo, ma non codificati dai mitocondri, che avvengono in una persona poco dopo i 30 anni, permettendoci di dare uno sguardo in quelli che noi sospettiamo essere alcuni dei primi cambiamenti cellulari nella progressione dell'Alzheimer".
I risultati del nuovo studio dimostrano che classi specifiche di geni associati alla respirazione cellulare mitocondriale mostrano dei livelli ridotti di espressione nei pazienti con Alzheimer, rispetto ai pazienti normali.
Lo studio esamina anche l'espressione genica nei soggetti il cui cervello ha un livello intermedio della malattia chiamato 'lieve decadimento cognitivo' (MCI). Qui si osserva l'effetto opposto: geni rilevanti mostrano un aumento dei livelli di espressione. Gli autori suggeriscono che questo può dipendere da qualche tipo di meccanismo di compensazione del cervello, che tenta di allontanare la malattia all'inizio.
Inoltre, lo studio propone che il ripristino di un insieme specifico di geni danneggiati, legati alla funzione mitocondriale e situati nel DNA nucleare delle cellule, può costituire una strategia promettente per arrestare l'avanzamento della malattia.
Assalto all'identità
L'Alzheimer - la forma più comune di demenza - è una malattia degenerativa progressiva del cervello. Anche se di solito è associata agli anziani, ora si crede che questa malattia devastante abbia origine molto prima, infiltrando il sistema nervoso decenni prima della comparsa dei sintomi clinici. Infatti, l'ostacolo maggiore al successo del trattamento dell'Alzheimer è il fatto che la malattia di solito non è riconosciuta fino a quando non ha devastato irrimediabilmente il cervello.
La malattia inizia spesso con una lieve perdita di memoria, che può interferire con la conversazione normale. Anche se l'avanzare dell'età rimane il principale fattore di rischio per l'Alzheimer, alcuni individui ne sono anche geneticamente predisposti. Altri fattori di rischio includono colesterolo alto, malattie cardiache, ictus e ipertensione arteriosa. Oggi, l'Alzheimer è la quinta causa di morte da 65 a 85 anni.
Nonostante gli effetti sempre più marcati della demenza, la diagnosi definitiva dell'Alzheimer di solito richiede l'esame post mortem del tessuto cerebrale e l'identificazione dei due sintomi stereotipati, noti come placche e grovigli. Più di recente, la nuova tecnologia di imaging ha permesso ai ricercatori di rilevare questi sintomi nel cervello vivente, anche se Coleman è prudente circa la loro interpretazione: "Anche se placche e grovigli rimangono il segno distintivo neuropatologico definitivo della malattia, le placche non si correlano per niente con il grado di compromissione cognitiva nell'Alzheimer, e i grovigli si correlano solo leggermente", ha detto. "Sappiamo anche che placche e grovigli appaiono più tardi nella cascata di eventi che causano la demenza di Alzheimer".
Si crede che l'Alzheimer rappresenti il 60-70 per cento dei casi di demenza. Col progredire della malattia, i sintomi diventano più gravi, comprendendo l'erosione del linguaggio, il disorientamento fisico e le trasformazioni comportamentali, che spesso coinvolgono il ritiro dalla famiglia e dalla società. Col tempo si perdono le funzioni corporee, portando alla morte. L'aspettativa di vita per i malati di Alzheimer varia, ma di solito è da 3 a 9 anni dopo la diagnosi.
Energia rapida
I mitocondri - organelli legati alla membrana, presenti in tutti gli organismi eucarioti - sono spesso chiamati le 'centrali elettriche' della cellula. Attraverso un processo chiamato 'fosforilazione ossidativa', producono la maggior parte dell'energia chimica delle cellule sotto forma di adenosina trifosfato (ATP).
Oltre a fornire energia cellulare, i mitocondri sono coinvolti nella segnalazione, nella differenziazione e nella morte della cellula, così come nella sua crescita e nel mantenimento del ciclo cellulare. Poiché i mitocondri hanno un ruolo così importante nella cellula, la disfunzione mitocondriale è implicata in una vasta gamma di malattie, comprese quelle cardiovascolari, l'autismo, la schizofrenia, il disturbo bipolare, l'epilessia, l'ictus, il morbo di Lou Gehrig e il diabete, e nelle forme di demenza che includono l'Alzheimer.
Non sorprende che i difetti nella funzione mitocondriale colpiscano più duramente i sistemi di organi del corpo affamati di energia, in particolare i muscoli, il tratto gastrointestinale e il cervello, un organo che costituisce solo il 2 per cento del peso di una persona, ma consuma il 20 per cento del bilancio totale di energia del corpo.
I mitocondri sono unici fra gli organelli della cellula, in quanto possiedono un proprio DNA, distinto dal DNA del nucleo della cellula. Questo strano stato di cose è dovuto all'evoluzione mitocondriale. I mitocondri discendono da batteri a vita libera che hanno colonizzato le altre cellule circa 2 miliardi di anni fa. Dopo essere stati incorporati nelle cellule nucleate, questi endosimbionti, come sono chiamati, hanno perso molto del loro macchinario originale, ma hanno mantenuto il proprio complemento del DNA.
Oltre al ruolo della disfunzione mitocondriale nella malattia, si crede che il progressivo degrado dell'integrità mitocondriale abbia un ruolo centrale nel normale processo di invecchiamento.
Geni rotti
L'attuale studio ha esaminato il tessuto dell'ippocampo, una struttura fondamentale per la memoria, minacciato seriamente dall'avanzata dell'Alzheimer. Usando la tecnologia 'microarray', gli autori hanno esaminato il tessuto dell'ippocampo prelevato da una coorte di 44 cervelli normali da 29 a 99 anni di età, da 10 con decadimento cognitivo lieve e da 18 con Alzheimer.
Per due serie di genie è stata esaminata l'espressione genica: una che codifica il DNA mitocondriale e l'altra il DNA nucleare. Le due serie di geni codificano entrambe proteine associate a un complesso mitocondriale essenziale per la fosforilazione ossidativa (OXPHOS), che producono energia sotto forma di ATP per la cellula.
E' intrigante osservare che, anche se i geni mitocondriali stessi erano sostanzialmente inalterati, i geni nucleari associati al complesso OXPHOS erano interessati da cambiamenti significativi, a seconda dei tessuti esaminati. I dati di microarray hanno rivelato una sostanziale sotto-regolazione dei geni OXPHOS nucleari codificati nel tessuto di Alzheimer, un risultato trovato anche nel cervello con normale invecchiamento.
Gli stessi geni, tuttavia, erano sovra-regolati nel caso di deterioramento cognitivo lieve, un precursore dell'Alzheimer. Gli autori suggeriscono che questo effetto può essere dovuto ad un meccanismo di compensazione del cervello in risposta alla patologia iniziale.
I risultati sono in linea con i lavori precedenti che avevano stabilito che l'accumulo di amiloide-beta nei neuroni (una caratteristica dell'Alzheimer) è implicato direttamente nella disfunzione mitocondriale. L'effetto marcato sui geni OXPHOS, codificati dal nucleo ma non dai mitocondri, può indicare disfunzioni nel trasporto di molecole dal nucleo cellulare ai mitocondri.
"Il nostro lavoro sui mitocondri può portare a un marcatore affidabile precoce nel decorso della malattia, che si correla più strettamente con il grado di demenza rispetto alle diagnosi attuali su placche e grovigli", ha detto Coleman.
I meccanismi precisi del declino mitocondriale nell'invecchiamento e nell'Alzheimer non sono ancora stati delineati e saranno al centro di continua ricerca. Lo studio suggerisce che le terapie volte a ripristinare la funzione dei geni OXPHOS codificati dal nucleo possono costituire una nuova ed entusiasmante strada per il trattamento dell'Alzheimer.
Fonte: Richard Harth in Arizona State University (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Diego Mastroeni, Omar M. Khdour, Elaine Delvaux, Jennifer Nolz, Gary Olsen, Nicole Berchtold, Carl Cotman, Sidney M. Hecht, Paul D. Coleman. Nuclear but not mitochondrial-encoded OXPHOS genes are altered in aging, mild cognitive impairment, and Alzheimer's disease. Alzheimer's and Dementia, 2016; DOI: 10.1016/j.jalz.2016.09.003
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