E' qualcosa che accettiamo tranquillamente: più invecchiamo, più ci sembra difficile ricordare le cose. Possiamo lasciare l'auto nello stesso parcheggio ogni mattina, ma se non la mettiamo nello stesso spazio ogni giorno, è una sfida otto ore più tardi ricordare se abbiamo lasciato il SUV in seconda o in quinta fila.
Oppure, ci possono presentare nuovi colleghi durante una riunione e dimentichiamo i loro nomi prima di finire di stringree loro la mano. Minimizziamo e ci rassicuriamo nervosamente che i 'dischi di memoria' del nostro cervello sono semplicemente troppo pieni per gestire la valanga di nuove informazioni che ci appaiono tutti i giorni.
Però, secondo un neuroscienziato della Johns Hopkins University, il vero problema è che il nostro cervello invecchiando, non è in grado di elaborare queste informazioni come "nuove", perché i sentieri del cervello che conducono all'ippocampo (l'area che memorizza i ricordi) si degradano col tempo. Con il risultato che il nostro cervello non può "archiviare" accuratamente nuove informazioni (come dove abbiamo lasciato l'auto quella mattina particolare), ed il risultato è la confusione.
"La nostra ricerca utilizza le tecniche di scansione del cervello che studiare sia l'integrità funzionale che quella strutturale del cervello per dimostrare che l'età è associata a una riduzione della capacità dell'ippocampo di fare il suo lavoro, e questa è legata a un ridotto arrivo di dati dal resto del cervello", ha detto Michael Yassa, professore assistente di scienze psicologiche e cerebrali alla Krieger School of Arts and Sciences della Johns Hopkins. "Man mano che invecchiamo, siamo molto più sensibili alle 'interferenze' dei vecchi ricordi di quando siamo più giovani". In altre parole, di fronte a un'esperienza simile a una precedente, come il parcheggio della vettura, il nostro cervello tende a ricordare le vecchie informazioni che ha memorizzato già invece di depositare quelle nuove e poi recuperarle. Il risultato? Non ti è possibile trovare l'auto immediatamente e ti trovi a vagare nel parcheggio. "Forse è anche per questo che tendiamo a ricordare molto di più invecchiando: perché è più facile ricordare i vecchi ricordi che crearne di nuovi," ipotizza Yassa.
Yassa e il suo team hanno usato la risonanza magnetica per osservare il cervello di 40 tra studenti universitari sani giovani e anziani da 60 a 80 anni, mentre guardavano immagini di oggetti di uso quotidiano, come ananas, provette e trattori e li hanno classificati (premendo un pulsante) come "all'interno" o "all'aperto". (Il team ha usato tre tipi di esami di risonanza magnetica nello studio: risonanza magnetica strutturale, che rileva anomalie strutturali; risonanza magnetica funzionale, che documenta l'intensità dell'attività delle varie regioni del cervello durante i compiti assegnati, e risonanza magnetica di diffusione, che controlla la qualità delle comunicazioni tra le regioni tracciando il movimento delle molecole d'acqua lungo il tragitto).
Alcune delle immagini erano simili ma non identiche, e altre erano nettamente diverse. Il team ha utilizzato la risonanza magnetica funzionale per vedere l'ippocampo, quando i partecipanti guardavano oggetti esattamente identici o leggermente differenti, per verificare come questa regione del cervello classificava tale elemento: come familiare o meno. "Le immagini dovevano essere molto diverse tra di loro perchè l'ippocampo di una persona anziana potesse classificarle correttamente come nuove. Più si somigliavano le immagini, tanto più l'ippocampo della persona anziana lottava per fare il lavoro. L'ippocampo di una persona giovane, invece, trattava tutte queste immagini simili come nuove", spiega Yassa.
Successivamente, i partecipanti hanno visto una serie di immagini completamente nuove (tutte diverse) e di nuovo è stato chiesto di classificarle come "indoor" o "all'aperto". Pochi minuti dopo, i ricercatori hanno presentato ai partecipanti il nuovo set di immagini e hanno chiesto se ogni oggetto era "vecchio", "nuovo" o "simile". "La risposta 'simile' era la risposta fondamentale per noi, perché ci fa capire che i partecipanti sono in grado di distinguere tra oggetti simili e sapere che non sono identici a quelli che avevano visto prima", ha detto Yassa. "Abbiamo scoperto che gli anziani tendono ad trovare meno oggetti 'simili' e invece li classificano di più come 'vecchi', indicando che essi non potevano distinguere tra oggetti simili."
Yassa ha detto che questa incapacità tra i più anziani di riconoscere le informazioni come "simili" a qualcosa che avevano visto di recente è legata a ciò che è conosciuto come la "via perforante", che invia i dati dal resto del cervello all'ippocampo. Più è degradato il percorso, meno probabilità ha l'ippocampo di immagazzinare ricordi simili come distinti da quelli vecchi. "Ora siamo più vicini a comprendere alcuni dei meccanismi che sottendono la perdita di memoria con l'aumentare dell'età," dice Yassa. "Questi risultati hanno possibili implicazioni pratiche nel trattamento dell'Alzheimer, perché l'ippocampo è uno dei posti che si deteriorano molto presto nel corso di tale malattia."
Il prossimo passo del team è quello di effettuare studi clinici in pazienti con Alzheimer precoce utilizzando i meccanismi che hanno isolato, come un modo per misurare l'efficacia terapeutica dei farmaci. "Fondamentalmente, saremo ora in grado di studiare l'effetto di un farmaco sulla funzione dell'ippocampo e sull'integrità del percorso", ha detto. "Se un farmaco rallenta la degradazione del percorso e la disfunzione dell'ippocampo, è possibile che possa ritardare l'insorgenza dell'Alzheimer da 5 a 10 anni, ritardo sufficiente per un gran numero di anziani di evitare la malattia del tutto. Ciò sarebbe un passo avanti enorme nel campo".
Lo studio è apparso nell'anticipazione online del 9 maggio dei Proceedings of National Academy of Sciences ed è stato finanziato dal National Institute on Aging.
Pubblicato in EurekAlert! il 13 maggio 2011 Traduzione di Franco Pellizzari.
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