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Testare, isolare, comunicare sono cruciali per controllare il COVID-19 in casa di riposo

I test diffusi del COVID-19 possono essere un modo ovvio per controllare un focolaio in una struttura di assistenza a lungo termine. Ma è cruciale anche la comunicazione tra il personale della struttura, i suoi ospiti e i familiari.


Un nuovo studio guidato da Carl Shrader, medico e ricercatore alla West Virginia University, ha rivelato il ruolo della comunicazione nella soppressione di un'epidemia di COVID-19 alla Sundale, una struttura di assistenza a lungo termine di Morgantown (West Virginia).


“La comunicazione tempestiva è stata impegnativa e resa più difficile dalla mancanza di informazioni basate su prove e da una disinformazione ampiamente circolante”, ha detto Shrader, che dirige il programma di residenza della WVU. “C'è un delicato equilibrio tra la rapida diffusione di informazioni accurate, e la necessità di una discussione individuale personale in una situazione sconosciuta”.


Shrader è anche il direttore medico della Sundale, che è stato l'epicentro della pandemia COVID-19 in West Virginia. Dalla prima diagnosi di COVID-19 in un residente di Sundale (in marzo) egli ha preso un ruolo di primo piano nella risposta della struttura al focolaio. Prima che la struttura fosse senza COVID-19, 52 residenti e 19 operatori si sono infettati. Per cinque residenti, il virus si è rivelato fatale.


"Ma nonostante le difficoltà di gestione di un focolaio di COVID-19 in assenza di informazioni, il personale, le famiglie e la leadership della struttura sono riusciti a lavorare insieme per garantire una diffusione virale limitata e nessun cambiamento nella mortalità media mensile nella struttura”, ha detto Shrader.


Egli crede che i test precoci e diffusi del COVID-19 nella struttura siano stati fondamentali per mantenere basso il tasso di infezione. Non appena sono venuti alla luce i primi casi, il personale ha immediatamente testato tutte le centinaia di residenti della struttura, anche se non avevano sintomi del virus.


Le persone che sono risultate positive sono state separate dagli altri residenti e alloggiate nella stessa unità per evitare la diffusione del virus. I test ripetuti nelle settimane seguenti hanno identificato altri ospiti con il virus e hanno confermato quando i residenti se ne sbarazzavano.


Poiché nelle prime fasi della pandemia i kit per il test erano scarsi, non tutti gli operatori della Sundale hanno potuto essere tamponati per il virus. Cinquantasei dei 162 operatori (per lo più infermieri diplomati e autorizzati per la pratica) sono stati scelti per essere testati, a causa del loro frequente contatto con i residenti. Tutti gli altri operatori sono stati inviati ai siti esterni di test.


“La priorità era mantenere la disponibilità di personale adeguato in tutte le divisioni, per un funzionamento sicuro della struttura”, ha detto Shrader. “È stata determinante una comunicazione chiara in merito alle decisioni dei test e del personale, per dissolvere paura e frustrazione”.


Incontrare gli operatori, e spiegare il motivo per cui solo alcuni di loro hanno avuto il test rapido, ha alleviato le loro preoccupazioni, ha impedito la nascita di risentimento e ha favorito lo spirito di squadra che rende possibile una buona assistenza agli ospiti.


Gli operatori non sono stati gli unici ad aver tratto benefici dalla comunicazione. Così è stato per i familiari dei residenti. In un primo momento, il personale della struttura ha cercato di tenere informati i familiari parlando con loro al telefono, ma presto hanno scoperto che non potevano tenere il passo con le chiamate. C'erano semplicemente troppe persone, con troppe domande e preoccupazioni, per parlare a tutti loro individualmente.


Gran parte delle informazioni fornite dagli operatori erano valide per più residenti. Così, con il permesso di residenti e familiari, hanno iniziato a usare una versione di Zoom compatibile con le leggi sulla privacy medica, per parlare e ascoltare molti familiari per volta.


Non solo il personale è riuscito a comunicare con i familiari in questo modo, ma questi ultimi hanno anche potuto condividere informazioni e costruire relazioni gli uni con gli altri.


“Famiglie, residenti e personale si sono legati attraverso questa esperienza unica, e in questo, l'uso creativo della tecnologia ha aiutato a mantenere una comunicazione aperta”, ha detto Courtney Pilkerton, assistente professoressa di medicina di famiglia e membro del team di ricerca. “Gli incontri via Zoom continuano ad essere popolari, e molti familiari hanno chiesto che le chiamate continuino perché hanno trovato un valore significativo nel condividere le loro esperienze con gli altri”.


Ma la comunicazione con una categoria di persone è stata particolarmente difficile: i residenti con demenza.

“Avere la demenza significa vivere una vita che ruota attorno ad un programma strutturato”, ha detto Shauna Assadzandi, medico residente alla Sundale che era coinvolta nello studio. “Le interruzioni in quel programma possono portare notevole disagio. Se loro figlio veniva ogni giorno per aiutare a pranzo e a cena, e adesso non c'è, possono sentirsi abbandonati, non capendo il motivo per cui il loro figlio non viene più”.


Il personale della struttura ha dovuto prestare particolare attenzione a quei residenti, per individuare i sintomi psicosomatici (come la mancanza di appetito) e affrontarli presto. Solo perché alcuni residenti non potevano descrivere i loro sentimenti di solitudine, tristezza o preoccupazione, non significa che non li avessero. La Assadzandi ha detto:

“Gli individui più anziani e, più in particolare, quelli con demenza, non sempre verbalizzano le preoccupazioni, e diventa fondamentale osservare i segni fisici di disagio, come il cambiamento di peso e l'assunzione di cibo e liquidi.

“Gran parte del nostro personale infermieristico lavora da molti anni nella stessa unità della struttura. Conoscono bene gli ospiti e sono spesso i primi a notare piccoli cambiamenti nel comportamento. Questi legami forti tra personale e residenti consente di apportare cambiamenti più rapidi e individuali all'assistenza quando è necessario.”

 

 

 


Fonte: West Virginia University (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Riferimenti: Carl Shrader, Shauna Assadzandi, Courtney Pilkerton, Amie Ashcraft. Responding to a COVID-19 Outbreak at a Long-Term Care Facility. Journal of Applied Gerontology, 17 Sep 2020, DOI

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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