Nel 2009, a 59 anni, Greg O'Brien era un giornalista e scrittore di successo che viveva a Cape Cod [sud est di Boston nel Massachusetts (USA)].
Era sano e felice, faceva esercizio tutti i giorni, faceva una buona vita, trascorreva del tempo con i suoi tre figli e la moglie.
Ma aveva anche cominciato a notare cambiamenti in se stesso; dimenticava le cose, e a volte sembrava mancargli il suo giudizio.
Nel frattempo, sua madre stava morendo di Alzheimer. E quell'anno, anche a lui è stata diagnosticata la malattia. Nei cinque anni successivi alla diagnosi, O'Brien ha portato l'attenzione dei suoi scritti su se stesso e ha pubblicato un libro di memorie: «On Pluto: Inside the Mind of Alzheimer's».
O'Brien dice che sarà lui a continuare a parlare di quello che sta passando, finchè sarà in grado di farlo. "Ci sono milioni di persone là fuori che soffrono le varie fasi dell'Alzheimer ad esordio precoce, che hanno paura di chiedere aiuto. Hanno paura di parlare con gli altri", dice. "Se potessi contribuire a dare loro quella voce, forse le cose andrebbero un po' meglio per loro, e questo sarebbe un bene".
Ricevere una diagnosi di Alzheimer precoce
Mi è stata diagnosticata nel 2009. E' stato spaventoso, e mi ricordo mentre ero seduto nello studio del neurologo. Aveva tutti i risultati dei test e delle prove cliniche che ho fallito e la scansione del cervello e tutto il resto, ed era seduto accanto a mia moglie. E disse: "Tu hai l'Alzheimer".
Quindi il medico mi guardò e disse: "Lo capisci questo? Hai una battaglia nelle tue mani. Ti sto parlando come se fossi malato terminale".
Ora, pur avendo una fede forte e sapendo di dover andare in un posto migliore, ho iniziato a pensare a mia moglie e ai figli. E ho sentito acqua scorrere lungo il lato della faccia. Erano le mie lacrime.
Dire ai tre figli che si ha la malattia
Come si fa a dire ai tuoi figli che hai contratto l'Alzheimer? Fa schifo.
Avevo programmato questo incontro familiare, così che tutti i ragazzi erano a casa e avevamo deciso di andare a cena fuori. Sapevo che avrei dovuto parlare prima.
Ero in bagno, mi sono sentito un po' come Luca Brasi in Il Padrino, ripassavo il mio discorso. "Il giorno del matrimonio di tua figlia ...."
Ho sentito: "Papà, dove sei?". Così sono uscito e ho cominciato a dire che il loro bisnonno, mio nonno, era morto di Alzheimer e così anche mia madre, cosa che sapevano. E poi sono arrivato a me.
Erano storditi, non sapevano cosa dire. E poi mio figlio Conor ha interrotto il silenzio dicendo: "Quindi papà, stai perdendo la testa". E ognuno ha riso, e io ho riso, e ho detto: "Sai una cosa, ne abbiamo parlato a suffcicienza per oggi. Andiamo a cena".
Ed è quello che abbiamo fatto. Abbiamo iniziato a parlare dei Boston Red Sox e dei Patriots e dei Celtics, e mi sono sentito più a mio agio in quell'argomento.
Parlare pubblicamente di avere l'Alzheimer
E 'difficile fare interviste come questa. E' come alzarsi per un grande evento sportivo. Sai, dico che la mia mente è come il mio pregiato iPhone: è comunque un dispositivo molto sofisticato, ma con una batteria che dura poco, si rompe facilmente, invia chiamate per errore quando è in tasca, e si può perdere.
Quindi scrivere, comunicare, e fare un'intervista come questa, mi fa sentire malissimo. Ma mi sento di farlo, sto lottando contro l'Alzheimer.
C'è uno stereotipo che l'Alzheimer è proprio nella fase finale quando si è in una casa di riposo e sei pronto a morire. Ma io non ci credo, non è vero.
Fonte: Rebecca Hersher in NPR.org (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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