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La ricerca di Alzheimer sta (finalmente) andando oltre le placche amiloidi

La ricerca di Alzheimer si sta (finalmente) focalizzando oltre le placche amiloidiSi è creduto per lungo tempo che la causa primaria dell'Alzheimer fosse l'accumulo di amiloide-beta, che si ammassa nel cervello formando placche. (Fonte: National Institute on Aging)Far cambiare direzione al 'Moloch' della ricerca medica può richiedere molto, molto tempo.


Anche dopo che una notevole mole di buone evidenze suggerisce che una vecchia idea ha bisogno di essere seriamente ripensata - o respinta - molti ricercatori della comunità scientifica tendono a resistere a spostare altrove la loro attenzione.


Al contrario, scavano nei loro meandri di ricerca in quello che è spesso un tentativo in extremis di dimostrare che la vecchia teoria è corretta.


Questo sembra essere il caso dell'ipotesi «cascata amiloide» dell'Alzheimer. Questa è la convinzione nata molto tempo fa che la causa primaria di questa malattia cerebrale devastante è l'accumulo di pezzi di proteina, chiamata amiloide-beta, che si raggruma nel cervello formando le placche. Queste ultime poi iniziano una serie (cascata) di eventi che portano alla perdita di memoria e altri sintomi cognitivi dell'Alzheimer.


Ma ci sono (e da un bel po' di tempo) grossi problemi con questa ipotesi: problemi che stanno (finalmente) portando i ricercatori di Alzheimer ad ampliare il loro focus di ricerca.

 

Un quadro più complicato

La giornalista scientifica Kristina Fiore descrive questo cambiamento di paradigma in una formidabile serie di articoli pubblicati questa settimana su MedPage Today. Ecco un estratto:

"Negli ultimi 30 anni sono stati spesi miliardi per testare l'ipotesi amiloide nell'Alzheimer.

"Dopo diversi tentativi falliti di puntare i percorsi coinvolti nell'accumulo di questa proteina nel cervello, i ricercatori stanno riconoscendo che c'è probabilmente di più nel quadro dell'Alzheimer; che può essere qualcosa di diverso, o qualche altra combinazione di fattori, che causa la neurodegenerazione che porta al decadimento cognitivo tipico della malattia.

"«Nel 2015 non c'è dubbio che l'amiloide non è la causa 'prossima' del deficit cognitivo», ha detto David Knopman MD, della Mayo Clinic. «Al contrario, sia per i percorsi amiloide-dipendenti che amiloide-indipendentili, le cause 'prossime' del deterioramento cognitivo sono i cambiamenti neurodegenerativi come la perdita di sinapsi e la morte neuronale. Pertanto una componente importante della ricerca per il trattamento dell'Alzheimer dovrebbe essere l'esplorazione dei bersagli terapeutici e delle strategie terapeutiche dirette contro la neurodegenerazione».

"Non è che l'amiloide non abbia alcun ruolo nell'Alzheimer. E' chiaramente un colpevole nelle forme genetiche della malattia, ed è presente nel cervello della maggior parte dei pazienti con forme non familiari o sporadiche. Ma questo non significa che sia causale in tutti i casi.

"Alcuni ricercatori - in particolare quelli coinvolti nello sviluppo di farmaci anti-amiloide - continuano a supportare costosi test di terapie fondate sull'ipotesi amiloide. Essi suggeriscono che se puntano prima l'amiloide, prima della comparsa dei sintomi o quando è nelle fasi molto precoci, la progressione della malattia potrebbe essere migliorata e anche la prevenzione può essere possibile.

"Altri si stanno muovendo su altre strade che non coinvolgono l'amiloide, compresa la fosforilazione della tau, il metabolismo lipidico e l'infiammazione".

 

Un insieme di fattori più ampio

Come sottolinea la Fiore, l'ipotesi cascata amiloide ha finora "fatto fiasco" negli studi clinici. I farmaci tesi a interrompere l'accumulo di amiloide non hanno migliorato la cognizione:

"Altri fattori che hanno messo l'ipotesi amiloide nella curva discendente sono la constatazione che circa il 20% dei pazienti che hanno alcuni biomarcatori coerenti con l'Alzheimer ... non hanno evidenza di placche amiloidi sulle scansioni cerebrali.

"E anche il contrario è vero: da un quarto a un terzo dei pazienti ha un accumulo di amiloide nel cervello, ma nessun sintomo del tutto. Questo è stato definito 'Alzheimer preclinico' ma il corso della progressione, ammesso che ci sia, non è ancora evidente".

 

Una strategia diversa

In un video che accompagna gli articoli della Fiore, Karl Herrup, neuroscienziato della Hong Kong University of Science and Technology, sostiene che è tempo che i ricercatori che cercano trattamenti per l'Alzheimer passino ad obiettivi diversi dall'amiloide-beta:

"Secondo me, deve essere respinto il semplice modello lineare che va direttamente dall'amiloide alla demenza, per il motivo che è stato testato in modelli clinici e animali e ha dimostrato di essere falso. Ad esempio, se l'ipotesi fosse vera, si potrebbe pensare che mettendo amiloide nel cervello di persone in buona salute si otterrebbe l'Alzheimer. Ma, in effetti, l'evidenza suggerisce che questo non succede.


"Inoltre, fare il contrario (togliere l'amiloide dal cervello di individui con Alzheimer) ha dimostrato di non avere alcun effetto significativo sui sintomi o sulla progressione della malattia. Dobbiamo smettere di usare l'amiloide per definire l'Alzheimer. Essa ha un ruolo nella malattia, ma lo stesso ce l'hanno molte altre cose.


"Abbiamo bisogno di esaminare tutte le cause dell'Alzheimer, se vogliamo fare progressi contro questa malattia che provoca davvero la demenza".

 

 

 


Fonte: Susan Perry in MinnPost (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di eventuali testi o marchi citati nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non dipende da, nè impegna l'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X. I siti terzi raggiungibili da eventuali links contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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