Nonostante tutti gli sforzi in senso contrario, all'alba del secondo decennio del 21° secolo, gli sforzi biomedici di ritardare, prevenire o curare la demenza non stanno mostrando alcun successo significativo.
La storia della scienza è ovviamente piena di esempi sorprendenti di vittorie strappate dalle ali della disperazione, e anzi la "serendipità, la fortuna di trovare le cose senza cercarle, favorisce la mente preparata".
Senza cedere al disfattismo scientifico, sembra opportuno focalizzare la nostra speranza sulla cura in se stessa, e su come possiamo creare la cultura che valorizza le persone così profondamente smemorate. Non esiste una bacchetta magica per la demenza, ma possiamo sperare in queste tre cose:
- i carers compassionevoli che manifestano il nostro senso più profondo di un'umanità condivisa, nonostante il declino cognitivo;
- l'evidenza crescente dei sé tolleranti al di là del caos di devastazione neurologica;
- e le possibilità di una evoluzione spirituale-culturale verso l'accettazione, l'affermazione e il collegamento con lo smemorato profondo.
Lo stato della scienza
Nel Regno Unito c'è la saggezza di parlare di "demenza" piuttosto che di "Alzheimer", poiché la demenza come sindrome ha tante cause, e ogni singolo caso può essere di causalità mista. Senza dubbio esiste una forma progressiva, intrattabile, e irreversibile di demenza visibile nelle scansioni del cervello come atrofia dell'ippocampo, quella parte del cervello più coinvolta nella memoria, e questo può essere descritto come demenza di "Tipo Alzheimer" o anche come morbo di Alzheimer. Ma non c'è alcuna condivisione che la malattia sia causata da placche di proteine beta-amiloide che si sviluppano tra i neuroni.
In uno studio recente tanto pubblicizzato, un composto di Eli Lilly (Semagacestat) ha permesso di ridurre le placche beta-amiloidi nel cervello delle persone con una diagnosi di probabile Alzheimer, ma questo sembra aver peggiorato le funzioni cognitive e le attività della vita quotidiana nei soggetti rispetto ai placebo.
Scienziati radicalmente dissenzienti hanno quindi rapidamente affermato che a loro avviso la formazione di beta-amiloide è una reazione protettiva del corpo all'Alzheimer, piuttosto che un agente causativo da eliminare. Un test di liquido spinale per l'Alzheimer basato sui livelli di beta-amiloide e proteina tau, è stato pubblicizzato dai media come "accurato al 100 per cento" nella previsione dell'insorgenza dell'Alzheimer, quando in realtà, questi test sono ancora carenti nella loro sensibilità (capacità di diagnosticare il morbo quando esiste) e specificità (capacità di diagnosticare solo quelli con il disturbo). Non è che le persone con memoria normale, che hanno queste proteine svilupparanno l'Alzheimer. Anche se elevati livelli di beta-amiloidi sono associati all'Alzheimer in misura significativa, questo non è assolutamente un marcatore dell'esistenza certa della malattia, e neppure ne è necessariamente una causa.
È vero quindi che c'è l'epidemiologia di una forma irreversibile, intrattabile, e progressiva della demenza senile che è piuttosto eterogenea nella manifestazione, caratterizzata da atrofia ippocampale, che noi chiamiamo morbo di Alzheimer. Nonostante il fatto che nel 1907 il dottor Alzheimer stesso non pensava di aver scoperto una malattia, ma semplicemente di osservare le placche cerebrali che potrebbero o no essere associate alla demenza senile, alla quale probabilmente dovremmo tutti soccombre se vivessimo abbastanza a lungo.
Invero, lo studio specializzato su persone oltre i 90 anni indica un 61,1 per cento di tasso di prevalenza della sindrome di demenza, in parte dovuta all'atrofia dell'ippocampo; ma potrebbe con altrettanta probabilità essere dovuta al ridotto flusso sanguigno o a piccoli eventi di tipo ischemico nella materia bianca del cervello (demenza multi-infartuale). Spesso queste cause "miste" si verificano insieme. Forse la demenza arriva semplicemente per il fatto di invecchiare, come conseguenza del declino del sistema vascolare e dell'età del cervello. Se è così, allora la causa principale della demenza è l'età, che non possiamo eliminare, anche se un grande sforzo di ricerca è in corso nella scienza di base dell'invecchiamento, nella speranza che il processo possa essere ritardato.
La demenza associata ad atrofia ippocampale può verificarsi nelle famiglie ad insorgenza precoce, causata da una rara mutazione autosomica dominante, in particolare dei geni presenilan PS1 e PS2 (l'esordio della malattia è in genere dopo i quarant'anni e la progressione è particolarmente rapida). È possibile parlare di queste malattie genetiche come di Alzheimer, ma potrebbero essere meglio denominate malattie PS1 e PS2, anche se è plausibile che possano essere esempi molto puri o "non miscelati" di Alzheimer.
Varie biologie, varie genetiche, varie età di insorgenza, varie progressioni e probabilmente varie malattie sono evidenti nella demenza e Alzheimer è un marchio che viene usato troppo ampiamente. Poichè la scienza di base dell'Alzheimer è diventata confusa, gli scienziati hanno difficoltà ad individuare gli obiettivi giusti per nuovi composti di attacco. Ad oggi non c'è nessun composto funzionante, naturale o innaturale, che ritardi, impedisca, rallenti, o curi questa atrofia dell'ippocampo che noi chiamiamo Alzheimer. Se, su una scala da uno a dieci, l'insulina vale dieci per il trattamento del diabete, questi inibitori della colinesterasi nella migliore delle ipotesi valgono 1, più probabilmente 0,05, per l'Alzheimer.
Il lascito di delusione è chiaro. Alla fine degli anni '80, Whitehouse e altri hanno avanzato l'ipotesi colinergica che, gonfiata dai media, si è rapidamente evoluta al punto in cui si diceva che gli inibitori della colinesterasi stavano per "curare l'Alzheimer". I risultati di questa intera linea di composti nel corso degli ultimi due decenni sono stati così limitati che molti medici ancora non li prescrivono, o non lo farebbero se mancasse la pressione delle famiglie.
Per quanto riguarda il ritardo e la prevenzione, la sostituzione ormonale per le donne in post-menopausa non solo non ha funzionato, ma in realtà ha contribuito a elevare i livelli di demenza. I farmaci anti-infiammatori hanno un impatto minimo o nullo. Gli inibitori della colinesterasi non hanno un impatto dimostrato di ritardo o prevenzione, e il loro impatto sul Parkinson è lieve, anche nel migliore degli scenari. La vitamina E non ha mostrato alcun beneficio, anche se per un po' molti amici neurologi hanno fatto ingurgitare pillole su pillole.
Un comitato del National Institute of Health nel 2010, dopo aver esaminato la letteratura scientifica mondiale, ha scoperto che "Attualmente, non esiste nessuna prova, anche di qualità scientifica moderata, per sostenere l'associazione di qualunque fattore modificabile (come integratori alimentari, preparati a base di erbe, fattori dietetici, farmaci con o senza ricetta medica, fattori sociali o economici, condizioni mediche, tossine, esposizioni ambientali) con una riduzione del rischio di Alzheimer ". Tanta onestà è lodevole, anche se il comitato sbaglia a sminuire gli studi su dieta, esercizio fisico e impegno sociale, a cui si allude nella prossima sezione [pubblicata a breve].
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**********************Scritto da Stephen Post, autore del best-seller I doni nascosti dell'aiutare (2011), e direttore del Center for Medical Humanities, Compassionate Care and Bioethics alla Stony Brook University. Il suo libro dalla diagnosi La sfida morale dell'Alzheimer: Questioni etiche dalla diagnosi alla morte è stato selezionato come "Medical Classic del secolo" dal British Medical Journal (2009). Ha ricevuto il Distinguished Service Award dal Consiglio Nazionale dell'Associazione Alzheimer "In riconoscimento del contributo personale e professionale all'Alzheimer's Association su questioni etiche importanti per le persone con Alzheimer e alle loro famiglie" (1998).
Pubblicato in Alzheimer's Reading Room il 19 febbraio 2012 - Traduzione di Franco Pellizzari.
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