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Commozioni cerebrali possono accelerare l'invecchiamento del cervello

Il danno grave causato dalla commozione cerebrale nello sport è emerso inizialmente tra i pugili 'suonati', che hanno subito colpi ripetuti alla testa nel corso della loro carriera di combattimento. Una forma correlata di danno cerebrale è nota per influenzare una vasta gamma di altri sport e professioni, dove le lesioni ripetute alla testa uccidono le cellule cerebrali e causano gradualmente la riduzione del cervello.


Lavorando a stretto contatto con il sindacato dei giocatori d'élite di rugby, la nostra ricerca ora ci ha aiutato a comprendere l'impatto del trauma cranico sul cervello, quando invecchiamo. Abbiamo dimostrato che la funzionalità del cervello in un giocatore giovane con una storia di commozioni cerebrali equivale a quella di un 60/70enne. In termini semplici, la commozione cerebrale sembra accelerare l'invecchiamento biologico del cervello di ben tre decenni.


Una scoperta importante era che i giocatori di rugby che avevano avuto commozioni cerebrali, avevano più 'radicali liberi' (molecole instabili, che danneggiano le cellule) nel loro sangue. E anche meno ossido nitrico, una molecola benefica che consente a più ossigeno e glucosio di arrivare al cervello. Come risultato, i vasi sanguigni nel cervello con commozione cerebrale reagiscono lentamente ai cambiamenti nel flusso sanguigno, una condizione chiamata 'deterioramento cerebrovascolare'.


Il deterioramento cerebrovascolare è stato collegato alla disfunzione cognitiva, e può avere un effetto negativo sul modo in cui una persona pensa, si concentra, formula idee e ricorda. E può anche renderla più vulnerabile alla demenza in età avanzata. Nella nostra analisi, questi danni sono stati visti di più nelle regioni del cervello dove è più frequente il contatto della testa durante il gioco.


I rugbisti di élite, sia attivi che ritirati, hanno dimostrato di essere più deteriorati cognitivamente rispetto alle persone della stessa età e forma fisica, che non avevano subito commozioni cerebrali o che non avevano fatto sport di contatto. Gli effetti sono apparsi anche collegati con la posizione di un giocatore nella squadra di rugby. Erano particolarmente diffusi tra gli attaccanti, che di solito sperimentano più placcaggi e collisioni nel gioco rispetto ai difensori.

 

Cambio di gioco?

Sono stati fatti passi avanti positivi nel mondo del rugby, con la crescita della consapevolezza degli effetti negativi che ha la  commozione cerebrale sul cervello. In effetti, abbiamo fatto molta strada dal 2005, quando un neuropatologo che lavorava nello studio del medico legale di Pittsburgh è stato il primo ad individuare una forma di neurodegenerazione detta 'encefalopatia traumatica cronica' (CTE) in un giocatore di football americano che aveva subito lesioni cerebrali ripetute.


Ma il problema non è stato risolto. E la natura sempre più gladiatoria del calcio moderno, con i giocatori il cui fisico assomiglia a quello di un culturista, implica rischi via via peggiori. Allora, cosa si può fare per ridurre gli effetti della commozione cerebrale, potenzialmente in grado di alterare la vita, per i giocatori di rugby?


Uno degli approcci comporta modificare le regole del gioco. Anche se sono state proposte alcune modifiche, come ad esempio il placcaggio in vita per ridurre il numero di collisioni testa-a-testa, alcuni sostengono che il placcaggio dovrebbe essere proibito del tutto. Altri, noi compresi, si sono concentrati sulla creazione di efficaci valutazioni molecolari (sangue, saliva, urina) e cerebrovascolari (flusso sanguigno al cervello) per rilevare a bordo campo la commozione e consentire il trattamento e il recupero più rapido.


Mentre queste idee rimangono in fase di sviluppo, ci sono metodi che i giocatori di rugby - e chiunque altro - possono usare per aiutare il cervello a combattere il rischio di demenza. Questi includono l'esercizio fisico di alta intensità a intervalli e l'esercizio aerobico regolare.


Questo perché l'esercizio aiuta a mantenere un peso corporeo sano e favorisce il rilascio di ossido nitrico, che migliora il modo in cui funzionano i nostri vasi sanguigni e contribuisce a una migliore salute del cervello.


Per ora, però, la commozione cerebrale in tutti gli sport rimane un infortunio importante, che potenzialmente altera la vita, con le vere conseguenze che spesso si notano solo quando è troppo tardi. Ci sono quasi 10 milioni di giocatori di rugby in tutto il mondo, e quelli professionisti hanno più probabilità di subire una commozione cerebrale ogni 25 partite.


E mentre i trattamenti moderni e i protocolli di gestione per la commozione cerebrale sono migliorati, con un maggiore monitoraggio e con test neurologici, rimangono poco conosciuti i meccanismi che aumentano la suscettibilità di un atleta al CTE e ad altre complicazioni neurologiche.


Nel frattempo, i dirigenti del sindacato dei rugbisti hanno di fronte le critiche per la mancanza di gestione della commozione cerebrale. Ma forse questo dovrebbe essere poco sorprendente, dato che non molto tempo fa, nell'epoca dilettantesca del gioco, il trattamento tradizionale per un colpo alla testa era una 'spugna magica' intinta nell'acqua fredda.

 

 

 


Fonte: Tom Owens (dottorando), Chris Marley (docente di fisiologia) e Damian Bailey (professore di fisiologia e biochimica), Università di South Wales

Pubblicato su The Conversation (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.

Copyright: Tutti i diritti di testi o marchi inclusi nell'articolo sono riservati ai rispettivi proprietari.

Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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