I neuroscienziati stanno cercando con urgenza nuove strategie per un trattamento causativo dell'Alzheimer; ma è altrettanto importante trovare procedure affidabili per valutare la probabilità dei nuovi trattamenti successivi.
Dei ricercatori guidati dal professor Bernd Pichler del Werner Siemens Imaging Center del Dipartimento di Imaging Preclinico e Radiofarmacia della Università di Tubinga, hanno unito due tecniche di imaging non invasive, la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica (MRI), riuscendo così ad esaminare i depositi proteinacei tipici dell'Alzheimer nei topi transgenici. Il loro studio è stato pubblicato online in Nature Medicine.
I topi geneticamente modificati sviluppano una malattia che corrisponde all'Alzheimer negli esseri umani. I ricercatori sono riusciti a seguire la formazione di placche amiloidi durante tutta la vita degli animali e ad osservare lo sviluppo della malattia. Sono stati anche in grado di documentare una connessione diretta tra la formazione di placche amiloidi nei vasi sanguigni cerebrali e la riduzione del flusso sanguigno in alcune aree del cervello.
I ricercatori hanno esaminato due diverse linee di topi geneticamente modificati. In uno dei ceppi, le placche amiloidi si sono formate quasi esclusivamente nel tessuto cerebrale, mentre nell'altro si sono formate sia nel tessuto cerebrale che nei vasi cerebrali. "Solo in quest'ultimo tipo di topi abbiamo visto il sintomo tipico di Alzheimer: la riduzione del flusso sanguigno in alcune aree del cervello", ha detto Florian Maier del Werner Siemens Imaging Center, autore principale dello studio. "I nostri dati mostrano che l'accumulo di placca amiloide nei vasi cerebrali è il fattore principale che sta dietro l'interruzione del flusso di sangue", dice.
I ricercatori hanno ottenuto per la prima volta una qualità sufficiente di immagini del cervello di animali vivi, permettendo agli scienziati di seguire le dinamiche di sviluppo della malattia, spazialmente e temporalmente, e anche di misurarle quantitativamente. I ricercatori hanno anche sfruttato maggiormente il potenziale di PET e MRI, calibrando le loro misurazioni parallele. Secondo i ricercatori questa tecnica non invasiva potrebbe essere usata su pazienti umani.
"Abbiamo gettato le basi per una migliore diagnostica, soprattutto quando si tratta di distinguere la demenza legata all'Alzheimer da altre malattie", spiega Bernd Pichler. Inoltre, lo studio dimostra ancora una volta che la formazione di placche beta-amiloide è un fattore chiave nell'Alzheimer. "Avrebbe senso sviluppare nuove strategie di trattamento che riducono o impediscono la formazione di placche", spiega Bernd Pichler.
Fonte: Universitaet Tübingen (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Florian C Maier, Hans F Wehrl, Andreas M Schmid, Julia G Mannheim, Stefan Wiehr, Chommanad Lerdkrai, Carsten Calaminus, Anke Stahlschmidt, Lan Ye, Michael Burnet, Detlef Stiller, Osama Sabri, Gerald Reischl, Mathias Staufenbiel, Olga Garaschuk, Mathias Jucker, Bernd J Pichler. Longitudinal PET-MRI reveals β-amyloid deposition and rCBF dynamics and connects vascular amyloidosis to quantitative loss of perfusion. Nature Medicine, 2014; DOI: 10.1038/nm.3734
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