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Non è Alzheimer: 2 problemi comuni di memoria di cui non preoccuparsi



Più invecchiamo, più la nostra memoria peggiora, e più ci preoccupiamo della demenza. Magari ce ne preoccupiamo troppo.


Alcune forme comuni di perdita di memoria non sono un'indicazione di Alzheimer, o anche di vecchiaia. Se capisci la differenza, puoi risparmiarti un sacco di ansia.


"Ci sono persone che cercano di venderti l'idea che potresti avere un problema di memoria (come le aziende farmaceutiche o le strutture di assistenza alla memoria) ed è quello che le persone sentono, e vanno subito nel panico", dice Christine Damon, fondatrice di CareSmart. "Ho incontrato una signora di quasi 80 anni che giocava continuamente a bridge, e di tanto in tanto si imbatteva in qualcuno con cui era andata a scuola e non riusciva a ricordare il suo nome, ed era preoccupata. Le ho detto: 'Penso che vada tutto bene' ".


La Damon è riuscita a rassicurare la donna, perché dimenticare i nomi, o fare confusione tra essi, è qualcosa che accade anche a 30 e 40 anni. E questo vale anche per l'esperienza di perdere il ricordo di ciò che ci siamo prefissi di fare quando si passa da una stanza all'altra.

 
Se una di queste cose accade anche a te, rilassati. Non sono segni di demenza. Ricerche recenti hanno dimostrato che sono una cosa più benigna. Sono una conseguenza del modo curioso in cui il nostro cervello a volte maneggia, male, quelle che dovrebbero essere informazioni abbastanza ovvie.

 

Cosa sono venuto a fare qui?

Prendiamo, per esempio, il problema di non ricordare il motivo per cui si è entrati in una stanza. In realtà è abbastanza comune. Gli psicologi lo chiamano «effetto soglia» o «effetto di confine». I ricordi e i luoghi godono di un'associazione particolarmente potente nel cervello umano. Se sei tornato qualche volta nella scuola elementare che avevi frequentato, o nel quartiere dove sei cresciuto, sai di cosa sto parlando. Essere in quel luogo fisico innesca ricordi forti.


Ma i ricercatori dicono che funziona anche al contrario. Quando lasci un luogo fisico, il cervello decide che i pensieri e i ricordi che hai generato lì ora sono meno importanti, e li immagazzina da qualche parte. Questa funzione del cervello è talmente forte che il semplice atto di passare attraverso una porta può innescarlo.


I ricercatori della University of Notre Dame hanno fatto una serie di studi in cui le persone attraversavano una porta per entrare in una stanza diversa, oppure si spostavano della stessa distanza, ma senza lasciare la stanza. Coloro che passavano in un'altra stanza attraverso la porta, avevano difficoltà a ricordare un oggetto della stanza che avevano appena lasciato. Coloro che rimanevano nella stessa stanza non avevano questa difficoltà.


"Entrare o uscire da una porta è un 'confine di evento' per la mente, che separa gli episodi di attività e li archivia", dice il professore di psicologia Gabriel Radvansky, che ha guidato lo studio. "Ricordare la decisione o l'attività che è stata fatta in una stanza diversa è difficile, perché è messa in compartimenti stagni".


Cambiare sia il luogo che l'attività può essere ancora più dannoso per la memoria, secondo quanto hanno scoperto i ricercatori. Se stampi un documento via Wi-Fi con la stampante nell'altra stanza, hai una ragionevole possibilità di ricordarlo quando vai a prendere la stampa. Tuttavia, se leggi un articolo in una rivista in poltrona e poi vai in cucina per uno spuntino, è più probabile che lo scopo del viaggio scivoli via dalla tua mente.

 

Carla, ... scusa, Stefania

Per quanto fastidioso possa essere questo effetto di confine, dimenticare o mescolare i nomi può essere ancora più imbarazzante. Ma succede spesso. E nemmeno questo è foriero di demenza.


E' qualcosa che inizia appena dopo i 30 anni o anche prima. E in particolare chiamare un familiare o un amico intimo con il nome sbagliato, in realtà è solo un sottoprodotto del modo in cui il cervello ordina i nomi e li inserisce in categorie.


Almeno questa è la conclusione dei ricercatori della Duke University, che hanno rivisto cinque studi precedenti che avevano coinvolto più di 1.700 studenti universitari e anziani. I loro risultati, pubblicati la scorsa primavera sulla rivista Memory and Cognition, hanno suggerito che, quando una persona cara ti chiama con il nome sbagliato, non significa che non ti riconosca, o che sia un lapsus freudiano gravido di significato nascosto.


In realtà, secondo i ricercatori, il nostro cervello ha raggiunto il bidone dei nomi che mantiene per un gruppo comune di persone, e ha afferrato quello sbagliato. La maggior parte degli errori di nome coinvolge persone del nostro ambito relazionale. Quindi possiamo chiamare un fratello con il nome di un altro, o un amico con il nome di un altro.


Ma raramente andiamo su categorie diverse quando scivoliamo su un nome. Ad esempio, è improbabile chiamare un collega di lavoro con il nome di un compagno di gioco a golf. Per quanto possa essere innocente, è non poco imbarazzante chiamare la tua nuova ragazza con il nome della tua ex. O quando tua madre insiste a chiamarti con il nome di tua sorella, che comunque era sempre stata la sua preferita.


Ma almeno hai la consolazione di sapere che è un errore comune, e non un segno di Alzheimer.

 

Capire la differenza conta davvero.

Il grande paradosso della demenza è che passiamo troppo tempo a preoccuparci dei problemi di memoria che non sono un segno di Alzheimer, ma quando si presentano i veri segnali, possiamo ignorarli o negarli.


Prenditi il tempo per imparare ciò che è perdita di memoria normale e ragionevolmente innocua, e ciò che non lo è. In questo modo, ti preoccupi di meno, ed sarai preparato meglio ad affrontare un grave problema di memoria, se e quando si verifica.


"Questa informazione è proprio vitale, per permettere alle persone di capire meglio quando essere davvero preoccupati"
, spiega la Damon. "Solo perché il cervello non è più veloce come una volta non significa essere destinati all'Alzheimer o a un'altra demenza irreversibile".

 

 

 


Fonte: Tony Dearing in NewJersey.com (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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