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La casa di riposo arriva «a domicilio»: quali i criteri di accesso al servizio

Si chiama «Rsa aperta» ed è un programma di sanità a chilometro zero. L’obiettivo è consentire alla persona anziana non autosufficiente o affetta da demenza di rimanere nella propria casa, rinviando e, se va bene, evitando del tutto il ricovero in una struttura residenziale.

In pratica funziona così. La Rsa arruola un team che va a domicilio del paziente per fornire una serie di prestazioni, tutte gratuite (perché sono a carico del Servizio sanitario nazionale), di carattere assistenziale, educativo e riabilitativo. Dagli interventi infermieristici a quelli di stimolazione cognitiva, dalla gestione dei disturbi del comportamento e delle problematiche legate a malnutrizione e disfagia alle attività motorie all’igiene personale. In certi casi è prevista la consegna di pasti caldi sette giorni su sette e la pulizia dell’alloggio.

 

Sostegno alla famiglia

Nelle finalità del programma rientrano altresì il supporto psicologico al caregiver e sue occasionali sostituzioni. Infine, l’equipe può offrire consulenze alla famiglia sia per l’adattamento dello spazio domestico alle nuove esigenze del disabile, sia per imparare ad affrontare le sue crisi comportamentali. Residenza aperta significa aprire le porte della struttura per bagni assistiti, attività fisica di mantenimento e prevenzione e attività di animazione. Dando la possibilità di ospitare la persona per ricoveri temporanei in caso di riacutizzazione della malattia o per garantire un periodo di riposo alla famiglia.

 

Welfare di prossimità

Il modello Rsa aperta è nato in Lombardia e al momento è attivo anche in Liguria, Piemonte (ma solo nell’ambito delle dimissioni protette dall’ospedale) e con iniziative fai da te in Veneto. Questo welfare di prossimità integra la risposta sanitaria con quella ai bisogni socio-assistenziali, contribuendo a ridurre le ospedalizzazioni e a migliorare la qualità di vita del malato e, non da ultimo, la sostenibilità della sanità pubblica.

 

I destinatari

Gli interventi sono rivolti a persone con demenza certificata da un centro specialistico accreditato e a tutti gli over 75 non autosufficienti, con un riconoscimento di invalidità civile al cento per cento. In Lombardia è la famiglia dell’utente che deve presentare la domanda direttamente alla Rsa scelta tra quelle accreditate dalla Regione (la lista è sul portale regionale). Una volta ricevuta la richiesta, l’equipe della Rsa fa una valutazione dei bisogni assistenziali e redige un progetto individuale con il pacchetto di prestazioni contemplate.

Attenzione: non è compatibile con la frequenza di altri centri residenziali o semi-residenziali e con la presa in carico continuativa del servizio di assistenza domiciliare integrata (Adi). Può invece essere utilizzata contemporaneamente alle cure palliative domiciliari e all’offerta di singole prestazioni occasionali in Adi (prelievi del sangue e cambio catetere, per esempio). In Liguria invece spetta al medico di medicina generale e al servizio di cure domiciliari (o palliative) inoltrare la richiesta all’Asl per l’attivazione della Rsa aperta, che in questo caso sostituisce l’Adi.

 

Lombardia

Quando la persona amata si ammala di Alzheimer, inizia a comportarsi in modo aggressivo, a scordarsi i nomi, a perdere la sua autonomia, la cosa più difficile per chi le sta accanto è accettare la malattia.


Stefania Pozzati, presidente della commissione anziani di Uneba Lombardia, l’organizzazione di categoria del settore sociosanitario e assistenziale, direttrice sociale della Fondazione Sacra Famiglia, che include tre Rsa in provincia di Milano e due in provincia di Lecco con iniziative di residenzialità aperta, commenta:

«Si fa fatica a chiedere aiuto, spesso per vergogna e perché in tanti non conoscono l’esistenza di questo servizio» «In questo momento abbiamo 110 utenti a domicilio, di cui il 70% con demenza. In base alle necessità mettiamo a disposizione l’educatore per l’allenamento cognitivo, il terapista occupazionale per aiutare il paziente a mantenere le abilità quotidiane, come apparecchiare la tavola, sistemare la spesa, vestirsi. Addestriamo il caregiver all’igiene personale dell’assistito e consigliamo la famiglia su come rendere più funzionale la casa, eliminando tappeti scivolosi e gli arredi che ostacolano, attrezzando il bagno, installando maniglioni corrimano e montascale».


Elvira Schiavina, responsabile della promozione e innovazione delle reti dell’Ats di Bergamo, spiega:

«L’Ats non fa da tramite, il nostro compito è rendicontare le spese alla Regione e verificare i requisiti della struttura e ogni tre mesi la compatibilità delle attività rese dagli enti gestori. Ogni utente ha diritto a un voucher di massimo 4mila euro l’anno, pari a 300 euro di prestazioni al mese». La paura del Covid ha frenato le richieste: «A Bergamo su 65 Rsa 37 offrono il servizio a domicilio ma nel 2020 gli utenti sono stati 2.800, mille in meno rispetto al 2019».

 

Liguria e Piemonte

Il modello delle residenze aperte è stato adottato nel 2019 in via sperimentale nell’area delle valli dell’Antola e del Tigullio. Per evitare lo spopolamento di questi luoghi e colmare l’assenza di un presidio Asl.

«La domanda è bassa per giustificare l’istituzione di una struttura sanitaria locale — chiarisce Isabella Roba, infermiera e referente delle aree interne per l’azienda regionale sanitaria —. Il distretto della Asl incarica pertanto la Rsa di fornire cure e assistenza domiciliare, secondo tre livelli di intensità e un progetto individuale».


Dopo una sperimentazione tra il 2016 e il 2018, la Giunta regionale ha rispolverato la misura con un provvedimento del 9 aprile. A poter usufruire di personale di Rsa a domicilio sono gli over 65 non autosufficienti, ma anche chi a prescindere dall’età ha bisogni sanitari e assistenziali simili, nella fase post ospedaliera fino a 30 giorni, prorogabili per altri 30.

 

Veneto e Friuli Venezia Giulia

«Mille ore di attività domiciliare alla settimana per 250 utenti, 400 pasti al giorno, 800 prelievi al mese e 23 fisioterapie settimanali».

Sono i numeri della residenzialità aperta della Fondazione Pia Opera Ciccarelli snocciolati dalla direttrice generale Elisabetta Elio. Cinque residenze della onlus, tutte nel veronese, sono tra quelle che in Veneto hanno messo in piedi il servizio tramite bandi comunali.

«È prevista una quota di compartecipazione del cittadino in base all’Isee - precisa la Elio -. Assistiamo anziani e malati fragili, li aiutiamo anche a cucinare, a fare la spesa, a pulire casa, se necessario li accompagniamo dalla parrucchiera o al bar per incontrare gli amici».


Un cohausing per anziani, parzialmente o totalmente non autosufficienti. Si chiama «Abitare possibile» ed è l’alternativa alle strutture protette della Regione Friuli Venezia Giulia. Una soluzione abitativa integrata con i servizi socioassistenziali e sociosanitari territoriali.

«L’alloggio è condiviso con altre persone, può essere la casa di una di loro o un edificio del Comune o di un’associazione. Si paga un affitto e si riceve assistenza personalizzata h24», spiega Miriam Totis, a capo del servizio programmazione e sviluppo dei servizi sociali e dell’integrazione e assistenza sociosanitaria della Regione.


Le prime sperimentazioni sono partite alla fine del 2017. La Regione sostiene i progetti personalizzati attraverso i budget di salute, forme contributive su misura al fine di adeguare servizi e interventi agli effettivi bisogni. Il budget personale ha una componente di derivazione sanitaria (che rientra nei Lea) e una di rilevanza sociale finanziata attraverso il fondo Autonomia possibile, per persone non autosufficienti.

 

 

 


Fonte: Chiara Daina in Corriere.it

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