L'uomo si lamentava dei problemi di memoria, ma sembrava perfettamente normale. Nessun specialista che l'ha visitato aveva rilevato un declino. "Insisteva sul fatto che le cose stavano cambiando, ma superava brillantemente tutti i nostri test", dice Rebecca Amariglio, neuropsicologo del Brigham and Women Hospital di Boston.
Ma circa sette anni dopo, ha iniziato a mostrare sintomi di demenza. Il Dr. Amariglio ora crede che lui avesse riconosciuto un cambiamento cognitivo molto tenue, "era l'unico che poteva identificarlo".
I pazienti di questo tipo sono da tempo chiamati "sani preoccupati", ha detto Phelps Creighton, responsabile operativo del settore demenze dell'invecchiamento al National Institute on Aging. "Le persone si lamentano, e noi finora non pensavamo che fosse il caso di tenerne conto". Ma ora, gli scienziati stanno scoprendo che alcune persone con tali lagnanze potrebbero in realtà mandare i primi segnali dell'Alzheimer.
Gli studi presentati Mercoledì scorso alla conferenza dell'Alzheimer's Association di Boston hanno dimostrato che le persone con alcuni tipi di problemi cognitivi hanno più probabilità di avere la patologia di Alzheimer nel cervello, e di sviluppare la demenza più tardi. La ricerca presentata dal Dott. Amariglio, per esempio, ha trovato che le persone con maggiori preoccupazioni per la memoria, e per la propria capacità organizzativa, avevano più probabilità di avere l'amiloide, una proteina chiave legata all'Alzheimer nel cervello.
E, con un cambio significativo evidenziato nel corso della conferenza, i principali ricercatori di Alzheimer stanno identificando una nuova categoria chiamata "declino cognitivo soggettivo", che è la sensazione propria delle persone che la loro memoria e capacità di pensare stiano scemando, prima che lo notino gli altri. "L'intero settore ora si sta muovendo in questa direzione, e dice: 'Ehi, forse c'è qualcosa di vero, e forse dovremmo prestare attenzione a queste persone' ", ha detto il dottor Ronald C. Petersen, presidente del comitato consultivo del Progetto Nazionale di Alzheimer del governo americano.
Il Dr. Petersen, direttore del Centro Alzheimer della Mayo Clinic, ha detto che i risultati preliminari di uno studio della Mayo su anziani sani in Minnesota suggerisce qualcosa di simile. "Coloro che avevano avuto preoccupazioni sulla loro memoria di fatto avevano più probabilità" di sviluppare in seguito un decadimento cognitivo lieve, una fase precoce di demenza, ha detto. E i partecipanti allo studio con problemi di memoria avevano il 56 per cento in più di probabilità di ricevere una diagnosi di tale deterioramento, anche quando i risultati sono stati aggiustati nei fattori come l'istruzione, il rischio genetico e i problemi psichiatrici, come ansia e depressione. "Queste persone sentono qualcosa, e ci sono alcuni segnali biologici che sono correlati", ha detto il dottor Petersen. "Penso che sia vero".
Esperti sottolineano che molte persone con queste lagnanze non svilupperanno la demenza. Qualche declino della memoria riflette l'invecchiamento normale, dicono, e alcune preoccupazioni riflettono una angoscia psicologica. Le persone che dimenticano ciò che volevano prendere in cucina, oppure i nomi delle persone relativamente poco familiari, stanno probabilmente invecchiando normalmente. Le persone che dimenticano importanti dettagli degli ultimi eventi, si perdono in luoghi familiari o perdono la trama di un libro o di un film potrebbero non sperimentare un invecchiamento normale, soprattutto se hanno più problemi di altri coetanei.
E molto rimane da capire sulle preoccupazioni soggettive. In alcuni studi, come quello del dottor Amariglio, le persone molto istruite notano i cambiamenti più facilmente, ma in altri studi, succede alle persone meno istruite. Alcuni studi suggeriscono che le persone che si preoccupano di più dei deficit di memoria hanno più rischio di demenza, ma non è chiaro se la preoccupazione riflette i cambiamenti che avvertono o se il preoccuparsi in sé aumenta il rischio. Le persone con storie familiari di demenza potrebbero segnalare i problemi semplicemente perché conoscono la malattia e la sua componente genetica. E, anche se uno studio presentato Mercoledì ha trovato lievi correlazioni tra le preoccupazioni soggettive e la mutazione genetica a rischio più alto (l'ApoE4), questo rapporto rimane poco chiaro.
Gli esperti non stanno ancora suggerendo ai medici di testare regolarmente le persone per il "declino cognitivo soggettivo", perché è necessaria molta più ricerca e finora non c'è alcun trattamento efficace per la demenza. Il Dr. Richard Caselli, professore di neurologia alla Mayo Clinic in Arizona, ha detto che, quando i pazienti citano problemi cognitivi, lui esclude "cose reversibili" ma non raccomanda i test per l'Alzheimer, perché "se facciamo una scansione e diciamo 'Hey, abbiamo trovato un po' di amiloide nel cervello', non c'è purtroppo niente da fare".
Ma l'individuazione soggettiva è valida ora per la sperimentazione clinica, dicono gli esperti, perché può aiutare a individuare le persone con un rischio più alto di demenza, per determinare meglio se i trattamenti possono ritardare o prevenire l'Alzheimer.
Studi importanti come l'Alzheimer's Disease Neuroimaging Initiative stanno aggiungendo categorie soggettive di lamentele sulla memoria. Allo stesso modo sarà importante l'esperimento per vedere se un farmaco anti-amiloide può impedire la demenza in persone cognitivamente normali con amiloide nel cervello. "Le persone sono interessate a questa preoccupazione soggettiva da lungo tempo, ma finora non avevamo modo di dire se è normale", ha detto il Dott. Reisa Sperling, che gestisce il programma Alzheimer al Brigham and Women's e sta aiutando a guidare il prossimo studio anti-amiloide.
Non molto tempo fa, molti esperti consideravano non misurabili le preoccupazioni soggettive o correlate alla depressione o all'ansia. Frank Jessen, ricercatore del Centro tedesco per le Malattie Neurodegenerative, ha detto che il suo primo studio sull'argomento, presentato alle riviste intorno al 2004, "è stato rifiutato ovunque", ma nel 2012, lo stesso studio con più anni di dati è stato accettato da Neurology, una delle riviste più importanti. In Novembre è stato formato un gruppo di lavoro di esperti, diretto dal Dr. Jessen. Il nome "declino cognitivo soggettivo" è stato scelto dopo qualche discussione, perchè alcuni esperti preferiscono altri termini.
Il Dr. Jessen ha detto che in malattie dall'artrite al Parkinson, le persone spesso sentono che qualcosa non va prima che altri lo notino. Nella maggior parte delle fasi della demenza, familiari e amici vedono i deficit, ma la malattia ha di solito rubato la capacità della persona di riconoscerli. Ma nella fase soggettiva, gli studi suggeriscono che i familiari possono mancare di notare i problemi, la persona può sentire che la sua mente lavora di più, ma funziona ancora bene.
Uno dei pazienti del dottor Caselli, Roger Siegel, di 84 anni, ha notato problemi per almeno cinque anni, e ha detto che ora ricorda circa il 30 per cento di quello che lui vorrebbe, e ha difficoltà a concentrarsi. "Mi faccio una doccia e mi chiedo se mi sono lavato quella gamba", ha detto. Nei libri, "molte volte non ricordo chi è chi". Recentemente, ha comprato sei pacchetti di ripieno per torta invece di uno, "perché ho chiesto a qualcuno dove potevo trovarla e la risposta è stata nel Corridoio 6, così ho scritto 6, ma quando sono arrivato al corridoio, ho preso sei unità della cosa". Né la moglie, né il dottor Caselli percepivano queste difficoltà. "So che sto perdendo la mente", diceva il signor Siegel, "ma secondo Caselli, sto bene". Il dottor Caselli ha detto che il signor Siegel "diceva da anni che la sua memoria era in declino", ed ha avuto la diagnosi di deterioramento cognitivo lieve in un'altra clinica tre anni fa, "sulla base sulle sue lamentele soggettive, quando non aveva evidenza di declino, e gliel'ho detto". Ma recenti test cognitivi più sofisticati hanno dimostrato che aveva una "lieve flessione sui suoi test, e quindi potrebbe essere eventualmente in una fase molto precoce di una sindrome degenerativa che progredisce molto lentamente", ha detto il dottor Caselli.
Il gruppo di lavoro si propone di sviluppare test cognitivi soggettivi standard, così quando saranno disponibili trattamenti medici, si potranno eventualmente usare come un modo "economico e non invasivo" per aiutare ad identificare le persone con rischio maggiore, ha detto il dottor Petersen. "Non possiamo fare la risonanza magnetica e la scansione a tutti", ha detto. I test attuali vanno da una valutazione di otto pagine, come nella ricerca del Dott. Amariglio, a una domanda singola inclusa in un'ampio studio sulla demenza dell'Università del Kentucky. Ma Richard Kryscio, biostatistico e leader dello studio, ha detto che quei cambiamenti della memoria riferiti dall'ultima visita avevano una probabilità 2,8 volte maggiore di sviluppare decadimento cognitivo lieve o demenza anni più avanti, e l'autopsia dei partecipanti che sono morti hanno trovato più placche e grovigli di Alzheimer nelle persone con preoccupazioni cognitive soggettive.
Gli esperti dicono che l'obiettivo è un test che identifichi quali preoccupazioni soggettive sono potenzialmente preoccupanti, dal momento che non tutte lo sono. Sharon Atkinson-Mallory, 70 anni, di Belmont nel Massachusetts, partecipante allo studio del Dott. Amariglio su persone senza sintomi, ha detto che aveva problemi occasionali ad abbinare nome e volto e a ricordare perché entrava in una stanza. Ma la signora Atkinson-Mallory, psicoterapeuta, mantiene la pratica, si esercita, persegue un hobby di genealogia, e considera i suoi problemi simili a quelli di altri della sua età.
Carol Miller, 61 anni, di Rochester in Minnesota, che partecipa allo studio della Mayo Clinic su adulti cognitivamente sani, sembra più preoccupata. Infermiere diplomata, ritirata dopo essere stata licenziata pochi anni fa, ha dimenticato il vocabolario cardiovascolare e neurologico che una volta avrebbe "ricordato molto facilmente", ha detto. "Io non mi fido di me stessa come infermiere professionale sicura perché non ho più la conoscenza". Quando stava acquistando il ripieno di mirtillo per la torta di compleanno di sua figlia, è arrivata due volte alla cassa senza averlo preso. E per due volte ha lasciato accesa la stufa. "Avrei potuto bruciare la casa", ha detto. "E' stato spaventoso, tipo 'Wow, qual è il problema?' ". Eppure, ha detto, "finora mi hanno detto che sono normale".
Pubblicato da Pam Belluck/NYT in Herald Tribune (> English version) - Traduzione di Franco Pellizzari.
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