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La paura dell'Alzheimer induce a cambiare vita, per ritardarlo

Quando Jamie Tyrone ha scoperto di essere portatrice di un gene che le dà una probabilità del 91 per cento di sviluppare l'Alzheimer a partire dai 65 anni, è sprofondata in una depressione così intensa che a volte avrebbe voluto porre fine alla sua vita.


Poi ha deciso di reagire. Ha fatto esercizio fisico. Ha cambiato la dieta. Ha iniziato a prendere integratori alimentari, compresi olio di pesce, vitamina D, vitamina B12, curcumina, curcuma e un antiossidante chiamato CoQ10. Ha iniziato a meditare e a fare dei cruciverba rompicapo.


Si è iscritta a una clinica il cui regime è modellato da uno studio medico della University of California di Los Angeles in base ai cambiamenti dello stile di vita che possono invertire la perdita di memoria nelle persone con sintomi di demenza. Ha fondato il gruppo no-profit Beat Alzheimer's By Embracing Science (Battere l'Alzheimer Abbracciando la Scienza), per raccogliere fondi e sensibilizzare sulla demenza.


"Ho trovato la mia voce", ha detto Tyrone, 54 anni, infermiera professionale che vive a San Diego. Forse l'unica cosa brutta come l'Alzheimer è la paura diffusa tra il numero crescente di anziani americani che sono a rischio per questa malattia neurodegenerativa, che ruba la memoria e la capacità cognitiva ed è la principale causa di demenza. Un sondaggio del 2011 per la Fondazione MetLife ha rilevato che l'unica malattia più temuta dell'Alzheimer era il cancro. Un sondaggio della Harris condotto in aprile per Aegis Living, che si occupa di vita assistita e di assistenza all'Alzheimer, ha scoperto che le preoccupazioni attraversano tutte le generazioni: oltre il 75 per cento dei circa sessantenni si preoccupano di ciò che accadrà alla loro memoria con l'età.


Alcuni, come Tyrone, temono l'Alzheimer, perché i test genetici indicano che i rischi sono più elevati rispetto a quelli degli altri. Molti di più temono l'Azheimer perché hanno visto che cosa può fare questa malattia incurabile. Hanno visto un genitore, un nonno o un altro parente slittare nella penombra della vita attraverso la costante erosione della memoria, della cognizione e dell'identità, col progredire della malattia. Ora si preoccupano ogni volta che smarriscono qualcosa o dimenticano un nome, e giurano che faranno tutto il possibile per prevenire o ritardare l'insorgenza.


"E' il mio incubo: la perdita della mente, l'incapacità di riconoscere le persone che mi sono care, l'incapacità di pensare", ha detto Charles Goldman, 71 anni, avvocato semi-pensionato che vive a Silver Spring nel Maryland. Goldman, la cui madre aveva l'Alzheimer, ha detto che sta vigilando per capire eventuali vuoti nella propria memoria, ma egli fa anche tutto quello che può ridurre il suo rischio di sviluppare la demenza. Lavora presso un centro ricreativo della Montgomery County. Legge come un pazzo, sia narrativa che saggistica. Segue le notizie sui possibili nuovi trattamenti o studi di ricerca. Fa i cruciverba di ogni giornale domenicale su cui può mettere le mani. E' ghiotto di mandorle. "Posso accettare l'idea che non sarò in grado di partecipare a gare di corsa di 10 km. Non posso accettare di non essere in grado di capire ciò che dicono le persone o riconoscerle".


Anche Joanne Omang, ex corrispondente del Washington Post, ha visto sua madre morire di Alzheimer e ha visto come la demenza ha trasformato lei e altri: "Le persone diventano come bambini in molti modi. Rubano cibo. Combattono per fare il bagno. Diventano violenti in molti modi". La Omang ha detto che il modo in cui sua madre sembrava scomparire davanti ai suoi occhi è diverso dalla morte, e per certi versi peggiore. Come per altri, ciò è stato sufficiente per spingerla all'azione. La Omang non si considera ansiosa, ma "quando semplicemente non riesco a ricordare il nome di qualcuno o qualcosa, anche se so di saperlo, mi chiedo: «Questo è un segno». Sto tenendo il conto".


Perciò la Omang mangia mirtilli ogni giorno, dopo aver letto studi che suggeriscono che quel frutto è benefico per la salute del cervello. Va in palestra quasi ogni giorno per allenamento di forza e aerobico. Fa cruciverba e tiene vive le competenze di spagnolo che ha acquisito in America Latina come corrispondente estero. E ha detto che se lei dovesse sviluppare la demenza, vorrebbe andare in uno stato che permette l'eutanasia, in modo da poter morire in pace. "Non voglio essere un peso per nessuno con questo", ha detto la Omang. "Non c'è niente di peggio di questa malattia".

 

Comprendere i rischi

"La cattiva notizia è che crediamo che l'Alzheimer colpisca la metà di tutti gli over-85. Quindi, siamo tutti sulla stessa barca", ha detto Eric M. Reiman, direttore esecutivo del Banner Alzheimer’s Institute di Phoenix. Ma i rischi possono essere sopravvalutati, in particolare per le forme di demenza ad esordio precoce. A meno che non si abbia una predisposizione genetica, l'Alzheimer colpisce la maggior parte delle persone dopo i 65 anni, secondo l'Alzheimer's Association.


Una storia di alta pressione sanguigna, diabete, fumo, obesità o problemi cardiovascolari aumenta i propri rischi di sviluppare una demenza. Ma in sé l'invecchiamento è il fattore di rischio più grande: più a lungo si vive, più è probabile che insorga l'Alzheimer o un'altra forma di demenza.


Dallas Anderson, amministratore del programma di studi sulla popolazione per l'Alzheimer e la demenza del National Institute on Aging, dice che una donna sana di 65 anni ha circa una probabilità del 17 per cento di sviluppare l'Alzheimer. E del 9 se è un uomo, in parte perché l'aspettativa di vita maschile è più breve, ha detto Anderson.


Rischi più alti di Alzheimer vengono anche dal portare alcuni geni. Il rischio documentato più chiaramente deriva dall'avere nel DNA l'apolipoproteina E-e4, una variante del gene che codifica molecole di trasporto del colesterolo attraverso il flusso sanguigno. Questo gene aumenta il rischio di Alzheimer ad insorgenza tardiva del 10 per cento per gli over-65, e del 50 per cento per quelli oltre gli 85. Avere due di questi geni - uno da ogni genitore - come è accaduto con Tyrone, aumenta i rischi ancora di più, sebbene anche allora non sia affatto certo che la persona svilupperà la demenza.


L'Alzheimer ad esordio precoce può colpire tra i 30 e i 60 anni, ma è anche la forma più rara della malattia. Solo circa il 5 per cento di tutti i casi di Alzheimer comporta l'insorgenza precoce. La maggior parte di questi sono causati da un gene mutato, ereditato da un genitore che colpisce i cromosomi 21, 14 e 1, ciascuno dei quali può indurre la formazioni anomala di proteine. Le probabilità di ereditare il gene da un genitore sono 50-50. Se la persona eredita la mutazione genetica per l'Alzheimer familiare, è quasi certo che svilupperà la demenza alla stessa età in cui il genitore ha sviluppato la malattia.


Ma, visto che gli scienziati gettano più luce sulle possibili cause e rischi, un certo numero di studi hanno indicato le misure possibili, se non del tutto provate, che possono almeno posticipare la comparsa dei sintomi. "Abbiamo dati provenienti da studi epidemiologici e alcuni studi biologici che suggeriscono, ma non dimostrano, che alcuni fattori possono ridurre il rischio di Alzheimer", ha detto Reiman.


Uno di questi studi è stato condotto al Mary S. Easton Center for Alzheimer’s Disease Research dell'UCLA e al Buck Institute for Research on Aging. Lo studio, scritto da Dale E. Bredesen e pubblicato lo scorso anno sulla rivista on-line Aging, ha scoperto che un programma terapeutico su 36 punti ha invertito i sintomi di perdita di memoria tra i partecipanti.


Il loro regime attentamente prescritto comprendeva cambiamenti dietetici, integratori vitaminici, stimolazione con giochi mentali online, esercizio fisico, sonno ottimizzato e alcuni farmaci. I ricercatori hanno ammesso che il loro campione di studio era piccolo, ma hanno anche suggerito che i risultati erano degni di ulteriori approfondimenti.


Ma Anderson dice che bisogna essere realistici. "Qualunque cosa si faccia - che si tratti di dieta o esercizio fisico o di rimanere socialmente impegnati o cognitivamente attivi - quei passaggi non garantiscono che l'individuo sarà risparmiato", ha detto Anderson. "Penso che la cosa migliore che possiamo sperare in questo momento è di rinviare l'insorgenza. Non è prevenzione - è rinvio. E non è da trascurare. Se qualcuno può ottenere 5 anni extra di vita indipendente, sarebbe grande". Dopo tutto, ha detto, molte delle possibili strategie per ridurre il rischio di Alzheimer non sono dissimili dal brodino: "Magari  non aiuta. Ma non può far male".

 

'Sono entrato in un buco nero'

La Tyrone ha scoperto la sua predisposizione genetica per l'Alzheimer per caso. Si è sottoposta a test genetici dopo aver notato problemi con l'equilibrio e preoccupandosi di poter avere la sclerosi multipla. Invece, ha scoperto che lei aveva probabilità quasi certe di sviluppare l'Alzheimer, perché aveva ereditato un gene ApoE4 da ciascun genitore.


All'improvviso tutto ha avuto un senso, perché l'Alzheimer aveva colpito la famiglia di Tyrone diverse volte. Dalla parte di sua madre, la bisnonna, la nonna e due prozii avevano sofferto di demenza; così come suo padre, la cui diagnosi di Alzheimer è stata confermata dall'autopsia. "Emotivamente, sono entrata in un buco nero. Ho paura, sono terrorizzata, sono sola, sono isolata", ricorda come sensazione di quel momento. Non riusciva a divulgare i risultati oltre la sua famiglia immediata, per paura che sarebbe stata discriminata dai datori di lavoro o dalle compagnie di assicurazione. Le credenze religiose le impedivano di togliersi la vita, ha detto.


Poi ha rivisto la sua vita, compresa la dieta e le abitudini. Ha iniziato la dieta Paleo - che è modellata su quello si pensa mangiassero gli uomini preistorici - e ha iniziato a lavorare con David Clayton, un medico il cui Total Health Center di San Diego aiuta le persone a supervisionare un regime di dieta, esercizio fisico intenso e stimolazione cerebrale. Si è trasformata in un «topo da laboratorio», come si definisce. Si è iscritta cinque anni fa ad uno studio del Banner che richiede due giorni pieni di test a Phoenix, comprese scansioni cerebrali e test cognitivi e di memoria, seguite da visite di controllo ogni due anni. Ha inoltre deciso di donare il suo cervello alla scienza dopo la morte.


La Tyrone ha detto che crede che il suo lavoro potrebbe ritardare l'insorgenza dell'Alzheimer di qualche anno, ma spera di averne almeno altri 10 di sani. Anche se il regime non le ha dato completa tranquillità, ha detto, almeno le ha dato un rinnovato senso di scopo. "Non sono più spaventata come prima", ha detto. "Magari non si troverà una cura nella mia generazione, ma credo che la troveremo per la prossima".

 

 

 


Fonte: Fredrick Kunkle in Washington Post (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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