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Come il COVID-19 aumenta il rischio di perdita di memoria e declino cognitivo

microglia cellsLe microglia sono cellule immunitarie specializzate del cervello. Nella buona salute, usano le braccia per testare l'ambiente. Durante una risposta immunitaria, cambiano forma per inghiottire gli agenti patogeni, ma possono anche danneggiare i neuroni e le loro connessioni. Fonte: Juan Gaertner / Science Photo Library / Getty Images

Di tutti i modi spaventosi con cui il virus SARS-CoV-2 colpisce il corpo, uno dei più insidiosi è il suo effetto sul cervello. Ora è chiaro che molti pazienti colpiti da COVID-19 presentano sintomi neurologici, dalla perdita dell'olfatto, al delirium, ad un aumento del rischio di ictus. Ci sono conseguenze anche più durature per il cervello, come l'encefalomielite mialgica / sindrome da stanchezza cronica e la sindrome di Guillain-Barre.


Questi effetti possono essere causati da un'infezione virale diretta del tessuto cerebrale. Ma crescono le evidenze che ulteriori azioni indirette innescate dall'infezione del virus alle cellule epiteliali e al sistema cardiovascolare, o attraverso il sistema immunitario e l'infiammazione, contribuiscono ai cambiamenti neurologici duraturi dopo il COVID-19.


Sono neuroscienziata specializzata sulla formazione dei ricordi, sul ruolo delle cellule immunitarie nel cervello e sul modo in cui la memoria è rotta permanentemente dopo la malattia e l'attivazione immunitaria. Nell'esaminare la letteratura scientifica emergente, la mia domanda è: ci sarà in futuro un'ondata correlata al COVID-19 di deficit di memoria, di declino cognitivo e di casi di demenza?

 

Il sistema immunitario e il cervello

Molti dei sintomi che attribuiamo ad un'infezione sono invero dovuti alle risposte protettive del sistema immunitario. Un naso che cola durante un raffreddore non è un effetto diretto del virus, ma il risultato della risposta del sistema immunitario al virus del raffreddore. Questo vale anche in caso di sensazione di malessere. Il malessere generale, la stanchezza, la febbre e il ritiro sociale sono causati dall'attivazione di cellule specializzate del sistema immunitario nel cervello, chiamate cellule neuroimmunitarie, e da segnali nel cervello.


Questi cambiamenti nel cervello e nel comportamento, anche se fastidiosi per la vita di tutti i giorni, sono altamente adattabili e immensamente utili. Riposando, consenti di fare il suo dovere alla risposta immunitaria, così affamata di energia. La febbre rende il corpo meno ospitale per i virus e aumenta l'efficienza del sistema immunitario. Il ritiro sociale può contribuire a ridurre la diffusione del virus.


Oltre a modificare il comportamento e regolare le risposte fisiologiche durante la malattia, il sistema immunitario specializzato del cervello ha anche un certo numero di altri ruoli. Di recente è diventato chiaro che le cellule neuroimmunitarie che si trovano nelle connessioni (sinapsi) tra le cellule cerebrali, che forniscono energia e segnali infiammatori minuti, sono essenziali per la normale formazione della memoria. Purtroppo, questo fornisce anche un modo alle malattie come il COVID-19 di causare sia sintomi neurologici acuti che problemi di lunga durata nel cervello.


Durante la malattia e l'infiammazione, si attivano le cellule immunitarie specializzate del cervello, che vomitano grandi quantità di segnali infiammatori, e modificano il modo in cui comunicano con i neuroni. Per un tipo di cellule (microglia) questo significa cambiare forma, ritirare le braccia affusolate e diventare cellule gonfie e mobili che avvolgono i potenziali patogeni o i detriti cellulari nel loro percorso. Ma, così facendo, distruggono anche e mangiano le connessioni neuronali che sono così importanti per la conservazione della memoria.


Un altro tipo di cellula neuroimmunitaria chiamata astrocite, durante l'attivazione evocata dalla malattia si avvolge di solito attorno alla connessione tra i neuroni e scarica i segnali infiammatori su queste giunzioni, impedendo efficacemente i cambiamenti nelle connessioni tra i neuroni che immagazzinano i ricordi.


Poiché il COVID-19 comporta un massiccio rilascio di segnali infiammatori, l'impatto di questa malattia sulla memoria è particolarmente interessante. Questo perché ci sono sia effetti a breve termine sulla cognizione (delirium), sia cambiamenti duraturi potenziali nella memoria, nell'attenzione e nella cognizione. C'è anche un aumento del rischio di declino cognitivo e demenza, compreso il morbo di Alzheimer (MA), durante l'invecchiamento.

 

L'infiammazione come esercita effetti duraturi sulla memoria?

Se l'attivazione delle cellule neuroimmunitarie è limitata alla durata della malattia, allora come può l'infiammazione causare deficit duraturi alla memoria o aumentare il rischio di declino cognitivo?


Sia il cervello che il sistema immunitario si sono evoluti specificamente per cambiare in conseguenza dell'esperienza, per neutralizzare i pericoli e massimizzare la sopravvivenza. Nel cervello, i cambiamenti nelle connessioni tra i neuroni ci permettono di immagazzinare ricordi e cambiare rapidamente il comportamento per fuggire alle minacce, o per cercare cibo e opportunità sociali. Il sistema immunitario si è evoluto per ottimizzare la risposta infiammatoria e la produzione di anticorpi contro i patogeni incontrati in precedenza.


Però i cambiamenti di lunga durata nel cervello dopo la malattia sono strettamente collegati anche ad un aumento del rischio di declino cognitivo legato all'età e di MA. Le azioni di disturbo e distruttive delle cellule neuroimmunitarie e della segnalazione infiammatoria possono deteriorare permanentemente la memoria. Questo può avvenire attraverso danni permanenti alle connessioni neuronali o ai neuroni stessi, e anche attraverso cambiamenti più sottili nel modo in cui funzionano i neuroni.


La connessione potenziale tra COVID-19 e effetti persistenti sulla memoria sono basati sulle osservazioni di altre malattie. Per esempio, molti pazienti che guariscono da un attacco di cuore o da una operazione chirurgica di bypass riferiscono deficit cognitivi duraturi che si esasperano nell'invecchiamento. Un'altra grave malattia con complicazioni cognitive simili è la sepsi, una disfunzione multiorgano innescata da infiammazione.


Nei modelli animali di queste malattie, vediamo anche disturbi della memoria, e cambiamenti nella funzione neuroimmunitaria e neuronale, che persistono per settimane e mesi dopo la malattia. Anche l'infiammazione lieve, che include lo stress cronico, è ormai riconosciuta come fattore di rischio per la demenza e il declino cognitivo durante l'invecchiamento.


Nel mio laboratorio, io e i miei colleghi abbiamo osservato che, anche in assenza di infezione batterica o virale, l'innesco della segnalazione infiammatoria su un breve periodo, provoca cambiamenti di lunga durata nella funzione neuronale, nelle regioni cerebrali legate alla memoria, e al suo deterioramento.

 

Il COVID-19 aumenta il rischio di declino cognitivo?

Passeranno molti anni prima di capire se l'infezione COVID-19 provoca un aumento del rischio di declino cognitivo o di MA. Ma questo rischio può essere ridotto o attenuato attraverso la prevenzione e il trattamento del COVID-19.


Sia prevenzione che trattamento si basano sulla capacità di diminuire la gravità e la durata della malattia e l'infiammazione. Curiosamente, molta nuova ricerca suggerisce che i vaccini comuni, compresi quelli contro l'influenza e la polmonite, possono ridurre il rischio di MA.


Inoltre, diversi trattamenti emergenti per il COVID-19 sono farmaci che sopprimono l'attivazione immunitaria eccessiva e lo stato infiammatorio. Potenzialmente, questi trattamenti potranno anche ridurre l'impatto dell'infiammazione sul cervello, e diminuire l'impatto sulla salute del cervello a lungo termine.


Il COVID-19 continuerà a impattare sulla salute e sul benessere a lungo dopo che la pandemia sarà finita. Per questo sarà fondamentale continuare a valutare gli effetti della malattia COVID-19 in termini di vulnerabilità al declino cognitivo e, successivamente, alle demenze.


In tal modo, i ricercatori potranno probabilmente acquisire nuove informazioni cruciali sul ruolo dell'infiammazione nel declino cognitivo correlato all'età in tutto il ciclo di vita. Ciò aiuterà a sviluppare le strategie più efficaci per prevenire e trattare queste malattie debilitanti.

 

 

 


Fonte: Natalie C. Tronson, professoressa associata di psicologia, Università del Michigan

Pubblicato su The Conversation (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.

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Liberatoria: Questo articolo non propone terapie o diete; per qualsiasi modifica della propria cura o regime alimentare si consiglia di rivolgersi a un medico o dietologo. Il contenuto non rappresenta necessariamente l'opinione dell'Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X ma solo quella dell'autore citato come "Fonte". I siti terzi raggiungibili da eventuali collegamenti contenuti nell'articolo e/o dagli annunci pubblicitari sono completamente estranei all'Associazione, il loro accesso e uso è a discrezione dell'utente. Liberatoria completa qui.

Nota: L'articolo potrebbe riferire risultati di ricerche mediche, psicologiche, scientifiche o sportive che riflettono lo stato delle conoscenze raggiunte fino alla data della loro pubblicazione.


 

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