Un grande studio multi-coorte, pubblicato su BMJ, suggerisce una possibile spiegazione del legame tra stimolazione cognitiva (mentale) e livelli più bassi di determinate proteine che possono impedire alle cellule cerebrali di formare nuove connessioni (processi chiamati assonogenesi e sinaptogenesi).
Spiegando la ricerca, il primo autore prof. Mika Kivimaki (University College London) ha dichiarato:
"Si presume che la stimolazione cognitiva prevenga o posticipi l'inizio della demenza, ma i risultati dell'esperimento sono diversi, e studi più recenti a lungo termine hanno suggerito che l'attività cognitiva del tempo libero non riduce il rischio di demenza. L'esposizione alla stimolazione cognitiva al lavoro dura in genere molto più a lungo degli hobby cognitivamente stimolanti, ma gli studi basati sul lavoro non sono riusciti a produrre prove convincenti dei benefici".
Allora un team internazionale di ricercatori si è proposto di esaminare l'associazione tra lavori cognitivamente stimolanti e il successivo rischio di demenza, e di identificare i percorsi proteici di questa associazione. I ricercatori hanno rivisto 7 grandi studi di coorte dal Regno Unito, dall'Europa e dagli Stati Uniti, per valutare i collegamenti tra i fattori del lavoro e le malattie croniche, le disabilità e la mortalità.
Sono state esaminate tre associazioni: stimolazione cognitiva e rischi di demenza in 107.896 partecipanti (42% uomini; età media 45 anni) di 7 studi; stimolazione cognitiva e proteine in un campione casuale di 2.261 partecipanti a uno studio; e proteine e rischio di demenza in 13.656 partecipanti a due studi.
La stimolazione cognitiva sul lavoro è stata misurata all'inizio dello studio e i partecipanti sono stati monitorati per una media di 17 anni per vedere se sviluppavano la demenza. I lavori 'attivi' cognitivamente stimolanti comprendono compiti impegnativi e di alta responsabilità (chiamato anche controllo del lavoro), mentre i lavori 'passivi' non stimolanti sono quelli con basse esigenze e mancanza di controllo del lavoro.
Dopo aver adeguato i dati per fattori potenzialmente influenti, come età, sesso, istruzione e stile di vita, il rischio di demenza ha dimostrato di essere più basso per i partecipanti con alta stimolazione cognitiva sul lavoro, rispetto a quella bassa (incidenza 4,8 per 10.000 anni/persona nel gruppo ad alta stimolazione e 7,3 nel gruppo a bassa stimolazione).
Questa scoperta è rimasta valida dopo ulteriori aggiustamenti per una gamma di fattori di rischio di demenza consolidati nell'infanzia e nell'età adulta, nelle malattie cardio-metaboliche (diabete, malattie cardiache coronarie e ictus), e nel rischio concorrente di morte. L'associazione non differiva tra uomini e donne o tra più e meno giovani di 60 anni, ma c'era un'indicazione che l'associazione era più forte per l'Alzheimer che per altre fonti di demenza.
Il prof. Kivimaki, direttore dello studio Whitehall II, ha dichiarato:
"I nostri risultati osservazionali sostengono l'ipotesi che la stimolazione mentale in età adulta può posticipare l'insorgenza della demenza. I livelli di demenza a 80 anni visti nelle persone che avevano avuto livelli elevati di stimolazione mentale, è stato osservato all'età di 78,3 anni in coloro che avevano sperimentato una bassa stimolazione mentale. Ciò suggerisce che il ritardo medio nell'insieme della malattia è di circa un anno e mezzo, ma probabilmente c'è una notevole variazione nell'effetto tra le persone".
La stimolazione cognitiva era anche associata a livelli più bassi di tre proteine legate alla stimolazione cognitiva nell'età adulta e nella demenza, fornendo possibili indizi dei sottostanti meccanismi biologici.
Questo era uno studio osservazionale, quindi non può stabilire una causa, e i ricercatori non possono escludere la possibilità che alcuni dei rischi osservati della demenza possano essere dovuti ad altri fattori non misurati. Tuttavia, questo è stato uno studio ampio e ben progettato che ha usato diversi tipi di analisi per fornire un certo grado di convalida ai principali risultati, e tali risultati sembrano essere generalizzabili in diverse popolazioni.
In questo senso, i ricercatori dicono che i loro risultati suggeriscono che le persone con lavori cognitivamente stimolanti hanno un rischio più basso di demenza in vecchiaia rispetto a quelle con lavori non stimolanti:
"La scoperta che la stimolazione cognitiva è associata a livelli più bassi di proteine plasmatiche, che potenzialmente inibiscono l'assonogenesi e la sinaptogenesi e aumentano il rischio di demenza, potrebbero fornire indizi dei sottostanti meccanismi biologici", ha aggiunto il professor Kivimaki.
[...] Lo studio ha coinvolto ricercatori di Finlandia, Francia, Ungheria, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti.
Fonte: University College London (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Mika Kivimäki, Keenan Walker, Jaana Pentti, Solja Nyberg, Nina Mars, Jussi Vahtera, Sakari Suominen, Tea Lallukka, Ossi Rahkonen, Olli Pietiläinen, Aki Koskinen, Ari Väänänen, Jatinderpal Kalsi, Marcel Goldberg, Marie Zins, Lars Alfredsson, Peter Westerholm, Anders Knutsson, Töres Theorell, Jenni Ervasti, Tuula Oksanen, Pyry Sipilä, Adam Tabak, Jane Ferrie, Stephen Williams, Gill Livingston, Rebecca Gottesman, Archana Singh-Manoux, Henrik Zetterberg. Cognitive stimulation in the workplace, plasma proteins, and risk of dementia: three analyses of population cohort studies. BMJ 2021, DOI
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