I ricercatori della University of California di San Diego hanno identificato una variante genetica che può essere usata per individuare le persone con maggiori probabilità di rispondere ad una terapia sperimentale in fase di sviluppo per l'Alzheimer (AD).
Lo studio, pubblicato il 12 marzo su Cell Stem Cell, si basa su esperimenti con colture di neuroni derivati da cellule staminali adulte.
"Questi risultati suggeriscono che alcune varianti del gene permettono di ridurre la quantità di amiloide-beta prodotta dai neuroni", ha detto l'autore senior Lawrence Goldstein, PhD, direttore del Sanford Stem Cell Clinical Center della UC San Diego e del programma cellule staminali dell'università. "Questo è potenzialmente importante per rallentare la progressione dell'Alzheimer, la causa più comune di demenza negli Stati Uniti, che affligge un over-65 ogni 9".
Il fattore di rischio genetico indagato è composto da varianti del gene SORL1. Il gene codifica una proteina che influenza l'elaborazione e il conseguente accumulo di peptidi amiloide-beta, piccoli frammenti di proteina appiccicosa che si accumulano negli spazi tra i neuroni. Queste placche sono collegate alla morte neuronale e alla demenza conseguente.
Studi precedenti avevano dimostrato che alcune varianti del gene SORL1 conferiscono una certa protezione dall'AD, mentre altre varianti sono associate a una probabilità circa il 30 per cento più elevata di sviluppare la malattia. Circa un terzo della popolazione adulta statunitense è ritenuta portatrice delle varianti del gene non protettive.
La scoperta principale dello studio è che le varianti nel gene SORL1 possono anche essere associate al modo in cui i neuroni rispondono ad un composto naturale del cervello che agisce normalmente per proteggere la salute delle cellule nervose. Il composto di protezione, chiamato BDNF (fattore neurotrofico derivato dal cervello), è attualmente in fase di studio come terapia potenziale per diverse malattie neurologiche, tra cui l'AD, a causa del suo ruolo nella promozione della sopravvivenza neuronale.
Per lo studio, i ricercatori dell'UC San Diego hanno preso cellule dalla pelle di 13 persone, 7 delle quali avevano AD e 6 erano soggetti sani di controllo, e le hanno riprogrammate in cellule staminali. Queste cellule staminali sono state persuase a differenziarsi in neuroni, e i neuroni sono stati coltivati e poi trattati con BDNF.
Gli esperimenti hanno rivelato che i neuroni che portavano le varianti di SORL1 protettive hanno risposto alla terapia riducendo il loro tasso di base di produzione di peptide amiloide-beta del 20 per cento, in media. Al contrario, i neuroni che trasportano le varianti di rischio del gene, non hanno mostrato alcuna variazione basale nella produzione di amiloide-beta.
"Il BDNF si trova nel cervello di tutti", ha detto il primo autore Jessica Young, PhD, borsista post-dottorato del laboratorio di Goldstein. "Quello che abbiamo scoperto è che se si aggiunge più BDNF ai neuroni che portano un fattore di rischio genetico per la malattia, i neuroni non rispondono. Quelli con il profilo genetico di protezione lo fanno".
"Il valore di questo tipo di studi sulle cellule staminali è che ci permette di sondare gli aspetti unicamente umani della malattia e di capire come il DNA di una persona potrebbe determinare la sua risposta ai farmaci, in questo caso a un trattamento potenziale per l'Alzheimer", ha detto la Young. "Futuri studi clinici sul BDNF devono considerare di stratificare i pazienti in base al loro fattore di rischio SORL1 e alla probabilità di beneficiare della terapia".
Fonte: Christina Johnson e Scott LaFee in University of California, San Diego (> English text) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Lawrence S.B. Goldstein et al. Elucidating Molecular Phenotypes Caused by the SORL1 Alzheimer’s Disease Genetic Risk Factor Using Human Induced Pluripotent Stem Cells. Cell Stem Cell, March 2015 DOI: 10.1016/j.stem.2015.02.004
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