Ogni giorno impieghiamo le nostre capacità cognitive per assimilare ed elaborare le informazioni. Un nuovo studio empirico mostra che andiamo meglio in questo compito di quelli nati un secolo fa. Ma la capacità cognitiva inizia comunque a ristagnare verso i 35 anni.
Ogni giorno il nostro cervello è chiamato di continuo ad affrontare sfide cognitive di alto livello. Quando scriviamo, giochiamo o guardiamo un film sul nostro computer, guidiamo un'auto o portiamo avanti una conversazione telefonica, i neuroni trasmettono e valutano costantemente gli impulsi elettrici che ci permettono di filtrare le informazioni sensoriali in entrata, le elaborano, decidono la risposta appropriata e la eseguono.
È ormai accettato che la capacità di eseguire le attività cognitivamente impegnative e di adattarsi alle esigenze in rapida evoluzione sta diventando sempre più importante, soprattutto in ambito lavorativo. Forse sorprende, ma sappiamo relativamente poco di come cambiano le prestazioni cognitive di un individuo nel corso della vita.
La maggior parte delle ricerche su questo argomento è stata fatta da psicologi, che si sono interessati principalmente di concetti inquisitori, come ad esempio i contributi relativi dell'intelligenza innata ed acquisita. Ma le procedure di test impiegate in questo lavoro soffrono di due gravi carenze.
Primo, i test stessi sono di solito basati su compiti astratti, che hanno poco a che fare con situazioni quotidiane e sono quindi poco familiari ai testati. Secondo, tali esperimenti danno solo una fotografia istantanea del livello di prestazioni di ogni soggetto, e quindi hanno poco da dire sull'evoluzione delle prestazioni cognitive di una persona con l'età.
Gli scacchi come sorgente di dati
Gli autori del nuovo studio (Anthony Strittmatter dell'Università di San Gallo, Uwe Sunde della LMU e Dainis Zegners della Rotterdam School of Management) hanno scelto un approccio molto diverso per valutare il modello a lungo termine del cambio delle capacità cognitive nel tempo.
“Nel nostro modello empirico, abbiamo usato i dati derivati dalle partite di scacchi giocate nei tornei professionali, dal momento che gli scacchi sono un esempio paradigmatico di un compito cognitivo complesso”, spiega Sunde.
In effetti, la scelta degli scacchi come fonte di dati ha diversi vantaggi significativi. Sono disponibili dati dettagliati che registrano tutte le mosse fatte dai campioni del mondo, in carica ed ex, e dagli avversari, per gli ultimi 125 anni. In questo modo è possibile valutare le capacità cognitive di ogni giocatore, confrontando le sue mosse attuali con quelle suggerite da un moderno computer di scacchi, in grado di calcolare la mossa ottimale in ogni configurazione che sorge durante una partita.
Con l'aiuto di analisi matematiche, i dati risultanti possono essere convertiti in una registrazione continua delle prestazioni di ogni giocatore nel corso della sua carriera. Inoltre, poiché i dati coprono un periodo di 125 anni, si può anche chiedere se e come sono cambiate le capacità cognitive dei giocatori professionisti di scacchi nell'arco di più di un secolo.
Il modello empirico impiegato da Sunde e dai suoi colleghi si basa sui dati di oltre 24.000 partite di scacchi giocate nei tornei professionali tra il 1890 e il 2014, che registrano più di 1,6 milioni di singoli movimenti. Quando questi dati vengono analizzati per ‘coorti di età’ (gruppi definiti dalle date di nascita dei giocatori) si possono trarre le seguenti conclusioni:
- La prestazione cognitiva segue una traiettoria dipendente dall'età. Aumenta costantemente in un primo momento, e poi si stabilizza verso i 35 anni.
- La forma di questo profilo è cambiata nel corso degli ultimi 125 anni. In media, coloro che sono nati più tardi durante questo lasso di tempo, esibiscono un livello più alto di capacità cognitive rispetto ai loro predecessori alla stessa età, come indicato dall'aumento relativo nella scelta di mosse ottimali durante una partita.
Tuttavia, come spiega Sunde, dobbiamo prendere in considerazione una caratteristica dei dati per interpretare questi risultati:
“Il problema nasce dal fatto che i giocatori professionisti di scacchi a un certo punto smettono di partecipare ai tornei, perché non si sentono più abbastanza competitivi. Questo fattore apre la possibilità che quelli che vengono chiamati ‘effetti di selezione’ potrebbero distorcere l'analisi quantitativa dei dati, riducendo la confidenza nella interpretazione del modello.
"Si pensa che questo effetto intervenga a partire dai 50 anni, più o meno. Se i giocatori continuassero a partecipare regolarmente ai tornei pubblici per tutta la vita, l'impatto dell'effetto selezione sarebbe inferiore, e la traiettoria della curva della prestazione cognitiva complessiva probabilmente cadrebbe un po' più velocemente”.
Per questo motivo, spiega Sunde, la curva di rendimento potrebbe non essere applicabile alla popolazione generale, ma rappresenta piuttosto un limite superiore.
Il professor Sunde e i coautori forniscono anche una logica possibile della loro scoperta che la capacità cognitiva media dei 30enni odierni è superiore alla capacità di quelli della stessa fascia di età di 100 anni fa:
“I nostri risultati suggeriscono che le condizioni in cui le persone crescono in questi giorni, che naturalmente includono la rapida crescita della tecnologia digitale, hanno un impatto decisivo sullo sviluppo delle loro capacità cognitive”.
Tuttavia, aggiunge, il modello non ci può dire se questa tendenza è destinata a continuare. In ogni caso, quelli di noi che hanno già superato la soglia dei 35 anni non devono più preoccuparsi del suo incombere minaccioso.
E se si continua a esercitare regolarmente la propria materia grigia, c'è una buona probabilità che il cervello restituirà il favore rimanendo arzillo più a lungo.
Fonte: Ludwig-Maximilians-Universität München (> English) - Traduzione di Franco Pellizzari.
Riferimenti: Anthony Strittmatter, Uwe Sunde, Dainis Zegners. Life cycle patterns of cognitive performance over the long run. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2020, DOI
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